A oltre 40 anni dalla fine della guerra, gli Stati Uniti e il Vietnam stanno allacciando rapidamente relazioni politiche e militari sempre più solide in un quadro regionale, come quello del sud-est asiatico, segnato dalla crescente competizione tra Washington e Pechino. Lo stato dei rapporti bilaterali tra questi due paesi è risultato evidente la scorsa settimana, quando la portaerei americana “Carl Vinson”, accompagnata da altre due navi da guerra, è stata protagonista di una visita di cinque giorni nel porto vietnamita di Da Nang.

 

 

Quella della nave da 103 mila tonnellate, e del personale che essa ospita, è stata la presenza militare americana più importante sul territorio del Vietnam dal 1975. Per i due paesi, l’evento è sembrato così segnare il passaggio, nelle parole dell’ambasciatore USA a Hanoi Daniel Kritenbrink, “da ex nemici a partner”.

La metamorfosi delle relazioni tra Stati Uniti e Vietnam è tanto più significativa se si pensa al livello di devastazione provocato dai primi, con la collaborazione dei loro alleati, nel paese asiatico. Tuttavia, questa evoluzione non è inspiegabile né particolarmente sorprendente. Il motore di essa è infatti principalmente l’impetuosa espansione dell’influenza cinese in Estremo Oriente.

 

Una presenza sempre più forte, quella di Pechino, che ha da un lato alimentato rivalità e senso di diffidenza millenari in Vietnam, facendo riesplodere inoltre annose contese marittime e territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Dall’altro, com’è da tempo evidente, essa minaccia anche la supremazia militare e strategica americana in Asia orientale.

 

Il Vietnam appare dunque come uno dei potenziali alleati ideali di Washington nella propria campagna anti-cinese nella regione, tanto da essere identificato come “partner marittimo collaborativo” nel più recente documento sulla sicurezza strategica formulato dal governo americano nel mese di dicembre. In questa stessa analisi strategica, gli USA indicano la Cina, assieme alla Russia, come la principale minaccia all’ordine mondiale esistente, per la difesa del quale, negli scenari dell’Asia sud-orientale, il regime di Hanoi viene sempre più considerato un elemento cruciale.

 

L’ascesa del Vietnam nella considerazione americana è collegata anche alle spinte centrifughe che stanno caratterizzando in maniera più o meno evidente alcuni tradizionali alleati di Washington nella regione, dalle Filippine alla Thailandia all’Indonesia. Questi e altri paesi, come peraltro lo stesso Vietnam, sono sempre più attratti nell’orbita cinese grazie alle prospettive economiche e commerciali che Pechino, al contrario di Washington, è in grado di offrire.

 

Il Vietnam, ad ogni modo, anche per ragioni storiche appare come uno dei paesi maggiormente impegnati nel tentativo di far fronte alle tendenze espansionistiche cinesi. Nel Mar Cinese Meridionale, ad esempio, alla presunta militarizzazione da parte di Pechino di isole e atolli contesi Hanoi ha spesso risposto con iniziative simili, mentre da qualche anno il regime è nel pieno di una campagna di rafforzamento dei propri equipaggiamenti militari, forniti principalmente dalla Russia.

Tutte queste attività hanno fatto salire le tensioni con la Cina, così come lo stesso effetto hanno avuto gli inviti, da parte del Vietnam, a compagnie energetiche straniere, tra cui indiane, per esplorare potenziali giacimenti di gas e petrolio in aree marittime contese con Pechino.

 

Anche all’interno di organismi internazionali multilaterali il Vietnam si è frequentemente adoperato, sia pure senza particolari successi, per contrastare quella che viene definita come una crescente aggressività cinese. Nell’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), Hanoi spinge regolarmente per l’approvazione di risoluzioni di condanna delle rivendicazioni di Pechino nel Mar Cinese.

 

Il Vietnam ha poi partecipato attivamente alla causa, intentata dalle Filippine in collaborazione con gli USA presso una corte arbitrale ONU, che nel 2016 si concluse con un verdetto contrario alle rivendicazioni territoriali cinesi. Il governo vietnamita decise in quell’occasione di presentare una propria dichiarazione a sostegno della posizione di Manila. Questo verdetto e i summit dell’ASEAN sono regolarmente utilizzati dagli Stati Uniti e dai loro alleati asiatici come armi nella campagna diplomatica e militare anti-cinese in atto.

 

L’atteggiamento del regime vietnamita, determinato in parte dalle pressioni di Washington, comporta evidentemente non pochi rischi. Il clima è infatti già estremamente infuocato nella regione, in primo luogo a causa delle provocazioni americane, e i due paesi vicini si sono scontrati militarmente più volte nel passato anche recente. L’ultimo episodio di questo genere risale al 1988, quando le forze cinesi e vietnamite furono protagoniste di un breve conflitto con al centro la disputa di una piccola isola dell’arcipelago delle Spratly, nel Mar Cinese Meridionale.

 

Ancora nel 2014, il posizionamento da parte di Pechino di una piattaforma petrolifera in un’area contesa aveva provocato violente proteste, con assalti e aggressioni a fabbriche e contro cittadini cinesi in Vietnam. Il bilancio finale degli scontri, risolti con il ritiro della piattaforma cinese, era stato di decine di morti e centinaia di feriti.

 

Il rischio di un nuovo aggravamento delle tensioni, fino al possibile scatenarsi di altre violenze o di un confronto armato, è tuttora altissimo, visto che a complicare la situazione è oggi il sovrapporsi della rivalità tra USA e Cina. La scelta del regime vietnamita di perseguire i propri interessi attraverso una partnership strategico-militare con Washington risulta particolarmente rischiosa. Per gli Stati Uniti, infatti, l’utilità di una potenziale alleanza con Hanoi dipende da un calcolo tutt’altro che pacifico o disinteressato, essendo legato alla possibilità di integrare il Vietnam nei piani di guerra in fase di preparazione contro Pechino.

 

Storicamente, ad ogni modo, il Vietnam è solito perseguire una politica estera indipendente, bilanciando l’influenza e le relazioni con i paesi vicini e le potenze regionali e internazionali. A ciò va aggiunto che, malgrado le tensioni con Pechino, Vietnam e Cina sono legati da fattori economici rilevanti che lo stesso regime di Hanoi non ha alcuna intenzione di compromettere.

 

Questa realtà ha spinto molti commentatori, nei giorni successivi alla visita della portaerei “Carl Vinson” a Da Nang, a suggerire cautela nel predire la formazione di un’alleanza a tutti gli effetti con gli Stati Uniti. Le politiche legate alla sicurezza nazionale del Vietnam sono in sostanza dettate dal senso di insicurezza cronico di questo paese e dalla presenza ingombrante del gigante settentrionale, ma la sua classe dirigente è sembrata finora intenzionata a farvi fronte con un’attitudine pragmatica e relativamente aperta.

 

Il tradizionale equilibrismo strategico vietnamita rischia però di naufragare pericolosamente nell’abbraccio con gli Stati Uniti, la cui crisi in termini di egemonia nell’area asiatica comporta sempre più, almeno a livello teorico, un allineamento chiaro e senza ambiguità a favore o contro gli interessi americani nel confronto con la Cina.

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