L’inizio del mese di aprile ha coinciso con l’apertura di una nuova fase del conflitto sociale in Francia, dove i lavoratori di vari settori, a cominciare da quello ferroviario, intendono combattere l’agenda “riformista” del presidente, Emmanuel Macron.

 

La privatizzazione della compagnia ferroviaria transalpina pubblica SNCF (“Société Nationale des Chemins de fer Français”) si accompagna a un attacco frontale alle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti ed è vista correttamente come un vero e proprio banco di prova della forza dell’inquilino dell’Eliseo e del futuro stesso delle distruttive politiche anti-sociali promosse dalla classe dirigente francese ed europea in genere.

 

 

La nuova mobilitazione dei lavoratori francesi è iniziata ufficialmente lunedì, ma gli effetti hanno cominciato a farsi sentire solo martedì, con il settore dei trasporti di gran lunga il più interessato. Sotto pressione da parte dei lavoratori, le principali organizzazioni sindacali francesi, nonostante l’attitudine spesso collaborativa con il governo Macron, si sono viste costrette a indire scioperi a singhiozzo fino alla fine di giugno.

 

Il piano prevede due giorni di stop ogni tre giorni lavorati. In previsione dell’inizio degli scioperi, la SNCF ha stimato che solo uno su otto treni ad alta velocità (TGV) saranno operativi, mentre uno su cinque tra quelli regionali. I lavoratori di Air France sono anch’essi in piena mobilitazione per ottenere adeguamenti di stipendio, ma la compagnia aerea ha garantito in questa fase iniziale i tre quarti dei voli. Nuovi scioperi sono però previsti per il 7, il 10 e l’11 di aprile.

 

L’obiettivo dichiarato della “riforma” è quello di rendere più competitivo il settore ferroviario francese, secondo il governo decisamente più costoso da mantenere rispetto ad altri paesi per via dei “privilegi” di cui godrebbero i lavoratori in esso impiegati, ovvero stabilità, un livello di retribuzione decente e possibilità di accedere alla pensione a un’età ragionevole.

 

Come in tutte le “riforme” del lavoro, in Francia come altrove, la motivazione ufficiale degli interventi anti-sociali promossi è di mettere fine a un trattamento garantito a una determinata categoria di lavoratori e definito ingiustificabilmente “di favore”. In questo modo si intendono adeguare le condizioni riservate a questi lavoratori a quelle di altri settori che si sono già visti togliere molti dei diritti acquisiti, così da favorire un livellamento verso il basso in cui a perderci sono in definitiva i lavoratori nel loro insieme.

 

Macron si propone di suddividere la SNCF in tre società distinte operanti in settori diversi del sistema ferroviario francese, aprendo parallelamente la strada alla privatizzazione. L’operazione prevede anche un taglio sostanziale delle spese e la riduzione del debito della compagnia, il tutto sulle spalle dei lavoratori. La “riforma” delle ferrovie francesi è l’elemento centrale dell’agenda “riformista” di Macron, sia per la combattività dei lavoratori sia per i benefici relativamente solidi di cui ancora godono e per i falliti tentativi di ristrutturazione del settore nel passato più o meno recente.

 

I principali media francesi e di altri paesi europei hanno evidenziato l’importanza dello scontro in atto, caratterizzando i tentativi del governo di smantellare i diritti dei lavoratori come uno sforzo “modernizzatore” imprescindibile per la competitività del capitalismo francese. In questa prospettiva, il piano relativo alla SNCF è la logica conseguenza della “riforma” del mercato del lavoro francese già approvata lo scorso anno a fronte di una vastissima opposizione popolare.

 

Che la battaglia appena iniziata sia cruciale è confermato anche dalla ferocia che Macron sta mostrando nel difendere l’assalto ai lavoratori del settore ferroviario. Sul piano legislativo, se necessario il governo ha fatto sapere di essere pronto a ricorrere a un espediente anti-democratico previsto dalla costituzione che consente di fatto di evitare un voto del parlamento.

 

Per quanto riguarda la retorica, invece, il governo e i media ufficiali continuano a promuovere e ad auspicare una ferma resistenza contro la mobilitazione dei lavoratori. La brutalità della classe dirigente francese nel perseguire i propri obiettivi si è intravista ad esempio nelle dichiarazioni del portavoce del partito di Macron (LREM), Gabriel Attal, il quale in una recente intervista ha parlato della necessità di “liberare questo paese dalla cultura degli scioperi”.

 

In gioco vi è d’altronde molto più della sorte dei ferrovieri. Un successo dei lavoratori metterebbe in serio dubbio i futuri obiettivi di Macron, primo fra tutti la “riforma” del sistema pensionistico. Il presidente francese era stato infatti sostenuto con entusiasmo dal business francese ed europeo, così come da Bruxelles e dai governi dell’Unione, precisamente per l’impegno a rendere più “competitivo” il suo paese e, ancor più, a fissare un precedente decisivo grazie a una battaglia vincente contro la combattiva “working-class” francese.

 

In questa lotta, il governo di Parigi conta sul contributo dei sindacati francesi. Come già ricordato, questi ultimi hanno inevitabilmente indetto la mobilitazione dei lavoratori alla luce della profonda impopolarità delle misure in discussione. Tuttavia, com’è apparso chiaro nei mesi scorsi con la “riforma” del lavoro, l’obiettivo dei sindacati è quello di contenere il più possibile proteste e scioperi, cercando tutt’al più una mediazione o un qualche compromesso con il governo.

 

Il timore principale dei vertici sindacali è che le proteste iniziate in questi giorni finiscano per saldarsi alle mobilitazioni già in atto in altri settori, in Francia e in molti altri paesi. Questa preoccupazione guida di fatto l’azione sindacale ed è da collegare ai consueti sforzi per isolare i singoli scioperi ed evitare che le mobilitazioni sfuggano di mano e si trasformino in uno scontro frontale con la classe politica e i grandi interessi economici e finanziari.

 

L’allarme per una possibile evoluzione in questo senso è evidentissimo anche sui media “mainstream”, molti dei quali hanno insistito sul rischio che implica la crescente impopolarità del presidente Macron e il rapido esaurirsi del suo capitale politico. L’agenzia di stampa AFP ha ad esempio citato un avvertimento apparso lunedì sul giornale regionale Charente Libre circa “il rischio che il malcontento si coaguli”, visto che la nuova ondata di scioperi giunge in un momento in cui “il clima sociale non è mai stato così teso dall’inizio della presidenza Macron”.

 

L’unico fattore che consentirebbe un vero cambiamento di rotta sul piano economico e sociale, ovvero il compattarsi delle mobilitazioni dei lavoratori sotto attacco, è dunque visto con orrore dalle classi dirigenti europee, proprio perché potenzialmente in grado di arrestare la deriva neo-liberista, incarnata, per quanto riguarda la Francia, nel governo del presidente Macron.

 

Con l’inizio del 2018, d’altra parte, sono esplosi numerosi focolai di protesta e di resistenza tra i lavoratori di svariati settori e paesi in tutti i continenti. Nella sola Francia, le ultime settimane hanno registrato scioperi, tra l’altro, tra i dipendenti delle poste in varie regioni e delle catene della vendita al dettaglio. Nel quadro delle proteste del settore ferroviario sono previste poi mobilitazioni ad esempio anche dei lavoratori addetti alla raccolta rifiuti e delle compagnie energetiche pubbliche.

 

Campagne di opposizione contro gli attacchi alle condizioni di lavoro, ma anche a quelli diretti contro programmi sociali e pensioni, hanno avuto luogo o stanno avendo luogo, spesso contro le direttive sindacali, in molti altri paesi, dalla Germania alla Spagna, dalla Gran Bretagna alla Romania, dalla Tunisia all’Iran.

 

Addirittura negli Stati Uniti, il persistere degli scioperi soprattutto tra gli insegnanti e altri addetti della scuola pubblica ha costretto anche i giornali ufficiali a dare notizia, sia pure in tono allarmato,  dell’intensificarsi dello scontro sociale. Qui il livello di mobilitazione è virtualmente senza precedenti negli ultimi due decenni e, ancora una volta, fatica a essere contenuto dai sindacati e dal Partito Democratico.

 

Gli scioperi erano iniziati qualche settimana fa nello stato del West Virginia, dove i docenti avevano clamorosamente respinto un accordo raggiunto dal governatore repubblicano e dal loro sindacato. Proprio in questi giorni la protesta si è allargata al Kentucky, all’Oklahoma e all’Arizona. In tutti i casi, le battaglie si combattono, come in Europa e non solo, contro l’offensiva neo-liberista delle classi dirigenti che, nello specifico, si concretizza in tagli alla spesa destinata all’educazione pubblica, nella promozione bipartisan delle scuole private e nella costante erosione dei benefici pensionistici e del potere d’acquisto dei salari.

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