Il sanguinoso conflitto nello Yemen, in corso ormai da quasi tre anni, ha visto aprirsi in questi giorni un nuovo pericoloso fronte che minaccia di far crollare la coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita e intervenuta nel paese per riportare al potere il deposto presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi. Domenica scorsa è infatti andato in scena uno scontro violento tra le forze del governo appoggiato da Riyadh, temporaneamente installato nella città portuale di Aden, e quelle in teoria alleate che fanno capo al Consiglio di Transizione del Sud (STC), finanziate e armate dal regime degli Emirati Arabi Uniti.

 

 

Quest’ultimo paese e l’Arabia Saudita sono i protagonisti principali della coalizione impegnata nello Yemen contro i “ribelli” Houthi, che osservano pratiche religiose assimilabili allo sciismo. L’intervento era scattato dopo l’ingresso degli Houthi nella capitale del paese, Sana’a, nel 2015 e la conseguente deposizione del governo fantoccio di Riyadh e Washington, guidato appunto da Hadi.

 

Il confronto tra i gruppi armati sostenuti da Emirati Arabi e Arabia Saudita è giunto all’apice dopo che le forze governative avevano ignorato un ultimatum imposto dall’STC per sciogliere il gabinetto del primo ministro, Ahmed bin Daghr, perché accusato di incompetenza e corruzione. Il Consiglio di Transizione del Sud era stato creato lo scorso anno con l’obiettivo di raccogliere e riproporre le istanze separatiste della porzione meridionale del paese arabo, riunificato sotto il controllo del governo settentrionale nel 1990.

 

Proprio il riaccendersi delle rivendicazioni indipendentiste nel sud dello Yemen aggiunge un ulteriore elemento di complicazione al conflitto in atto, con riflessi non ancora del tutto chiari sulle sorti della coalizione e, ancor più, dell’intero paese letteralmente devastato dall’aggressione saudita.

 

Dopo un paio di giorni di scontri, condotti con artiglieria pesante e carri armati, le forze dell’STC hanno conquistato il controllo della città di Aden, mentre il primo ministro Daghr si è ritrovato accerchiato nel palazzo dove risiede temporaneamente il suo governo.

 

Fonti all’interno dell’STC hanno assicurato alle agenzie di stampa occidentali che sarebbero in corso negoziati per consentire a Daghr di lasciare incolume la città, ma quest’ultimo avrebbe manifestato l’intenzione di restare ad Aden. Il deposto presidente Hadi si trova invece da tempo in Arabia Saudita. Secondo quanto riportato dall’agenzia yemenita Saba, tra domenica e martedì sarebbero morte 16 persone negli scontri, mentre i feriti ammontano a 141. I dati della Croce Rossa Internazionale parlano però di almeno 36 morti e 185 feriti.

 

Nella giornata di mercoledì le tensioni sono sembrate rientrare parzialmente, con i separatisti che hanno ceduto alle forze appoggiate da Riyadh due basi militari che avevano in precedenza occupato, ufficialmente in seguito alla mediazione dell’Arabia Saudita. Fonti governative hanno addirittura riferito alla Reuters che la milizia del sud si sarebbe ritirata dalle postazioni conquistate.

 

L’interrogativo principale dopo gli eventi degli ultimi giorni riguarda quindi il futuro dell’alleanza militare che ha imposto morte e distruzione allo Yemen. Il leader dell’STC, Aydaroos al-Zubaydi, ha affermato in un’intervista a France 24 che la sua organizzazione rimane comunque fedele alla coalizione guidata da Riyadh che combatte contro gli Houthi. Allo stesso tempo, Zubaydi ha sollevato anche la questione potenzialmente esplosiva dell’indipendenza, sostenendo che “il popolo del sud [dello Yemen] ha diritto al proprio stato”, sia pure “quando la comunità internazionale sarà pronta”.

 

Da Riyadh, la risposta agli eventi di Aden ha nascosto a fatica le preoccupazioni per una situazione che potrebbe facilmente sfuggire di mano. Un comunicato ufficiale saudita ha invitato martedì entrambe le parti a “cessare le ostilità”, per poi avvertire che “la coalizione prenderà tutte le misure necessarie volte a ristabilire la sicurezza ad Aden”.

 

L’intervento militare saudita nello Yemen si era reso necessario per assicurare alla monarchia assoluta il mantenimento della propria influenza su un paese strategicamente cruciale nello scacchiere mediorientale. Inoltre, la presa del potere da parte degli Houthi poteva apriva scenari favorevoli all’Iran nello Yemen. La solidità dei legami tra la Repubblica Islamica e gli Houthi è in realtà quanto meno discutibile, ma l’Arabia Saudita e i suoi alleati nel conflitto, così come gli Stati Uniti, continuano a ingigantirli deliberatamente.

 

A livello ufficiale, la guerra di Riyadh avrebbe dovuto ristabilire l’ordine costituzionale e ridare stabilità al più povero dei paesi arabi attraverso il reinsediamento di Hadi. L’installazione di quest’ultimo alla presidenza dello Yemen nel 2012 aveva però ben poco a che fare con il trionfo della democrazia. Piuttosto, si trattava del risultato di un accordo-farsa, siglato grazie a USA e Arabia Saudita, che aveva fatto sfociare la rivolta popolare, esplosa nel 2011 nell’ambito della “primavera araba” contro l’allora presidente Ali Abdullah Saleh, in un’elezione a cui aveva preso parte il solo Hadi.

 

L’aggressione saudita era apparsa da subito come un’impresa criminale che, in meno di due anni, ha fatto più di diecimila morti, creato milioni di profughi interni, prodotto carestie ed epidemie su vasta scala e distrutto gran parte delle infrastrutture pubbliche e private dello Yemen.

 

Sul piano strategico, l’avventura bellica promossa dall’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, non ha fatto nulla per rafforzare la posizione di Riyadh nella regione. Ciò che ha causato, tra l’altro, è invece il riappropriarsi di ampi spazi di manovra da parte delle organizzazioni fondamentaliste già attive in territorio yemenita, a cominciare da “al-Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP).

 

A tutto questo va ora aggiunto l’infiammarsi delle spinte separatiste nel sud del paese, stimolate chiaramente dal caos seguito alla guerra, oltre ovviamente all’impatto rovinoso che esse avranno ancora una volta su una popolazione civile già allo stremo.

 

Gli scontri di questi giorni tra le fazioni teoricamente alleate nella guerra contro gli Houthi rivelano anche un’altra realtà dietro all’aggressione dello Yemen. L’offensiva dell’STC contro le forze fedeli al presidente Hadi può essere stata condotta solo con il via libera degli Emirati Arabi Uniti, il cui regime coltiva evidentemente ambizioni divergenti da quelle degli alleati sauditi. Lo Yemen, in altri termini, sembra essere sempre più anche il terreno di confronto tra le ambizioni di Riyadh e quelle di Abu Dhabi per la supremazia in Medio Oriente.

 

In questo scenario sempre più complesso, le possibilità di una soluzione pacifica del conflitto appaiono lontanissime. A confermarlo è stato recentemente anche l’annuncio dell’abbandono dell’incarico di mediatore ONU per la guerra in Yemen da parte del diplomatico mauritano, Ismail Ould Cheikh Ahmed.

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