Se la riscrittura della storia è una delle iniziative tipiche dei regimi autoritari o dittatoriali, il governo polacco di estrema destra ha fatto un nuovo passo in questa direzione lo scorso fine settimana con la parziale approvazione in parlamento di una legge sulla definizione dei crimini nazisti nel paese dell’Europa orientale.

 

 

Il provvedimento prevede pene detentive fino a tre anni per chiunque – come privato cittadino o membro di un’organizzazione, polacco o di altra nazionalità – utilizzi la definizione “campo di concentramento polacco” oppure sostenga la partecipazione all’Olocausto della “nazione polacca”. Tutte le attività e i crimini contro gli ebrei polacchi nel quadro dell’occupazione tedesca sarebbero cioè da ricondurre esclusivamente alla Germania nazista.

 

L’attribuzione di qualsiasi responsabilità negli orrori del nazismo a cittadini o entità polacche può essere perseguita sia in patria che all’estero, mentre vi possono essere eccezioni nell’applicazione della legge per opere “accademiche o artistiche”. In questi casi, tuttavia, il giudizio finale spetta alla magistratura polacca. La legge in fase di approvazione è un attacco diretto alla libertà di parola e alla verità storica del ventesimo secolo. Per il momento è stata approvata soltanto dalla camera bassa del parlamento di Varsavia (Sejm), significativamente alla vigilia della Giornata della Memoria, fissata nell’anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau.

 

L’entrata in vigore definitiva dipende dal prossimo voto del Senato e dall’eventuale ratifica del presidente, Andrzej Duda, del partito di governo Diritto e Giustizia (PiS). Il destino della legge non è comunque del tutto chiaro, malgrado la determinazione della maggioranza, visto che il primo via libera registrato venerdì scorso ha innescato un’accesissima polemica internazionale.

 

Soprattutto il governo di Israele ha protestato fermamente nei confronti di Varsavia. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha convocato l’ambasciatore polacco a Tel Aviv per protestare contro la legge, mentre domenica aveva parlato con il presidente Duda ottenendo la promessa di un confronto tra i due paesi sul contenuto del provvedimento.

 

A Varsavia, inoltre, l’ambasciatore israeliano incontrerà il premier polacco, Mateusz Morawiecki, e il presidente del Senato, Stanislaw Karczewski, anche se la vice-presidente della camera bassa, Beata Mazurek, ha assicurato in un “tweet” che alla legge non saranno apportate modifiche. In Israele, in ogni caso, tutti i media hanno criticato pesantemente il governo polacco e tutto il panorama politico si è ritrovato unito nel condannare la legge, contro la quale hanno puntato il dito anche i parlamentari arabi eletti alla “Knesset”.

 

Lo scontro tra i due governi è particolarmente imbarazzante alla luce degli stretti legami tra Varsavia e Tel Aviv fin dagli anni Novanta e, ancor più, dopo il ritorno al potere del PiS in Polonia sul finire del 2015. Questo partito e il Likud di Netanyahu hanno d’altra parte molto in comune, dagli orientamenti generalmente reazionari alla stretta alleanza con gli Stati Uniti.

 

La risposta del governo israeliano, dettata in parte anche dalla necessità di allentare le pressioni causate dai guai giudiziari e politici di Netanyahu, è comunque solo in parte giustificata. Come ha spiegato il commentatore israeliano Ben Caspit sulla testata on-line Al Monitor, la coltivazione di rapporti molto cordiali con il governo di destra polacco, in cambio di un “cruciale appoggio diplomatico”, ha convinto Netanyahu a “chiudere un occhio” di fronte alle tendenze “xenofobe” di Varsavia, fino a ritorcersi contro il governo del Likud.

 

Sempre Caspit ricorda anche che nel 2016, i governi di Varsavia e Tel Aviv avevano sottoscritto una dichiarazione congiunta per manifestare la loro opposizione ai tentativi di “falsificare la storia degli ebrei o del popolo polacco negando o minimizzando la portata dell’Olocausto” o, ancora, “impiegando erroneamente termini della memoria come ‘campi di morte polacchi’”. A fare la differenza rispetto al 2016, sarebbe ora la criminalizzazione di coloro che collegano la Polonia o i polacchi alla Shoah.

 

Al di là delle controversie politiche, l’indignazione nei confronti dell’iniziativa annunciata dal governo e dal parlamento polacchi è legittima e doverosa. Da un lato, è un dato storico oggettivo che i campi di sterminio in territorio polacco fossero “tedeschi”, in quanto istituiti e gestiti dalle autorità militari e dalle SS come forze occupanti.

 

D’altro canto è ugualmente innegabile e storicamente accertato che in Polonia, così come negli altri paesi dell’Europa orientale invasi dalla Germania nazista, forze indigene fasciste e nazionaliste parteciparono attivamente a uno dei crimini più gravi della storia dell’umanità.

 

L’occultamento di questa realtà è un tentativo tutt’altro che nuovo della destra populista e ultra-nazionalista non solo polacca, impegnata in una campagna sostanzialmente revisionista volta a riabilitare organizzazioni e personalità storiche compromesse con il nazi-fascismo e i suoi crimini, in definitiva con l’obiettivo di promuovere forze dall’orientamento almeno in parte simile nel panorama politico odierno, come appunto il PiS in Polonia.

 

In questo paese, ben prima dell’invasione nazista vennero tra l’altro introdotte leggi razziali rivolte contro gli ebrei ed ebbero luogo violenti pogrom che rivelano a sufficienza l’antisemitismo di una parte della borghesia polacca.

 

L’occupazione tedesca poté poi contare su forze di polizia indigene che parteciparono alla cattura e alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. Allo stesso tempo, la sorte di centinaia di migliaia di ebrei fu segnata dalle delazioni di cittadini polacchi. Attacchi violenti contro questa comunità si registrarono sia nel corso della guerra, come quello piuttosto noto di Jedwabne del luglio 1941, sia addirittura dopo la sconfitta nazista, come alla fine del 1945 a Cracovia e nel giugno 1946 a Kielce.

 

Complessivamente, alcuni dei principali campi di concentramento nazisti sorgevano in Polonia, dove circa tre milioni di ebrei furono sterminati su una comunità di 3,5 milioni. Come in altri paesi occupati dalla Germania nazista, ad ogni modo, anche non pochi cittadini polacchi aiutarono o salvarono ebrei, nonostante il rischio di essere condannati a morte.

 

L’iniziativa del parlamento polacco si inserisce infine in un quadro politico e sociale segnato da una evidente deriva autoritaria sotto la spinta del governo del PiS, il cui ritorno al potere era stato favorito dal discredito sia delle forze moderate filo-europeiste sia dei social-democratici post-comunisti.

 

Le misure anti-democratiche prese dal governo, guidato prima da Beata Szydlo e in seguito da Morawiecki, ma sempre sotto la direzione del leader del partito di maggioranza, Jaroslaw Kaczynski, sono state molteplici in poco più di due anni. Tra quelle che hanno provocato il maggiore eco internazionale, assieme a un braccio di ferro con l’Unione Europea, va ricordata la “riforma” del sistema giudiziario, giudicata da molti come il tentativo di mettere la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo.

 

In generale, come conferma la recente legge sui crimini nazisti, il governo di estrema destra polacco sta cercando di alimentare i sentimenti nazionalisti più retrogradi tra la popolazione, dirottando così le tensioni sociali in direzione xenofoba e reazionaria. Questa tendenza non è peraltro esclusiva della Polonia, ma è osservabile in molte altre realtà europee, segnate dalla virtuale scomparsa della sinistra e dallo spostamento sempre più a destra degli equilibri politici.

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