A pochi giorni dall’apertura dei giochi olimpici invernali, a cui prenderà parte una delegazione di atleti della Corea del Nord, i segnali di distensione tra Seoul e Pyongyang continuano per il momento a suscitare poca fiducia per un possibile percorso di pace in Asia nord-orientale. Malgrado le aperture e la disponibilità sudcoreana, l’elemento destabilizzante di una situazione caldissima rimane il governo di Washington, da dove i segnali che giungono sono invece invariabilmente minacciosi.

 

 

I modesti progressi fatti dalle due Coree, a partire dall’incontro tra le rispettive delegazioni in una località di confine a inizio anno, sembrano essere passati inosservati per l’amministrazione Trump. Gli Stati Uniti hanno infatti sostanzialmente proseguito la campagna di minacce e l’escalation militare inaugurate dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca.

 

Uno degli indizi che la crisi coreana continua a peggiorare, nonostante i barlumi di speranza legati all’Olimpiade in Corea del Sud, è il moltiplicarsi di editoriali e analisi allarmate sui media americani per la possibilità sempre molto concreta di un attacco militare preventivo contro Pyongyang.

 

La vicenda di questi giorni relativa alla scelta dell’ambasciatore americano a Seoul ha ad esempio confermato le intenzioni dell’amministrazione Trump. A fine 2017, la Casa Bianca aveva scelto per l’incarico l’ex membro dell’amministrazione Bush jr. e docente alla Georgetown University, Victor Cha. Il nome di quest’ultimo era stato accolto positivamente dal governo sudcoreano del presidente di centro-sinistra, Moon Jae-in, tanto che a dicembre era arrivata la notifica da parte di Seoul dell’accettazione del nuovo ambasciatore USA attraverso una prassi diplomatica nota come “agrément”.

 

Il processo di nomina si era però inceppato e questa settimana il Washington Post ha scritto che l’amministrazione Trump era intenzionata a tornare sui propri passi e a mettere da parte Cha. La notizia è stata poi confermata dal governo americano, con la motivazione ufficiale che le procedure per la verifica dei precedenti di Cha, che avrebbero dovuto garantirgli le necessarie autorizzazioni per la sicurezza, si sarebbero arenate a causa di problemi non meglio definiti. Analisti ed ex diplomatici hanno però fatto notare come sia estremamente insolito che problemi di questo genere vengano rilevati dopo che un ambasciatore nominato è stato proposto al governo del paese dove verrà assegnato.

 

La vera ragione del siluramento di Victor Cha ha invece a che fare con le sue posizioni troppo moderate sulla crisi coreana. Nello specifico, il diplomatico americano avrebbe espresso durante almeno un intervento pubblico a dicembre la sua contrarietà all’opzione militare che il Pentagono e la Casa Bianca stanno seriamente considerando.

 

Allo studio c’è infatti l’ipotesi, a dir poco sconsiderata, di colpire preventivamente la Corea del Nord per convincere Kim Jong-un ad abbandonare il proprio programma nucleare, confidando che il regime si astenga dal mettere in atto ritorsioni.

 

Il Financial Times ha anche rivelato che membri del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Trump hanno chiesto a Cha se, in qualità di ambasciatore a Seoul, sarebbe stato pronto a gestire l’evacuazione di civili americani dalla Corea del Sud in previsione di un’aggressione militare contro Pyongyang. Il diplomatico aveva al proposito espresso serie riserve.

 

La pericolosità dell’attitudine dell’amministrazione Trump è confermata dal fatto che Victor Cha viene considerato unanimemente un “falco” sulle questioni della Corea del Nord negli ambienti della politica estera a Washington. Che le sue posizioni siano ora considerate moderate in relazione allo scontro con Pyongyang dà a sufficienza l’idea di quanto la Casa Bianca sia vicina a una guerra nella penisola di Corea.

 

Trump, da parte sua, nel discorso di martedì sullo “Stato dell’Unione” ancora una volta non ha risparmiato parole pesanti nei confronti del regime di Kim. Parlando ai membri del Congresso e, significativamente, alla presenza di un cittadino nordcoreano fuggito dal suo paese di origine, ha messo in guardia dal pericolo che Pyongyang rappresenterebbe per gli Stati Uniti.

 

Lo stesso presidente ha poi denunciato l’atteggiamento “compiacente” dell’amministrazione Obama e le “concessioni” che il suo predecessore avrebbe assicurato alla Corea del Nord. Al contrario, quello che intende fare il suo governo è “condurre una campagna di massima pressione” sul regime.

 

Le conseguenze immediate di un’aggressione militare americana contro la Corea del Nord sono difficili da valutare. Nell’ipotesi più che probabile di un contrattacco da parte di Pyongyang, solo nelle prime fasi del conflitto potrebbero morire milioni di persone nella capitale sudcoreana, situata a una manciata di chilometri dal confine settentrionale. Il protrarsi delle ostilità potrebbe inoltre coinvolgere paesi come Cina e Russia, sfociando in una guerra nucleare su vasta scala.

 

Alla luce di questo rischio, il governo di Seoul mostra segni sempre più evidenti delle paure per le possibili decisioni dell’alleato americano. Le inquietudini a sud del 38esimo parallelo sono aumentate ulteriormente in questi giorni in seguito alla diffusione di immagini satellitari che mostrerebbero come Pyongyang stia preparando una massiccia sfilata militare proprio alla vigilia dell’apertura dei giochi olimpici.

 

Questa iniziativa potrebbe essere considerata una nuova provocazione a Washington, così come un altro possibile test missilistico dopo la tregua olimpica, secondo alcuni analisti del tutto plausibile. Da parte americana, ancor più, nelle prossime settimane potrebbero arrivare nuove sanzioni per completare di fatto l’embargo energetico ai danni della Corea del Nord. Una simile misura, come ha avvertito l’ambasciatore russo a Pyongyang, sarebbe una vera e propria dichiarazione di guerra, con tutte le conseguenze del caso.

 

Il presidente sudcoreano Moon continua comunque ad assicurare che gli Stati Uniti non attaccheranno la Corea del Nord senza la sua approvazione. I preparativi di guerra ormai avanzati, assieme agli inestricabili nodi strategici che stanno alla base della crisi, ma anche l’arroganza e la necessità di allentare le pressioni sul fronte domestico da parte dell’amministrazione Trump, potrebbero rendere tuttavia drammaticamente illusorie le speranze di Seoul.

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