Per quanti si aspettavano un cambiamento di rotta incoraggiante dopo la notizia del possibile incontro tra il presidente americano Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, il licenziamento del segretario di Stato, Rex Tillerson, nella giornata di martedì è arrivato come un brusco avvertimento della pericolosità e del carattere imprevedibile dell’amministrazione repubblicana.

 

La notizia era nell’aria da qualche tempo e, anzi, già svariati mesi fa la stampa americana aveva parlato di un imminente allontanamento dal dipartimento di Stato dell’ex amministratore delegato di ExxonMobil. Le divergenze tra Tillerson e Trump o, meglio, tra il primo e la fazione dei “falchi” della politica estera erano d’altra parte ben note.

 

 

Anche le modalità del licenziamento, oltre a confermare la totale confusione che regna alla Casa Bianca, hanno evidenziato il logorarsi definitivo di un rapporto mai decollato ed esemplificato dall’invito, fatto qualche mese fa dal presidente al suo segretario di Stato, a “non sprecare tempo” nel cercare un qualche dialogo con il regime della Corea del Nord.

 

Trump ha come al solito annunciato la sua decisione con un “tweet” scritto di prima mattina e solo alcune ore più tardi ha chiamato al telefono Tillerson per comunicargli la decisione di rimuoverlo dal suo incarico e sostituirlo con l’attuale direttore della CIA, l’ex deputato repubblicano Mike Pompeo.

 

La Casa Bianca aveva inoltre sostenuto che Tillerson era pronto ad abbandonare il suo posto già dallo scorso fine settimana, ma un portavoce del dipartimento di Stato, poi a sua volta licenziato, aveva smentito questa versione, rivelando che il suo superiore ancora nella mattinata di martedì era ben deciso a conservare l’incarico.

 

In un incontro con i giornalisti prima della sua partenza per una visita in California, martedì Trump ha comunque ribadito le differenti vedute con Tillerson, scegliendo come esempio la questione del nucleare iraniano. Per il segretario di Stato uscente, cioè, l’accordo di Vienna del 2015 andava salvaguardato, mentre Trump continua a minacciare un’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’intesa.

 

Paradossalmente, anche sulla Corea del Nord la posizione di Tillerson era considerata troppo conciliante, nonostante il suo allontanamento coincida con i preparativi di uno storico faccia a faccia tra Trump e Kim, a conferma probabilmente delle intenzioni non esattamente pacifiche della Casa Bianca in relazione al vertice.

 

Sulla sorte di Tillerson hanno pesato anche altri due fattori. Il primo è da collegare alle pressioni sulla Casa Bianca per il suo licenziamento esercitate da paesi come Israele e Arabia Saudita, irritati per il mancato pieno sostegno del segretario di Stato alle politiche anti-iraniane da loro promosse.

 

L’altro è il clima teso e ostile creatosi al dipartimento di Stato fin dall’arrivo di Tillerson oltre un anno fa, principalmente a causa dei metodi di quest’ultimo, impegnato a limitare il peso dei diplomatici di carriera, preferendo affidarsi a una ristretta cerchia di fidati consiglieri.

 

Il messaggio che giunge da Washington con il licenziamento di Rex Tillerson è dunque quello di un’amministrazione intenzionata a imprimere una nuova svolta aggressiva alla propria politica estera. La scelta di Pompeo per guidare la diplomazia americana lascia d’altra parte pochi dubbi.

 

Il numero uno della CIA, oltre ad avere inclinazioni anti-islamiche al limite del razzismo e a essere un noto sostenitore dei metodi di tortura negli interrogatori di presunti terroristi, si colloca su posizioni decisamente più a destra per quanto riguarda le principali questioni internazionali, dall’Iran alla Siria alla Corea del Nord.

 

Anche in merito alle relazioni con la Russia è probabile attendersi un ulteriore peggioramento. Pur non essendosi mai adoperato apertamente e in maniera particolarmente incisiva per una distensione tra Washington e Mosca, Tillerson aveva talvolta mostrato una certa moderazione su questo fronte.

 

Pompeo, al contrario, ha puntualmente assecondato la caccia alle streghe contro Mosca di questi ultimi mesi. Non a caso, infatti, alcuni commenti sui media ufficiali USA, apparsi poco dopo la notizia della sua nomina alla guida del dipartimento di Stato, hanno invitato Pompeo a muoversi rapidamente per contrastare la presunta minaccia russa, così da mettere fine alle incertezze e alle ambiguità mostrate finora dall’amministrazione Trump.

 

Che l’ennesimo terremoto all’interno dell’amministrazione Trump prefiguri un ulteriore rafforzamento dell’ala “neo-conservatrice” dell’establishment americano è confermato anche dalla scelta della nuova numero uno della CIA che dovrà sostituire Pompeo.

 

Al suo posto andrà l’attuale vice-direttrice dell’agenzia di Langley, Gina Haspel. Nonostante si tratti della prima donna in assoluto alla guida della CIA, la Haspel è una figura gravemente compromessa. Negli anni successivi all’11 settembre 2001, quest’ultima aveva presieduto agli interrogatori illegali di sospettati di terrorismo in una prigione clandestina in Thailandia.

 

In questo “buco nero” della CIA veniva fatto ampio ricorso al metodo del “wateboarding”, mentre la stessa Haspel è stata anche coinvolta nella controversa vicenda della distruzione illegale delle registrazioni degli interrogatori. Gina Haspel, così come gli altri membri della CIA responsabili di questi crimini, hanno potuto evitare incriminazioni e condanne solo grazie alla protezione di fatto garantita dall’amministrazione Obama.

 

Tornando a Tillerson, la sua cacciata potrebbe non essere l’ultima tra gli esponenti di spicco dell’amministrazione Trump. Il segretario di Stato era considerato molto vicino ad esempio al numero uno del Pentagono, James Mattis, anch’esso frequentemente ai ferri corti con il presidente e forse a rischio nel prossimo futuro. Lo stesso consigliere per la sicurezza nazionale, H. R. McMaster, sembra essere al centro di ripetuti scontro con Trump e per questo con un piede fuori dalla Casa Bianca, come hanno rivelato i media americani nelle scorse settimane.

 

Con l’aggravarsi dello scontro interno all’amministrazione Trump e della crisi politica a Washington sull’onda del “Russiagate”, il continuo ricambio deciso dalla Casa Bianca comporta così un costante spostamento a destra delle posizioni del governo americano, con conseguenze potenzialmente esplosive sullo stato dei conflitti a livello internazionale.

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