di Mario Lombardo

La pesante sconfitta patita dal partito della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, nel voto di domenica per il rinnovo del parlamento della città-stato di Berlino suona come un serio avvertimento in vista delle elezioni federali del prossimo anno. Al tracollo della CDU (Unione Cristiano Democratica) non ha però corrisposto il trionfo della SPD (Partito Social Democratico).

Anzi, il partito che governa assieme alla Merkel a livello federale e nella stessa capitale della Germania, ha fatto segnare anch’esso un’emorragia di consensi, garantendosi la possibilità di continuare a guidare Berlino solo grazie ai progressi del suo probabile prossimo partner di coalizione, Die Linke (La Sinistra).

Tutti le principali formazioni politiche tedesche hanno registrato risultati deludenti o non particolarmente entusiasmanti nell’appuntamento con le urne di domenica. Le scelte degli elettori berlinesi hanno così ricalcato quelle negli altre tre “Länder” che hanno votato negli ultimi mesi (Baden-Württemberg, Renania-Palatinato, Meclemburgo-Pomerania Anteriore), ad eccezione del passo in avanti di Die Linke.

Quello della CDU - 17,6% (-5,7%) - è stato il risultato peggiore della storia di questo partito a Berlino, mentre ancora più voti ha perso la SPD (-6,7%), anche se resta comunque la prima forza nella capitale con il 21,6%. Il successo di Die Linke appare poi relativo. Rispetto alle precedenti elezioni, ha guadagnato quasi 4 punti percentuali, salendo al 15,6%, ma nel recente passato aveva fatto segnare risultati anche migliori. Ad esempio, il predecessore di Die Linke, il Partito del Socialismo Democratico (PDS), nel voto per il parlamento di Berlino nel 2001 aveva toccato addirittura il 22,6%.

A completare un quadro caratterizzato dalla flessione dei partiti tradizionali, i Verdi sono scesi del 2,5% per fermarsi al 15,2%. La formazione che ha beneficiato di questa situazione è stata ancora una volta il partito di estrema destra AfD (Alternativa per la Germania), mentre si è sgonfiato il fenomeno del cosiddetto Partito Pirata, in grado di sfiorare il 9% nel 2011 ma in questa occasione ben al di sotto della soglia di sbarramento del 5%.

L’AfD ha chiuso in doppia cifra anche a Berlino (14,2%) dopo aver fatto lo stesso nelle tre precedenti elezioni regionali. L’ascesa di questo partito populista ed euroscettico, fondato soltanto nel 2013, viene generalmente spiegata con il crescere di una presunta ondata di malcontento in Germania verso le politiche di “accoglienza” agli immigrati del governo federale della Merkel.

Più in generale, questa sarebbe la ragione del crollo elettorale registrato dalla CDU nel corso del 2016, anche se, in realtà, l’attitudine del governo federale nei confronti di profughi e immigrati può essere considerata accomodante solo se paragonata alla retorica xenofoba della destra e dell’estrema destra.

La stessa Merkel ha ad ogni modo indicato proprio l’approccio del suo governo alla questione dei migranti nella giornata di lunedì quando si è assunta la responsabilità della sconfitta a Berlino. La Cancelliera ha espresso un certo rammarico per come è stata gestita la “crisi” in questo ambito nei mesi scorsi, prospettando una svolta a destra nel prossimo futuro sul trattamento dei migranti.

Se l’AfD, come altri movimenti di questa natura in Europa, ha indubbiamente fatto leva sulle paure generate dal fenomeno dell’immigrazione, e ingigantendone i problemi che da esso derivano, la maggior parte dei consensi ottenuti rappresentano piuttosto un voto di protesta che ha a che fare prevalentemente con questioni di natura economica.

Il candidato sindaco a Berlino della CDU, Frank Henkel, aveva d’altra parte preso le distanze dalla Merkel in campagna elettorale, invocando politiche repressive nei confronti degli immigrati, soprattutto quelli di fede islamica. Questa strategia non ha però avuto particolare successo, visto che la maggioranza dei voti è andata a partiti nominalmente progressisti.

Mentre la stampa ufficiale ha continuato a ripetere che la Merkel perde voti per essere troppo poco rigida nei confronti dell’immigrazione, i sondaggi di opinione a Berlino hanno mostrato che il cambiamento degli equilibri elettorali è una reazione determinata dalle frustrazioni legate alla “giustizia sociale, all’economia locale”, all’aumento dei canoni di affitto e alle condizioni del sistema scolastico statale.

Anche il risultato ottenuto dall’AfD, che ha permesso al partito di superare per la decima volta consecutiva la soglia di sbarramento in elezioni statali, non costituisce in nessun modo uno spostamento massiccio a destra dell’elettorato. Recenti indagini di istituti di ricerca tedeschi hanno dimostrato che solo una minima parte di coloro che votano per l’AfD, ovvero circa un quarto, afferma di condividerne le posizioni, mentre il resto, in mancanza di alternative, intende esprimere il proprio malcontento verso gli altri partiti.

Queste stesse motivazioni promettono di animare anche le elezioni federali del 2017 che il partito della Cancelliera rischia seriamente di perdere. Il voto del fine settimana è stato per molti una prova generale del voto nazionale del prossimo anno. La SPD, non meno screditata della CDU, sarà infatti difficilmente in grado di governare senza il sostegno di partiti minori, così che la classe dirigente tedesca sta gettando le basi per un gabinetto “rosso-rosso-verde”.

Quest’ultima è la soluzione che si prospetta anche a Berlino, con la SPD che ha già avviato i negoziati con Die Linke e i Verdi. Che nella capitale tedesca e a livello federale una simile alleanza rappresenti una svolta progressista sarà in ogni caso tutto da dimostrare e i dubbi sono più che legittimi.

Il governo di coalizione SPD-Verdi, nato dopo il voto del 1998, fu protagonista dell’invio all’estero di militari tedeschi con incarichi da combattimento per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nonché di tagli senza precedenti al welfare tramite le “riforme” contenute nella famigerata “Agenda 2010” dell’allora primo ministro Social Democratico, Gerhard Schröder.

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