Il presidente americano Trump ha annunciato questa settimana due nuovi provvedimenti radicali nella guerra all’immigrazione che confermano come la Casa Bianca stia puntando su una strategia elettorale ultra-reazionaria a pochi giorni dal voto di “metà mandato” per il rinnovo del Congresso di Washington. La deriva anti-democratica dell’amministrazione repubblicana è tanto più marcata quanto le misure in preparazione appaiono entrambe di dubbia costituzionalità.

 

 

Lunedì, il Pentagono ha diffuso la notizia che già entro questa settimana saranno inviati 5.200 soldati al confine con il Messico in appoggio alle autorità di frontiera per il controllo dell’immigrazione. I militari si aggiungeranno ai circa duemila uomini della Guardia Nazionale da qualche tempo già schierati dai governatori di Arizona, California e Texas.

 

L’uso dell’esercito sul suolo domestico con incarichi di controllo dell’ordine è esplicitamente proibito negli Stati Uniti, ma Trump ha ripetutamente sollevato la questione dell’emergenza nazionale per giustificare la sua decisione. L’emergenza deriverebbe dall’avvicinamento della cosiddetta “carovana dei migranti”, di cui fanno parte meno di 3.500 persone partire dall’Honduras e in marcia pacifica verso il confine statunitense.

 

Il numero dei migranti centro-americani che fanno parte della carovana si è quasi dimezzato da quando la scorsa settimana avevano forzato la frontiera tra il Guatemala e il Messico. Di essa fanno parte in larga misura donne e bambini, anche se Trump e gli ambienti repubblicani di estrema destra continuano a incitare un clima di terrore, prospettando una sorta di invasione degli Stati Uniti da parte di un branco di criminali e terroristi in avvicinamento.

 

La Casa Bianca minaccia così di impedire l’ingresso dei migranti negli Stati Uniti, in violazione del diritto internazionale che impone quanto meno di consentire la presentazione delle domande di asilo. Nella migliore delle ipotesi, Trump ha spiegato che i migranti potrebbero essere rinchiusi in campi tendati e per un periodo di tempo indefinito in attesa di espulsione.

 

I preparativi delle forze di sicurezza americane in vista dell’arrivo della carovana sembrano poi più adatti a una delle guerre condotte dagli USA in Medio Oriente che a fronteggiare un numero limitato di disperati in fuga da povertà, violenza e corruzione.

 

I militari dispiegati al confine saranno armati e appoggiati da elicotteri da combattimento Black Hawk e droni. Tra i soldati mobilitati ci saranno reparti dei Marines e squadre di assistenza medica, mentre verranno costruite nuove barriere per ostacolare il passaggio del confine. Le stesse parole utilizzate da esponenti dell’amministrazione Trump ricordano operazioni di guerra o recenti minacce di aggressione contro paesi stranieri. La numero uno del dipartimento per la Sicurezza Interna, Kirstjen Nielsen, ha ad esempio assicurato che “tutte le ipotesi sono sul tavolo” per rispondere alla minaccia dei migranti.

 

La portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders, qualche giorno fa nel corso di una conferenza stampa ha cercato di aggirare una domanda sulla possibile intenzione del governo di sospendere i diritti costituzionali e la legge che impedisce l’impiego delle forze armate in territorio americano (“Posse Comitatus Act”).

 

L’ambiguità della Casa Bianca e il continuo riferimento del presidente al pericolo di una “invasione”, secondo la Costituzione USA motivo sufficiente per consentire al Congresso di abrogare i diritti democratici fondamentali, testimoniano a sufficienza dei pericoli e del clima esplosivo creato dall’amministrazione Trump.

 

Il ricorso ai militari sul fronte interno non è senza precedenti negli Stati Uniti. Per trovare un numero di soldati mobilitati paragonabile a quello attuale deciso da Trump bisogna però risalire alle rivolte urbane degli anni Sessanta del secolo scorso.

 

Negli anni Ottanta, invece, l’esercito fu utilizzato ancora lungo il confine meridionale per contrastare il traffico di droga dal Messico. Da allora, viste anche le implicazioni costituzionali, per contrastare l’immigrazione clandestina i governi di Washington hanno scelto per lo più il contributo della Guardia Nazionale, formalmente sotto il comando del dipartimento della Difesa ma controllata dai governatori dei singoli stati.

 

Visti gli scenari di guerra che si verranno a creare al confine con il Messico, è tutt’altro che improbabile il verificarsi di situazioni in cui le forze armate americane potrebbero aprire il fuoco sui migranti, compresi donne e bambini, che cercheranno di entrare negli Stati Uniti.

 

Il provvedimento è comunque in linea con l’accelerazione data da Trump alle politiche migratorie già profondamente anti-democratiche della sua amministrazione, nel tentativo di mobilitare l’elettorato di estrema destra in previsione del voto di martedì prossimo. Più in generale, la colpevolizzazione di stranieri e migranti per i problemi della società americana continua a essere in cima all’agenda di Trump e dei suoi sforzi volti a creare una base di consenso nel paese per un movimento più o meno apertamente fascista, in linea con le posizioni del suo ex consigliere, Stephen Bannon, e di quello attuale, Stephen Miller.

 

Un altro pericolo derivante dalla retorica xenofoba e dalle iniziative anti-migranti dell’amministrazione Trump si è visto nei giorni scorsi con la sparatoria nella sinagoga di Pittsburgh che è costata la vita a 11 persone di religione ebraica. Oltre a quella religiosa e razziale, la motivazione dell’autore della strage è stata quella della presunta “invasione” di stranieri in atto negli Stati Uniti, visto che la comunità colpita era attiva nel sostegno ai migranti.

 

In questa atmosfera tossica si è inserito il nuovo annuncio del presidente Trump nella giornata di martedì. In un’intervista alla testata web Axios, l’inquilino della Casa Bianca ha in sostanza promesso di abolire lo ius soli, nonostante il diritto di cittadinanza per nascita sia sancito dalla Costituzione americana.

Trump ha definito “ridicolo” un diritto sul quale vi è un consenso amplissimo negli Stati Uniti, ad eccezione di frange di “giuristi” di estrema destra. Il presidente vorrebbe così negare la cittadinanza ai nati in territorio americano da genitori che di essa non godono, oltretutto non attraverso una modifica costituzionale, bensì con un semplice decreto da egli stesso firmato.

 

Lo ius soli è fissato in termini tutt’altro che ambigui dal 14esimo emendamento alla Costituzione USA e, a differenza di quanto sostenuto sempre martedì da Trump, non è una prerogativa soltanto americana. Il New York Times ha citato uno studio che elenca 33 paesi in cui questo diritto è contemplato, tra cui Canada, Messico, Argentina, Brasile e svariati altri paesi latinoamericani.

 

La legalità della decisione di Trump, assieme alla possibilità concreta di attuarla, è stata subito messa in dubbio dalla maggior parte dei commentatori americani. Tuttavia, la mossa di martedì sembra avere un duplice scopo. Il primo è quello di generare sospetti e interrogativi sull’interpretazione tradizionalmente accettata della norma costituzionale in questione, così da innescare un possibile processo di revisione legale che possa prima o poi finire all’attenzione di un tribunale.

 

L’altro e più immediato obiettivo, al di là della fattibilità della promessa di Trump, è ancora quello di gettare benzina sul fuoco del dibattito attorno all’immigrazione e di sfruttare le paure alimentate in questo modo per ottenere il maggior vantaggio politico possibile nelle elezioni del 6 novembre prossimo.

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