In ottemperanza alle sanzioni approvate  a larga maggioranza nello scorso Luglio dal Congresso, che alla sezione 241 prevedono la pubblicazione del “Kremlin Report”, il Tesoro degli Stati Uniti ha pubblicato una nuova black list.  Contiene 210 nomi, tutti di membri particolarmente influenti nell’establishment finanziario e politico moscovita.

 

 

Cominciamo proprio dalla finanza, vero e malcelato obiettivo del tesoro USA. La lista comprende German Gref, CEO di Sberbank, la più grande banca di Russia; Igor Secin, capo del gigante petrolifero Rosneft; Alexei Miller, Ad di Gazprom che controlla le esportazioni di gas; il magnate dei metalli Alisher Usmanov, entrato nella proprietà dell’Arsenal; Evgenij Kasperskij, AD dell’omonima compagnia di cyber sicurezza e il patron del Chelsea Roman Abramovic, oltre a diversi altri uomini di alta finanza russa.

 

Ma per tentare di spargere fumo sulla guerra commerciale, il Tesoro USA ha appunto inserito tutti i membri dell’Amministrazione Putin: il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, il Primo Ministro Dmitrij Medvedev, il portavoce di Putin, Dimjtri Peskov. In buona sostanza, la diffusione di questa black list diventa una minaccia a tutto il governo russo. Il quale però, conoscendo a fondo le dinamiche politiche statunitensi, cataloga l’iniziativa come un atto di pirateria commerciale alla quale ormai ogni paese in grado di emergere economicamente è in qualche modo abituato.

 

Sono tutte figure di assoluto rilievo nel sistema russo ma non certo sconosciute: la lista, infatti, è un sostanziale copia-incolla di quella pubblicata dalla rivista Forbes pochi mesi fa e che elencava gli uomini più ricchi e influenti del mondo. In questo senso il Tesoro americano non ha dovuto fare grossi sforzi d’intelligence per stilarla e non a caso il portavoce della Duma ha definito la lista “un who is who della politica russa”, mentre Konstantin Kossaciov, presidente della Commissione Esteri del Senato, ha commentato: “Si ha l’impressione che i servizi segreti americani, dopo aver fatto fiasco nel trovare le prove di “kompromat” promesse, abbiano copiato l’elenco telefonico russo”.

 

Sul piano politico il tentativo di Washington è chiaro: tentare d’influire in qualche modo nelle elezioni russe del prossimo Marzo e provare a creare crepe nella rete interna ed esterna del Cremlino. Tentativo inutile e maldestro ma non per questo meno scorretto da parte di chi accusa Mosca dì intervenire nei processi elettorali di paesi terzi. Ma il core business dell’iniziativa è squisitamente commerciale, laddove si tenta di ribaltare con sanzioni e minacce una difficoltà di leadership sul piano commerciale utilizzando la leva degli embarghi e delle sanzioni.

 

Pur non configurandosi al momento sanzioni nei confronti degli appartenenti al sistema di potere russo, indicati solo come soggetti nei confronti dei quali le autorità statunitensi indagano, la lista ha come scopo spargere inquietudine sui mercati per tentare di spingere i paesi terzi e le grandi major internazionali  a chiudere i rapporti commerciali con la Russia, incutendo il timore che un successivo scattare di sanzioni commerciali statunitensi possa mettere a rischio le transazioni finanziarie e la libertà di spostamento.

 

Ci sono anche obiettivi di politica interna USA. Il primo è dimostrare quanto non vi siano legami tra la Casa Bianca e il Cremlino; il secondo è proseguire quanto già fatto dai suoi predecessori, ovvero estendere la propria legislazione all’intero pianeta, con una extraterritorialità che metta al riparo gli Stati Uniti dalla concorrenza di paesi in possesso di fondamentali economici decisamente migliori di quelli statunitensi.

 

Questa sembra essere l’essenza dell’America first. Un modo per imporre regole concepite ad esclusivo vantaggio di Washington, che tenta così di riacquistare una leadership persa già da diversi anni, da quando cioè il predominio monetario e commerciale è passato nelle mani europee, il dominio tecnologico in quelle asiatiche e quello militare è stato messo in discussione dalle ripetute debacle militari in Afghanistan e Irak, oltre alla perdita d’influenza in Medio Oriente e Golfo Persico.

 

Il nemico per gli USA non sono solo Russia e Cina (l’Iran è un nemico per procura, nel senso che lo è principalmente per le monarchie saudite e per Israele, con i quali gli USA agiscono in comunanza d’interessi ndr). Il nemico principale è l’Europa, la capacità di export della Germania, la tenuta della supremazia dell’Euro sul Dollaro.

 

E a proposito di Europa, paradossalmente la pubblicazione della lista avviene poche ore dopo l’intervento del presidente Trump a Davos, dove aveva ammonito al rispetto di regole paritarie per il commercio internazionale. Che, vista dal punto di vista statunitense, significa: nessuno può agire in suo nome e per suo conto, sono gli Stati uniti a decidere cosa, quanto e dove si può commerciare. E soprattutto chi può farlo e chi no.

 

Non è un caso che Washington faccia filtrare che l’accordo tra Germania e Russia per il Nord Stream 2, che prevede il raddoppio del gasdotto che già unisce Russia e Germania passando sui fondali del Baltico, sia rischioso. Si deve tener presente che la sezione 257 della normativa americana autorizza sanzioni contro chiunque partecipi alla costruzione di oleodotti in uscita dalla Russia, e invita esplicitamente il presidente americano “a contrastare” Nord Stream 2. Nel progetto sono coinvolte, oltre a Gazprom, Shell, l’austriaca OMV, la francese Engie e le tedesche Uniper e Wintershall.

 

Washington fa presente che proseguire con il progetto a questo punto è a rischioso e che converrebbe molto di più ai tedeschi e tutti gli altri paesi europei comprare energia dagli Stati Uniti e non dalla Russia. Lo ha affermato recentemente il segretario Usa al Commercio Wilbur Ross, che ha suggerito agli europei di “correggere il deficit commerciale transatlantico comprando più gas naturale liquido americano”. Ma guarda un po’.

 

Da parte USA c’è anche una buona dose di stizza verso gli europei, a seguito del rifiuto ultimo di Bruxelles ad aderire alle nuove sanzioni contro l’Iran, intervenute soprattutto per l’obbedienza cieca dell’amministrazione Trump verso il Premier israeliano Netanyahu. D’altra parte l’Europa, che ha costruito e difeso l’accordo tra Teheran e Washington sul nucleare che portò Obama a cancellare le sanzioni contro il governo persiano, non può vedersi dettare l’agenda commerciale e politica dall’isterica necessità di Trump di correre a cancellare ogni atto del suo predecessore alla Casa Bianca.

 

Liste antiterrorismo, anticorruzione, per violazioni dei diritti umani, per le condotte commerciali, per la sicurezza nazionale; gli Stati Uniti, indifferenti al diritto e alla verità costruiscono dossier artificiosi, dove stabiliscono dette violazioni in rapporto ai loro interessi. Ormai per ogni area dove sono in difficoltà si scagliano contro paesi e imprenditori, uomini politici o esponenti religiosi che non obbediscono e, attraverso liste di proscrizione e minacce a chi non le assume, impongono al mondo intero i loro obiettivi di politica interna ed estera. Un agire illegittimo, contrario alle regole del diritto internazionale, così come alle norme ed agli accordi che regolano il commercio internazionale e la stessa diplomazia, sono ormai l’essenza della politica estera statunitense.

 

E’ l’ennesima dimostrazione di come una superpotenza che ha perso da tempo la supremazia internazionale nella sfera economico-finanziaria, cerchi con la leva militare e attraverso il controllo degli organismi finanziari internazionali, di riprendersi con la forza e con il gioco sporco quel ruolo che ha perso a seguito della sua crisi economica, politica e commerciale, che ha accompagnato il loro indebolimento nella leadership mondiale.

 

Incapaci di pensare o anche solo immaginare una leadership condivisa per la governance mondiale, gli USA utilizzano il residuo di influenza politica e, soprattutto, il deterrente militare per schiacciare sotto di loro tutti coloro che si dimostrano più capaci di loro. Sarebbe bene che il consesso internazionale, proprio perché si trova in presenza di una interconnessione globale che amplifica ormai a dismisura ogni ripercussione, creando danni commerciali e finanziari non indifferenti, decidesse di reagire una volta e per tutte a tali manifestazioni di arroganza imperiale.

 

Di fronte ad un uso delle sanzioni a fini di vantaggi commerciali per chi le impone, è arrivato il momento di implementare misure di ritorsione sul piano politico, diplomatico e commerciale, che ripristino la quota minima necessaria di democrazia nel mercato globale. Servono azioni basate sul principio di reciprocità, da sempre cardine del diritto internazionale. Una Casa Bianca così priva di prestigio e di decenza potrebbe oltretutto semplificare  una decisione in tal senso. Perché allora non battere un colpo?

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