di mazzetta

La settimana prossima ci sarà probabilmente un nuovo paese al mondo: il Sud Sudan, almeno in attesa di un battesimo diverso. Si tiene infatti nel fine settimana un referendum, con il quale la popolazione della parte meridionale del Sudan dovrebbe scegliere la secessione dal Sudan. La storia di questo referendum è lunga più della ventennale guerra che ha contrapposto gli indipendentisti al governo di Karthoum e ha le sue radici nella colonizzazione britannica del paese, che ha racchiuso in un territorio grande otto volte la Germania riunificata un coacervo di etnie diversissime e consegnato all'indipendenza un paese enorme e molto difficile da gestire.

Ancora di più se quasi subito le ingerenze britanniche ed occidentali hanno brigato per questa secessione, alimentando la guerra destinata a separare la parte del paese con l'80% delle risorse petrolifere dal resto. Il conflitto s è concluso nel 2004, quando il regime sudanese di Bashir ha completato una svolta a 180°, sotto l'influsso delle minacce americane post undici settembre ai paesi troppo vicini all'estremismo islamico.

Nelle more del processo di pace scoppiò in quell'anno la crisi del Darfur, che venne a lungo ignorata dall'Occidente, troppo preso dal sostegno alla secessione sudista per preoccuparsi degli attacchi dei ribelli darfurini sostenuti dal Ciad (e altri attori regionali in maniera più defilata) e della brutale risposta governativa, probabilmente praticata dopo un riservato via libera occidentale.

Il distacco di Bashir dagli islamisti, già maturato ai tempi della cacciata di Bin Laden anteriore al 9/11, si fece allora drastico con l'arresto dell'ideologo islamico al-Turabi, poi passato alla guida di una delle formazioni ribelli del Darfur d'ispirazione islamica. Già questo dettaglio denuncia la falsità della ricostruzione ad uso delle opinioni pubbliche occidentali, alle quali la tragedia del Darfur è stata presentata come un massacro ordito da un regime “islamico” e arabo contro popolazioni di etnia e cultura diversa.

Nemmeno l'evidenza rappresentata da al-Turabi in guerra contro il governo ha avuto ragione di questo falso della propaganda ed è inutile dire che gli abitanti del Darfur non sono stati protetti da nessuno. Anche se persino l'Italia ha inviato una missione militare in Sudan, ma si trattava di un contingente ospitato a Khartoum a garanzia degli accordi di pace con il Sud: se non ne avete mai sentito parlare chiedetevi perché.

La secessione sudista sembra destinata ad andare a buon fine, Bashir ha ribadito anche nei giorni scorsi che rispetterà l'esito del referendum e nulla sembra davvero minacciarne l'esito. I problemi sono semmai attesi in seguito perché i leader del Sud, affermatisi sul campo di battaglia e selezionati tra quelli più duttili alle esigenze occidentali, non hanno sfruttato gli anni trascorsi dagli accordi e i proventi del petrolio per costruire istituzioni o infrastrutture, ma piuttosto per acquistare armi e vecchi carri di produzione sovietica.

Un traffico illegale, perché tutto il Sudan è sottoposto ad embargo, scoperto quando i pirati somali che hanno sequestrato la nave Faina, all'interno della quale c'erano decine di tank di produzione sovietica e documenti di viaggio che indicavano la destinazione finale nel Sud Sudan attraverso il compiacente Kenya. Che poi cercò di attribuirsi l'acquisto senza grande successo. Nessuna condanna venne allora né poi dal Dipartimento di Stato americano o dal Foreign Office britannico, evidentemente consenzienti a quella che comunque ha rappresentato un'infrazione della legalità internazionale e degli accordi di pace.

Il leader del Sud, Salva Kiir, non sembra avere sottomano un esecutivo all'altezza della sfida e il governo provvisorio, composto da per lo più da ex-guerriglieri, in questi anni ha dato una prova pietosa delle proprie capacità. Salva Kir è sicuramente più presentabile di John Garang, leader del Sud in tempo di guerra, iscritto nella lista dei terroristi dall'ONU e opportunamente precipitato con l'aereo che lo trasportava insieme alla sua conoscenza della storia dei rapporti del Sud con l'Occidente; ma agli osservatori indipendenti non sembra all'altezza della sfida, resa ancora più ostica dal fatto che anche il Sud a sua volta ospita una popolazione per niente omogenea e spesso impegnata in conflitti intestini.

Diverse variabili influiranno sul futuro del nuovo Stato e molti problemi dovranno essere risolti privilegiando la costruzione del paese al suo ruolo nello scacchiere regionale. Il pericolo che incombe maggiormente è infatti quello di un'iniziativa del Sud che colleghi il paese, che non ha sbocchi al mare, all'oleodotto che dal Ciad raggiunge il Golfo di Guinea, tradendo così gli accordi con il Nord per la sua distribuzione attraverso gli oleodotti che lo portano fino ai terminal sul Mar Rosso.

Se il Sud riuscirà ad emanciparsi dal Nord in maniera non ostile e a costituirsi come uno Stato con istituzioni solide e leggi moderne, è il vero interrogativo che aleggia su tutta la vicenda. Ed è triste osservare come, ancora una volta, le analisi che circolano nel nostro paese riducano tutto, ancora una volta, alla “minaccia islamica” del Nord. Il Sud Sudan nasce e dovrà camminare con le sue gambe, che per ora appaiono malferme e per niente all'altezza delle sfide all'orizzonte.

Se l'Occidente avesse veramente a cuore la democrazia e lo sviluppo in quelle lande, probabilmente i comportamenti fin qui osservati sarebbero stati diversi, così come sarebbe stata diversa e più genuina la presentazione del suo caso alle opinioni pubbliche occidentali. Il mancato verificarsi delle due condizioni spinge al pessimismo sul futuro del paese, che rischia di scivolare in un'anarchia di stampo somalo ancora prima di nascere. La sua storia comincia oggi e solo il tempo potrà dire se i suoi abitanti riusciranno a emanciparsi da certe ingombranti tutele e trovare un sentiero sicuro in un futuro che si presenta denso d'incognite e di minacce.

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