La visita di martedì a Pyongyang di una delegazione di alto livello del governo sudcoreano ha portato apparentemente a un miglioramento delle prospettive di pace di fatto senza precedenti nell’ultimo decennio. Lo stesso leader nordcoreano, Kim Jong-un, è stato protagonista di un lungo incontro con gli inviati di Seoul e le dichiarazioni ufficiali che sono seguite hanno evidenziato un possibile significativo cambiamento delle posizioni del regime, i cui effetti saranno da verificare soprattutto a Washington.

 

 

Il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, aveva affidato la missione oltre il confine settentrionale al capo dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale, Chung Eui-yong, alla guida di una delegazione di dieci uomini, tra i quali spiccava il numero uno dell’intelligence di Seoul, Suh Hoon.

 

La composizione della squadra inviata a Pyongyang lasciava intendere l’intenzione di sollevare la questione del nucleare con i leader nordcoreani. Un’intenzione sottolineata nel corso di una conferenza stampa tenuta lunedì dal ministro degli Esteri di Seoul, Kang Kyung-wha, il quale aveva chiarito che il “dialogo inter-coreano” non avrebbe potuto procedere senza progressi sulla questione della “denuclearizzazione” della penisola.

 

L’altro obiettivo principale del viaggio in Corea del Nord era quello di favorire un avvicinamento tra Pyongyang e Washington, evidentemente chiedendo a Kim un segnale di disponibilità nei confronti dell’amministrazione Trump.

 

Su entrambi i fronti il summit di martedì è sembrato dare risultati considerevoli, se non altro in rapporto al livello di gravità raggiunto dalla crisi coreana nell’ultimo anno. A partire dalla decisione relativamente a sorpresa di Kim di incontrare i membri della delegazione sudcoreana quasi subito dopo il loro atterraggio a Pyongyang, l’evento è stato segnato da un susseguirsi di comunicati che, almeno teoricamente, hanno finito per delineare un quadro poco meno che ideale per il procedere dei negoziati di pace.

 

Simbolicamente importante è l’annunciato faccia a faccia tra Kim e Moon, che dovrebbe tenersi a fine aprile nella località di confine di Panmunjom. L’incontro tra i leader dei due paesi separati dal 38esimo parallelo sarebbe il primo dal 2007, quando, nell’ambito della “Sunshine policy” perseguita a Seoul, Kim Jong-il accolse a Pyongyang l’allora presidente sudcoreano, Roh Moo-hyun.

 

Ancora di maggiore sostanza è stata l’offerta implicita del regime nordcoreano di rinunciare al proprio arsenale nucleare in cambio della normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti. Secondo la ricostruzione dell’inviato sudcoreano Chung Eui-yong, Kim avrebbe affermato che il suo paese potrebbe non avere necessità di conservare armi atomiche se dovessero venire meno le minacce alla sicurezza nazionale e fosse garantita la sopravvivenza del regime.

 

Questa posizione, se effettivamente confermata da Pyongyang, sarebbe di estrema importanza almeno per due ragioni. In primo luogo, la disponibilità di Kim risponderebbe, per quanto oggettivamente possibile, alle precondizioni imposte dagli USA per aprire un qualche dialogo.

 

Da Washington si è sempre insistito sulla necessità da parte della Nordcorea di abbandonare le proprie armi nucleari prima di intraprendere un percorso diplomatico. Se uno smantellamento preventivo e senza rassicurazioni del programma di Pyongyang appare impossibile da accettare, l’offerta presumibilmente fatta da Kim martedì sembra il massimo sforzo che il regime è in grado di produrre per dimostrare la disponibilità a trattare con gli Stati Uniti.

 

Il secondo motivo dell’importanza dell’apertura di Kim è che essa contribuisce a smentire i giudizi americani sulla natura e il comportamento del regime, puntualmente descritto come aggressivo e irrazionale, ovvero una minaccia costante ai paesi vicini se non all’intero pianeta.

 

Il collegamento fatto dal leader nordcoreano tra l’arsenale nucleare e la sicurezza nazionale chiarisce invece come il primo sia in sostanza di natura difensiva. L’escalation della crisi nella penisola è stata alimentata infatti dalla militarizzazione e dalle continue pressioni americane, responsabili dell’isolamento del regime di Pyongyang e della più che giustificata percezione, da parte di quest’ultimo, di una minaccia persistente alla propria stessa esistenza.

 

Le aperture mostrate martedì da Kim sono comunque apparse chiare anche da altre dichiarazioni, sia pure al netto della consueta retorica nordcoreana. Il giovane leader ha parlato della sua volontà di “promuovere vigorosamente” le relazioni con Seoul e, addirittura, di “scrivere una nuova storia della riunificazione nazionale”. L’agenzia di stampa ufficiale KCNA ha poi aggiunto che Kim intende “attenuare le gravi tensioni militari nella penisola” e attivare un processo “flessibile” per la promozione di “contatti, dialogo, cooperazione e scambi”.

 

La disponibilità nordcoreana al dialogo, sia con Seoul sia ancor più con Washington, era ad ogni modo emersa almeno a partire dall’inizio dell’anno, quando Kim aveva proposto un incontro, poi avvenuto, tra due delegazioni coreane lungo la linea di confine. In quell’occasione, tuttavia, quando gli inviati del governo della Corea del Sud avevano sollevato la questione del nucleare, i rappresentanti di Pyongyang avevano ostentato un evidente fastidio.

 

Con il vertice di martedì, al contrario, il programma nucleare è tornato al centro dei neonati colloqui, a conferma appunto di come, dal punto di vista nordcoreano, i tempi siano maturi per la riapertura di un negoziato a tutto campo con gli Stati Uniti. Questa accelerazione da parte del regime, va sottolineato, arriva oltretutto il giorno dopo la decisione dell’amministrazione Trump di adottare nuove sanzioni punitive contro la Corea del Nord, questa volta in relazione a un presunto uso di armi chimiche.

 

Sempre in concomitanza con la visita a Pyongyang della delegazione sudcoreana, il sito 38 North, dedicato alle questioni riguardanti la penisola, sia pure senza conferme, ha scritto che immagini satellitari avrebbero mostrato segnali di attività di un reattore del centro di ricerca nucleare di Yongbyon. Ciò indicherebbe la ripresa della produzione di plutonio, per la testata on-line destinato al programma nucleare militare nordcoreano.

 

I nuovi scenari emersi questa settimana rappresentano un successo per il governo del presidente sudcoreano Moon, impegnato fin dal suo insediamento nello sforzo per la distensione con il vicino settentrionale. I segnali di speranza giunti da Pyongyang vanno però messi in rapporto con la necessità di Seoul di mantenere un necessario equilibrio tra gli impulsi alla riconciliazione con il Nord e la gestione dell’alleanza con gli USA, di fatto il principale fattore di destabilizzazione della regione asiatica nord-orientale.

 

Forse proprio per quest’ultimo imperativo strategico di Seoul, l’entusiasmo per i più recenti sviluppi del dialogo inter-coreano è stato in qualche modo temperato da una dichiarazione rilasciata sempre martedì dal presidente Moon sulla necessità per il suo paese di continuare a rafforzare le “capacità di difesa” in modo da far fronte alla minaccia militare nordcoreana. A questo scopo, lo stesso Moon ha poi aggiunto che la Corea del Sud si adopererà per lo “sviluppo ulteriore” di un sistema difensivo congiunto con gli Stati Uniti.

 

Il fattore con il quale si misureranno i progressi nel dialogo sulla penisola di Corea sarà l’atteggiamento americano. Le reazioni mostrate finora dall’amministrazione Trump ai segnali provenienti da Seoul e Pyongyang sono andate dal cauto allo stizzito e, al momento, non ci sono indicazioni della possibilità di valutare concessioni al regime di Kim o che le offerte provenienti dalla Corea del Nord possano essere accettate a Washington. Martedì il presidente Trump ha twittato sul vertice, riconoscendo i progressi ma avvertendo anche del pericolo di nutrire “false speranze”.

 

L’ostacolo principale alla distensione è da ricercare d’altra parte nelle vere ragioni dell’aggressività degli USA nei confronti della Corea del Nord ed esse hanno ben poco a che fare con la reale minaccia militare del regime di Kim. Le scelte relative alla Corea degli Stati Uniti hanno cioè come obiettivo primario la Cina, ovvero l’unico alleato di Pyongyang, e questo nodo strategico potrà difficilmente essere sciolto tramite una trattativa onesta con la Corea del Nord e, ancora meno, con un eventuale accordo che riconosca la legittimità delle aspirazioni di questo paese.

 

D’altro canto, in favore del processo di pace vi è la più che probabile disponibilità del regime a trasformare la Corea del Nord in una base operativa delle grandi aziende straniere, attirate da una vasta manodopera a bassissimo costo nel quadro di un processo controllato in maniera centralizzata, sull’esempio cinese o vietnamita. Una visione simile è secondo alcuni nei piani di Kim, il quale potrebbe anche essere pronto a prendere le distanze da Pechino, come ha effettivamente già mostrato in più di un’occasione dalla sua ascesa al potere.

 

Simili sviluppi, sempre che possano risultare realistici, sono comunque di là da venire. Per il momento, l’interrogativo cruciale riguarda la reazione americana alle aperture nordcoreane. Oltre alle notizie che arriveranno da Washington nelle prossime ore, un primo momento decisivo si avrà alla chiusura delle Paralimpiadi il prossimo 18 marzo, quando dovrebbero riprendere le esercitazioni militari congiunte tra USA e Corea del Sud, sospese ai primi di febbraio per favorire i segnali di distensione che il mondo ha osservato con speranza durante i giochi invernali di PyeongChang.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy