di Mario Braconi

La scorsa estate, in pieno periodo di vacanze, TIM e VODAFONE, che insieme, controllano il 60% del mercato della telefonia mobile in Italia, decisero di organizzare un piccolo colpo di mano ai danni dei loro clienti. A sentire loro, si trattò di rimodulare vecchie tariffe, operazione necessaria dopo il decreto Bersani, che aveva abolito l’assurdo costo di ricarica sulle “prepagate”: sconosciuto in tutto il resto del mondo, nella passiva Italia l’iniquo balzello ha regalato per anni ai due operatori dominanti una ricca messe di ingiustificati ricavi. E così, in piena estate, TIM azzerò 10 tariffe, mentre VODAFONE “semplificò” la sua offerta trasformando 31 offerte preesistenti in sette nuovi “piani”: inutile dire che le offerte cancellate erano vecchie e quindi in generale più economiche di quelle imposte in sostituzione. Molti sono gli elementi sospetti nella manovra congiunta dei due operatori dominanti. Innanzitutto, com’è ovvio, la sincronia delle azioni da parte di due “concorrenti”; poi la decisione, sospetta, di sferrare il putsch in un momento in cui le ferie abbassano la soglia di attenzione e la capacità di reazione degli Italiani, già non eccezionali; ed infine il modo in cui le modifiche “unilaterali e sistematiche” vennero imposte ai consumatori, mentre il povero cliente che desideri recedere da un contratto è costretto a scrivere, fare la fila alla posta e sborsare più di 3 euro di raccomandata A/R. Secondo TIM e VODAFONE, infatti, era del tutto corretto incrementare i costi delle telefonate per 10 milioni di clienti mandando loro un SMS.

ALTROCONSUMO fece qualche conto e concluse che obiettivo delle brillanti trovate degli strateghi dell’alta direzione di TIM e VODAFONE era alleggerire le tasche di studenti, casalinghe e vecchietti di una somma annua media addizionale compresa tra i 49 e gli 83 euro (anche se ora alcune singole telefonate arrivano a costare il doppio esatto rispetto a prima). L’associazione consumeristica promosse così un’azione presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCOM), la quale accolse i rilievi mossi “ravvisando estremi di pratiche commerciali ingannevoli ed omissive [che hanno impedito ai clienti di] conoscere le caratteristiche delle nuove tariffe”. Dopo poco meno di sei mesi dall’avvio della pratica, il 16 febbraio, l’AGCM ha notificato formalmente ad ALTROCONSUMO che condannerà tanto TIM che VODAFONE al pagamento di una multa di mezzo milione di euro ciascuno.

Sembrerebbe una giornata fausta per i consumatori di questo paese, anche perché la multa di cinquecentomila euro è in assoluto la più alta tra quelle comminate dall’Authority. Eppure la tutela dei consumatori in Italia è ancora troppo debole, in parte per precisa scelta della politica, in parte perché, come vedremo, i provvedimenti dell’AGCOM non sono tali da disincentivare le cattive pratiche di mercato cui tutte le grandi aziende in posizione dominante (in teoria i “sorvegliati speciali” dell’Autorità) in Italia si abbandonano con una certa libertà.

In primo luogo, il successo conseguito da ALTROCONSUMO riguarda solamente la questione della comunicazione ingannevole delle “modifiche unilaterali e sistematiche” dei contratti messa in atto dagli operatori telefonici. Poiché TIM e VODAFONE hanno deciso di giocare sporco, veicolando quella che era un vero e proprio modifica contrattuale a carico del cliente in un modo ambiguo, tanto da mascherarla da messaggio promozionale, ALTROCONSUMO si è mossa innanzitutto contestando la correttezza del messaggio pubblicitario. In pratica, ha utilizzato il nuovo canale messo a disposizione da una direttiva comunitaria, che consente di sanzionare le cosiddette pratiche commerciali scorrette (ad esempio la pubblicità ingannevole): ciò ha consentito di usufruire di una corsia preferenziale nell’azione proposta dinnanzi alla AGCOM, con il beneficio di indagini più veloci e semplificate.

Eppure, nonostante l’iter “veloce”, l’Autorità ha impiegato quasi sei mesi per condannare TIM e VODAFONE. Troppo. Senza contare che, come ha dichiarato ieri a Radio 24 Paolo Martinelli, presidente di ALTROCONSUMO, l’AGCOM in tutto questo tempo non è intervenuta direttamente emanando un “provvedimento temporaneo urgente” finalizzato a sospendere il processo di modifica delle tariffe, mossa che avrebbe consentito a milioni di consumatori di risparmiare maggiori costi tra i 50 e gli 80 euro a testa; questi denari, invece, si sono trasformati in centinaia di milioni di euro di ricavi per TIM e VODAFONE. Un flusso stabile di denaro in grado di conferire al più un significato politico alla sanzione di cinquecentomila euro comminata ai due: in queste condizioni è evidente che l’incentivo a comportamenti scorretti verso la clientela (indifesa, dato che latita la class action) resterà molto forte.

Al di là della comunicazione ingannevole, comunque, sarebbe utile che un giorno l’AGCOM ci spiegasse come è capitato che due aziende concorrenti abbiano deciso, con mirabile sincronismo, di aumentare unilateralmente tutte le loro tariffe più convenienti mandando un SMS ai propri clienti in pieno agosto. Delle due l’una: o si è trattato di una coincidenza (ma le probabilità sono molto, molto basse), oppure TIM e VODAFONE si sono accordate e, dunque, i due operatori dominanti (assieme superano il 60% delle mercato complessivo) hanno fatto cartello.

Dato che l’Authority è sostanzialmente paralizzata e le sanzioni eventualmente comminate del tutto insufficienti a dissuadere operatori di mercato spregiudicati, quali strumenti di difesa restano al consumatore truffato? “Il risarcimento collettivo (class action) si adatterebbe perfettamente a casi come questi” sostiene Martinello. Peccato che al Senato la conversione del decreto “mille proroghe” abbia confermato l'ulteriore rinvio a luglio della norma, mentre “i disegni di legge pendenti sia alla Camera che al Senato restano impantanati nelle commissioni competenti”. Sembra che per un po’ i titolari di SIM card prepagate (il 90% del totale) dovranno rassegnarsi a pagare o a gettare via il telefonino.

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