di Carlo Musilli

Ci ha pensato a lungo, ma alla fine Barack Obama si è ricordato di essere un democratico. E incredibilmente, dopo mesi passati a questionare con i Repubblicani, ha lanciato la sfida agli avversari sul terreno più incandescente: la politica fiscale, le innominabili "taxes". Il Presidente americano ha annunciato un piano da 4.400 miliardi di dollari in dieci anni per abbattere il deficit. Punta di diamante della nuova strategia è la cosiddetta "Buffett-rule", la regola di Buffett, che prevede di alzare le tasse ai super ricchi per equipararle a quelle della classe media. I redditi superiori al milione di dollari l'anno verrebbero tassati con un'aliquota minima del 35%, come avviene per i comuni mortali, i lavoratori dipendenti. Attualmente, invece, il prelievo sulle rendite finanziarie è fermo a un vergognoso 15%.

Nonostante lo sdegno dei conservatori pseudo-liberisti, la nuova legge non avrebbe nulla di socialista. Anzi, riporterebbe negli Stati Uniti un principio elementare d'equità fiscale smarrito sotto le amministrazioni repubblicane, quello della progressività delle imposte (inscritto nella Costituzione italiana all'articolo 53). Tanto più che a proporre la nuova misura è stato Warren Buffett, mega miliardario americano che per quattrini è secondo solo a Bill Gates. Non esattamente un trotzkista o un precario di Detroit.

Il principio è talmente semplice da risultare ovvio: "Se sei così ricco devi pagare perlomeno l'aliquota della tua segretaria". Parola di Warren, che quest'estate ha combattuto un'insolita battaglia contro i suoi stessi interessi dalle colonne del New York Times. "Voglio pagare più tasse!", scriveva il magnate illuminato poco più di un mese fa, lasciando a bocca aperta colleghi e amici paperoni.

Quanto al mercato interno, la nuova misura non sconvolgerebbe affatto gli assetti dell'economia americana, perché colpirebbe soltanto lo 0,3% dei contribuenti, vale a dire 450mila delle 144 milioni di dichiarazioni dei redditi registrate nel 2010. Non ha quindi senso sostenere, come fanno i conservatori, che un prelievo aggiuntivo sui capitali più gonfi possa provocare una contrazione degli investimenti e quindi ripercuotersi negativamente sul lavoro. Anche perché il gettito della "Buffett-tax" sarà destinato a finanziare il programma per l'occupazione presentato la settimana scorsa da Obama (447 miliardi di dollari da spartire fra scuola, infrastrutture e sgravi fiscali per chi assume disoccupati).

Non c'è alcuna ragione socio-economica che sconsigli di proseguire su questa strada, se non quella di voler tutelare ciecamente gli interessi di una minoranza privilegiata a discapito della collettività. Purtroppo per gli americani, sembra proprio questa la ratio che da qualche anno tiene insieme il Partito Repubblicano. Deviati da un concetto distorto di capitalismo secondo cui chi è ricco ha diritto a diventare ricchissimo e chi è povero ha il dovere di pagare, poco più di un mese fa i conservatori hanno quasi provocato il default del loro Paese pur di non toccare i privilegi acquisiti dall'elite. La drammatica farsa sull'innalzamento del tetto del debito è andata avanti per settimane proprio perché i Repubblicani non volevano sentir parlare di tasse ai ricchi.

 A questo punto viene da chiedersi: cosa é cambiato fra i primi di agosto e la fine di settembre? Assolutamente niente. Sotto questo profilo gli americani sono stati causa del proprio male. Votando in maggioranza per l'opposizione alle elezioni di medio termine dello scorso novembre, gli elettori Usa hanno consegnato ai Repubblicani il controllo della Camera, vale a dire il potere di veto sulle proposte di riforma avanzate dai Democratici.

Questo significa che le nuove iniziative di Obama, pur riempiendo i cuori di speranza, in realtà sono velleitarie. O meglio, fanno parte di una precisa strategia politica. A Washington sanno tutti benissimo che il Congresso non approverà mai nulla che assomigli neanche lontanamente alla Buffett-rule. E' vero, da qualche giorno è al lavoro una commissione bipartisan che entro novembre dovrà trovare un accordo per ridurre il deficit, ma "le nuove tasse non sono un'opzione sul tavolo", ha spiegato il repubblicano John Boehner, presidente della Camera.

Quando però arriveranno i momenti decisivi della campagna elettorale, difficilmente la destra potrà continuare a proporsi come paladina degli interessi e dei valori americani contro il presunto "socialismo di Obama". Il Presidente sta strappando la maschera ai suoi avversari. A questo serve, in fondo, la regola di Buffett.

 

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