L’ossessione anti-russa dei governi occidentali si è trasformata in questi giorni in una pericolosa farsa dopo l’intervento al Parlamento di Londra del primo ministro britannico, Theresa May, per incolpare pubblicamente Mosca dell’avvelenamento dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari russi, Sergei Skripal, e della figlia, Yulia, nella città inglese di Salisbury.

 

Skripal era stato condannato in patria per avere passato informazioni riservate all’intelligence del Regno Unito. Rilasciato nel 2010 in seguito a uno scambio di spie che aveva coinvolto Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna, Skripal si era subito trasferito in quest’ultimo paese, dove viveva apparentemente indisturbato e senza fare attività politica contro il governo del suo paese d’origine.

 

 

Alla mezzanotte di martedì dovrebbe scadere un ridicolo ultimatum imposto al Cremlino per dimostrare l’estraneità della Russia nell’attacco, avvenuto, secondo le autorità britanniche, con un “agente nervino”. Anche accettando per buone le conclusioni dell’assurda propaganda del governo di Londra,  le modalità dell’indagine, che avrebbe portato a individuare all’interno del governo del presidente Putin i responsabili dell’accaduto, non hanno alcun fondamento logico né legale.

 

Tutto l’impianto accusatorio, per così dire, consiste in una nuova campagna anti-russa all’insegna della massima isteria. L’operazione è stata orchestrata a Londra e a Washington e a essa ha preso diligentemente parte la stampa ufficiale britannica e svariati governi europei, del cui appoggio il ministro degli Esteri Boris Johnson si è compiaciuto nella giornata di martedì.

 

Il tono e la gravità delle accuse a tutto campo rivolte lunedì dalla May alla Russia indicano innanzitutto una chiara premeditazione da parte del suo governo, con ogni probabilità in collaborazione con i più stretti alleati, per far salire ulteriormente il livello dello scontro con Mosca. La leader conservatrice ha tratto una serie di conclusioni dal presunto atteggiamento russo, col preciso intento di caratterizzare le azioni di questo paese come criminali e al di fuori della legalità internazionale.

 

Così stando le cose, i servizi di sicurezza britannici e il governo di Londra ritengono “altamente probabile” che la Russia sia direttamente responsabile dell’avvelenamento di Sergei e Yulia Skripal. Se così non fosse, Mosca è ugualmente da condannare in quanto ha consentito che la sostanza tossica impiegata nell’attacco finisse nelle mani degli ignoti colpevoli.

 

Il fatto che Theresa May si sia astenuta dal dare per certe le responsabilità russe, ricorrendo invece alla formula “altamente probabile”, è di per sé già un primo indizio della natura politica del suo intervento. Londra non ha cioè individuato alcun responsabile certo per i fatti di Salisbury, visto che nessuna prova concreta e credibile è stata presentata, ma ciononostante ha deciso di puntare il dito contro Mosca, oltretutto attraverso una clamorosa esibizione in Parlamento del primo ministro.

 

Il coinvolgimento di Mosca dipenderebbe dall’uso, per l’avvelenamento degli Skripal, di una sostanza riconducibile a un programma per la produzione di agenti chimici sviluppato per la prima volta dall’Unione Sovietica negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Tuttavia, il programma “Novichok”, come hanno spiegato vari commentatori indipendenti e filo-russi, oltre a essere stato smantellato, da decenni non è più un segreto o un’esclusiva russa, essendo stato in vari modi condiviso o spiegato nel dettaglio ai governi occidentali e alle agenzie internazionali competenti.

 

La stessa Gran Bretagna è senza dubbio in grado di produrre queste sostanze, probabilmente anche nel laboratorio di armi chimiche di Porton Down, situato a una manciata di chilometri da Salisbury. Secondo le autorità britanniche, proprio il personale operante in questa struttura avrebbe individuato la sostanza utilizzata nell’operazione diretta contro Sergei Skripal e la figlia.

 

Il modo con cui Londra sta procedendo nella costruzione del caso contro Mosca conferma ancora di più le perplessità. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha rivelato come la Gran Bretagna abbia respinto la richiesta del Cremlino di avere accesso ai campioni di gas nervino raccolti e presumibilmente responsabili dell’avvelenamento.

 

L’analisi delle prove da parte dell’accusato dovrebbe essere un elemento fondamentale in un procedimento di questo genere e ciò è anche previsto dalla Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche, di cui Russia e Gran Bretagna sono firmatarie. Mosca ha poi offerto la propria collaborazione nell’indagare sull’accaduto, ma l’intenzione di Londra è precisamente quella di impedire che si faccia luce sui fatti e dichiarare la Russia colpevole a priori attraverso l’imposizione di un ultimatum, nonostante l’assenza di prove concrete.

 

Il caso è dunque un chiaro esempio di inversione dell’onere della prova. Il governo di Mosca dovrebbe cioè dimostrare la propria innocenza di fronte ad accuse infondate e senza avere accesso alle informazioni e al materiale raccolto dalla Gran Bretagna in relazione all’attacco di Salisbury.

 

In ogni caso, il mancato rispetto dell’ultimatum da parte del Cremlino farà scattare ritorsioni che potrebbero andare dall’espulsione di diplomatici russi dalla Gran Bretagna all’adozione di nuove sanzioni. In maniera inquietante, la stampa britannica ha scritto che qualsiasi eventuale azione decisa dal governo May potrebbe essere fatta rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 51 della carta ONU, che consente la legittima difesa di un paese membro di fronte a un attacco esterno, o, peggio ancora, dell’articolo 5 del trattato NATO, relativo alla difesa comune.

 

Nel delirio che sta coinvolgendo praticamente tutto l’establishment politico e mediatico d’oltremanica, in molti hanno anche avanzato l’ipotesi di revocare la licenza di trasmettere in Gran Bretagna al network russo RT (ex Russia Today).

 

In questo scenario irrazionale, fuori da ogni discussione resta una qualsiasi analisi delle motivazioni che avrebbero spinto Putin ad autorizzare un’azione all’estero per colpire, oltre sette anni dopo l’espatrio, un ex agente segreto che aveva soggiornato a lungo nelle prigioni patrie, nonché la figlia, che continuava a vivere e a lavorare in Russia. Non solo, a sfuggire continua a essere anche il meccanismo che sarebbe alla base della decisione di Mosca di procedere, senza evidenti benefici, con un’operazione clamorosa che avrebbe ovviamente provocato un nuovo intensificarsi della caccia alle streghe anti-russa già in atto.

 

Ad ogni modo, vista l’ovvia impossibilità russa di rispondere a un ultimatum oggettivamente assurdo, il governo di Londra ha già convocato una riunione del consiglio per la sicurezza nazionale nella giornata di mercoledì, all’interno del quale saranno discusse le misure da adottare.

 

Quest’ultimo episodio della campagna anti-russa in atto si registra in un momento in cui lo scontro tra Mosca e l’Occidente sta facendo segnare una grave escalation su vari fronti, tra cui quello siriano. Il governo May nei giorni scorsi aveva infatti assicurato che avrebbe valutato un intervento militare contro le forze di Assad, appoggiate dalla Russia, se fossero emerse prove dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’assedio di Ghouta est, alla periferia di Damasco.

 

In un’azione probabilmente coordinata con gli alleati da questa parte dell’Atlantico, inoltre, a inizio settimana gli Stati Uniti hanno minacciato a loro volta un’azione militare a Ghouta, di fatto per salvare i gruppi fondamentalisti “ribelli” dall’offensiva siriana. Per tutta risposta, Mosca ha avvertito che le proprie forze armate presenti in Siria reagiranno in maniera adeguata a qualsiasi minaccia militare.

 

Il convergere di questi scenari di crisi minaccia così di spingere la Russia e l’Occidente sempre più verso uno scontro armato. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il rischio è aggravato anche dallo sbando in cui si trova il governo di Theresa May, deciso a dirottare verso un presunto nemico esterno le tensioni esplosive provocate dalle spaccature prodotte dalla “Brexit” e dalle complicate trattative in corso con l’Unione Europea.

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