di Carlo Musilli

La Grecia torna al voto e la vittoria della sinistra è più che probabile. Fino a non molto tempo fa una notizia simile avrebbe scatenato reazioni inconsulte, ma ormai politica e finanza sembrano essersi stancate di agitare lo spauracchio dell'apocalisse.

D'altra parte, quello che è successo lunedì era nell'aria. Il Parlamento greco ha mancato per la terza volta consecutiva il quorum necessario a eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, autocondannandosi allo scioglimento (come prevede la Costituzione ellenica) e costringendo il premier conservatore Antonis Samaras ad annunciare che i greci saranno chiamati alle urne il prossimo 25 gennaio, tre anni prima del previsto.

Stando ai sondaggi, dalle elezioni uscirà vincente Syriza, partito di sinistra alternativa accreditato fra il 26 e il 30%, con un margine di vantaggio sugli avversari compreso fra i tre e i sei punti percentuali. Numeri da capogiro, se si pensa che un paio d'anni fa la formazione guidata da Alexis Tsipras non andava oltre il 4%.

Per capire le ragioni del successo di Syriza in Grecia, così come quelle della sua impopolarità a Bruxelles, basta dare un'occhiata al suo programma, approvato lo scorso 15 settembre a Salonicco. A livello internazionale, il partito di Tsipras intende aprire una "trattativa" con l'Ue per "cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico" greco, che per la quota rimanente dovrebbe essere finanziato con la crescita e non con ulteriore austerità. Sul fronte interno, invece, sono previste misure per alleviare la crisi sociale e umanitaria in cui versa il Paese: dall'elettricità gratis a 300mila famiglie povere a 30mila appartamenti per i senzatetto, dall'assistenza medica e farmaceutica gratuita per i disoccupati non assicurati al ripristino del salario minimo di 715 euro, passando per un taglio delle tasse e a una serie d'investimenti pubblici.

In sostanza, Tsipras vuole ridiscutere i termini degli accordi firmati da conservatori e socialisti per ottenere gli aiuti internazionali, così da invertire la rotta mortifera del rigore. Il progetto è ambizioso e non facile da realizzare, anche perché, con ogni probabilità, a Syriza mancherà un pugno di seggi per governare da sola. Ma almeno su un punto sono tutti d'accordo: la Grecia rimarrà nell'euro, l'integrità dell'area valutaria non è (più) in discussione.

Questa rassicurazione è stata pronunciata più volte dallo stesso Tsipras, che ha indiscutibilmente alleggerito i toni rispetto a un anno fa, contribuendo ad allentare la tagliola della speculazione internazionale. La parte del leone, sotto questo profilo, l'ha fatta però la Banca centrale europea.

E' stata infatti l'attesa del quantitative easing (il programma di acquisti generalizzati di titoli privati e pubblici da parte della Bce) a evitare che gli hedge fund e gli altri avvoltoi del mercato alzassero in quest'ultima parte dell'anno un nuovo polverone.

E' vero, dopo il voto di lunedì la Borsa di Atene è crollata del 10% e i rendimenti sui titoli greci sono saliti, ma è stata solo una fiammata. In poche ore l'andamento negativo di azioni e obbligazioni si è vistosamente ridimensionato, dimostrando che si era trattato solo di un colpo di reni speculativo.

L'indizio decisivo in questa direzione è arrivato poi dagli altri Paesi dell'Eurozona, dove non solo non ci sono stati crolli, ma si sono registrati perfino nuovi record sui rendimenti dei bond pubblici. A cominciare dall'Italia, che ieri ha messo a segno un'asta da sogno, con tassi scesi sotto il 2% sui titoli decennali e sotto l'1% sui BTp a 5 anni e sui CcTeu. Il collocamento ha replicato l'intonazione positiva del mercato secondario (quello su cui si scambiano i titoli già in circolazione), che ieri è stato oggetto di una forte ondata di acquisti, portando a nuovi minimi il Bund tedesco (sotto lo 0,55%), l'OaT decennale francese (allo 0,84%) e il Bono decennale spagnolo (all'1,60%).

Insomma, a quanto pare nessuno ritiene davvero che la probabile vittoria di Syriza si tradurrà in una catastrofe europea. Forse non ci hanno mai creduto, ma ormai non conta. Il punto è che gli investitori non sono più fanatici della tragedia greca. Hanno messo via Eschilo, ora leggono L'isola del tesoro di Stevenson. Allargano le braccia, in attesa che Mario Draghi giri la chiave del forziere.

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