L’ultima sulle fake news, somiglia proprio a una fake news. Proveniente da Oltreoceano e poco disinteressata, afferma che sarebbero proprio le fake news a decidere gli esiti delle campagne elettorali. E sarebbero i russi che, dalle elezioni statunitensi fino a quelle italiane, passando per quelle francesi e tedesche, le orientano a loro convenienza.

 

 

Lo scrive il New York Times, espressione più autentica dell’establishment a stelle e strisce. Il dubbio che gli esiti elettorali siano in primo luogo il prodotto delle politiche sociali e culturali dei governi e della credibilità delle opposizioni, non pare essere oggetto di valutazione nell’editoriale del NYT. Che poi, ovviamente, proprio per il suo ruolo di portavoce degli interessi di Washington, non rileva obiezioni all’utilizzo delle fake news su scala globale e nelle continue ingerenze che la Casa Bianca esercita ai quattro punti cardinali del pianeta affinché le urne non esprimano mai un vincitore men che allineato a Washington.

 

La lettura del quotidiano è semplice, come lo è normalmente il ragionare dell’americano medio: quello che noi facciamo per determinare da fuori i risultati elettorali che ci convengono è per il bene, quello che fanno i nostri avversari è dannoso; quindi, quello che agli USA è permesso e ammesso, per i suoi avversari non lo è, anzi deve destare scandalo la sola idea che possano agire come noi agiamo.

 

Quando si parla di fake news e di uso della tecnologia per operazioni ostili ed ingerenze nella politica interna degli altri paesi, gli Stati Uniti sanno di cosa si parla, essendo autentici esperti del ramo e non avendo nemmeno problemi a nasconderlo.

 

Alla disinformazione organizzata su scala planetaria, infatti, gli Stati Uniti hanno dedicato budget spaventosi sin dalla prima metà degli anni ’40. Nacque Freedom House, poi arrivarono la USAID, l’IRI, la NED (National Endowment Democracy) ed altri organismi governativi e non governativi destinati proprio ad intervenire con la propaganda statunitense nel mercato della circolazione delle idee in ogni paese considerato “strategico” per gli interessi statunitensi. Insomma, per il mondo intero.

 

Dal punto di vista della mera propaganda la più importante delle strutture è Voice of America (VOA), l’emittente radiofonica a onde corte nata nel 1942. Di proprietà del Governo, trasmette in 46 lingue su radio, tv e rete Internet la propaganda statunitense in America, Africa, Asia, Medioriente e Europa dell’Est, concentrando le informazioni false proprio nelle aree politicamente ostili. Stessa funzione per l’America Centrale affidata a Radio-Tv Martì, la radio dei terroristi cubano americani che dalla Florida costruisce falsità contro l’isola socialista. Il New York Times deve essersi distratto per l’occasione.

 

Alcuni casi clamorosi dell’ingerenza statunitense si sono verificati nei Balcani, con la guerra degli anni 90 e poi negli ex paesi del blocco socialista in Europa orientale. E se negli anni ’80 le attenzioni vennero dirottate in particolare su Estonia, Lettonia e Lituania, Polonia e Ungheria, dall’inizio del decennio in corso Ucraina e Crimea hanno subito la maggior pressione politica e diplomatica insieme alla disinformazione organizzata. Proprio la disinformazione organizzata statunitense ha creato – ad esempio - la "pasionaria" ucraina Timoschenko, rivelatisi poi una ladra di polli con ambizioni politiche ma soprattutto finanziarie. Quindi una sequela di false notizie con le quali si è tentato (e a volte riuscito) di ribaltare completamente la verità fattuale in ragione di una narrazione fondata soprattutto sull’occultamento del ruolo di bande paramilitari neonaziste di Settore Destro.

 

Obiettivo? Far arretrare l’influenza di Mosca sull’Europa dell’Est, portare la Nato fino ai confini con la Russia. La destabilizzazione delle aree più delicate è infatti presupposto fondamentale per proporsi come scudo politico e militare ai quattro angoli del pianeta ed appare, nelle condizioni date, arma decisiva per reagire al declino politico del suo sistema di dominio ampliando la sua sfera di intervento.

 

Ma le fake news non sono il solo elemento. A sostegno dell’impero mediatico e dell’industria culturale, che del dominio politico sono parte decisiva, gli Stati Uniti, da più di 20 anni, fondano e supportano direttamente altre ONG, apparentemente meno collegabili (ma solo se non si leggono i bilanci). Sono incaricate di dire e fare ciò che gli Stati Uniti, apertamente, non possono permettersi di dire e fare. A queste si affiancano fondazioni, centri studi, società di sondaggi e osservazione elettorale, decisive dove la possibilità di un risultato avverso agli interessi della Casa Bianca possa profilarsi.

 

Nei bilanci pubblici di molte delle istituzioni pubbliche e delle associazioni private statunitensi impegnate nella sovversione interna ai paesi ostili emergono con chiarezza cifre e flussi di investimenti che dagli Stati Uniti vengono destinati allo scopo e, leggendo con attenzione tra i bilanci, si possono trovare le tracce della diplomazia parallela della Casa Bianca.

 

Insomma il NYT è stato superficiale e distratto. Bastava andare nel suo stesso archivio e leggere. Infatti, proprio in una intervista al New York Times nel 1991, Allen Weinstein, uno dei fondatori della NED, disse che “quello che fa la NED oggi è quello che un tempo veniva fatto in maniera clandestina da venticinque anni dalla CIA”. E Marc Plattner, un vice-presidente della NED, spiegò a sua volta così il ruolo dell’organizzazione: “Le democrazie liberali favoriscono chiaramente gli accordi economici che fomentano la globalizzazione e l’ordine internazionale che sostiene la globalizzazione si basa nel predominio militare americano”.

 

In particolare nel Sud del mondo, le elezioni nei paesi non completamente sotto controllo diventano oggetto di inteventi diretti ed indiretti. Il menù prima del voto comprende ingerenza, corruzione, pressioni indebite, provocazioni; successivamente al voto, nel caso non fosse stato in linea con gli auspici, la ricetta prevede dubbi sulle operazioni elettorali, insinuazione di brogli, richieste infinite di annullamento del voto, non riconoscimento del risultato. Seppure non disporrà di sostegno generale, servirà comunque a produrre un governo debole e uno scarso riconoscimento della comunità internazionale. Se non bastasse, arriveranno le sanzioni, le black list e poi le aggressioni, prime dall’interno e poi dall’esterno. Si chiama strategia di destabilizzazione.

 

Ma nello specifico statunitense, quali fake news avrebbero potuto inguaiare Hillary Clinton più di quello che ha detto e fatto in tanti anni di presenza nella scenario statunitense? La tesi secondo la quale Hillary Clinton avrebbe perso le elezioni a causa delle intromissioni russe nella campagna elettorale, non convince. In realtà la Clinton rappresentava l’establishment statunitense e l’arroganza di un clan familiare che, tra scandali e doppiezz, ha rappresentato una delle pagine più opache delle amministrazioni di orientamento democratico.

 

Finanziata da fondi sovrani di paesi fiancheggiatori e promotori del terrorismo islamista (Arabia Saudita e Qatar in primo luogo) e di finanziamenti occulti ricevuti da grandi major, la Clinton ha indicato subito a chi avrebbe dovuto render conto da presidente. Stante la difficoltà di restare alla Casa Bianca dopo otto anni di amministrazione Obama, se il Partito Democratico avesse voluto vincere semplicemente non avrebbe dovuto candidare la Hillary Clinton, non a caso messa da una parte dallo stesso Obama dopo l’affaire Libia.

 

Quanto hanno inciso i russi sull’esito del voto statunitense? Difficile dirlo. Che i russi si siano attrezzati e che sostengano tecnologicamente il loro riposizionamento politico ed economico a livello globale, non ci sono dubbi. E che il livello tecnologico raggiunto su scala globale abbia ridotto il gap tra Stati Uniti e gli altri paesi suoi competitor, Cina e Russia in particolare ma anche India, Turchia ed altri paesi in posizione di rilievo nella governance internazionale non è una novità.  Ma la penetrazione russa nell’elezione di Donald Trump è la più grossa delle bufale. Un tentativo di spacciare una sconfitta dell'establishment con un immaginifico complotto straniero e ostile.

 

Hillary Clinton è stata invece sicuramente punita dagli  elettori. Da quelli democratici, verso una parte dei quali suscitava un sentimento avverso e che hanno scelto di non votarla, non certo di simpatizzare con Putin. Dal canto loro gli elettori repubblicani che hanno eletto Trump sono il blocco profondo e ignorante, reazionario e isolazionista, razzista e suprematista del profondo degli USA, che vede nella Russia il nemico storico, non certo un alleato. Al massimo si può accusare Mosca di aver difeso e sostenuto le voci profonde americane, da Wikileaks a Manning, che hanno solo raccontato le infamie perpetrate da politici e militari statunitensi negli anni della presidenza Obama.

 

Che ora si possa stabilire che la vittoria di Trump abbia ulteriormente peggiorato il clima internazionale è lecito, ovviamente. Così come si può ammettere che lo spettacolo indecoroso del tycoon col riporto sarebbe stato meglio risparmiarcelo. Sull’estetica del potere, dunque, nulla da dire. Altra cosa però è ritenere che con Hillary il mondo sarebbe stato più al sicuro. Alla luce delle affermazioni in campagna elettorale, dei legami con potentati non meno torbidi di quelli di Trump e del un carico di vendette che intendeva scaricare sul tavolo della Casa Bianca, la cosa risulta difficile da credere e ancor più da dimostrare. Proprio come una fake news.

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