Anche se le cause del disastro aereo di domenica scorsa in Etiopia rimangono ancora da verificare, una serie di indizi relativi al velivolo della Boeing schiantatosi al suolo poco dopo la partenza da Addis Abeba e la stessa situazione del settore aereonautico civile a livello globale permettono già da ora di esprimere una serie di considerazioni sulla vicenda che è costata la vita a 157 persone. Le condizioni atmosferiche ottimali registrate poco prima dell’incidente, la data di costruzione recentissima dell’aeromobile e il livello di esperienza del comandante, d’altra parte, avevano subito suscitato parecchi dubbi sull’accaduto, soprattutto alla luce delle analogie riscontrate con il disastro dell’ottobre scorso in Indonesia.

 

 

Dopo i fatti di domenica sono tornate a emergere le riserve che circolavano da tempo, in particolare tra i piloti, su un sensore e un sistema di controllo del volo installati dalla Boeing sui nuovi modelli 737 Max 8s, uguale a quelli precipitati in Etiopia e in Indonesia, e 9s, cioè una versione di dimensioni più ampie. In estrema sintesi, sui nuovi modelli i motori sono stati posizionati diversamente rispetto alle versioni precedenti, per via di modifiche apportate alle ali allo scopo di rendere più efficienti i voli.

 

Ciò ha provocato delle variazioni alle caratteristiche di volo, con una tendenza accentuata al sollevamento del muso dell’aeromobile. Per far fronte a questo problema, l’azienda produttrice ha creato un sistema di aggiustamento automatico che abbassa appunto il muso dell’aereo se un sensore rileva una posizione anomala in fase di decollo (“angolo di attacco”) e potenzialmente in grado di provocare una situazione di stallo.

 

Questo sistema ha provocato con ogni probabilità gli abbassamenti e i successivi innalzamenti del muso rilevati da testimoni sia per il volo della Lion Air indonesiana sia per quello della Ethiopian Airlines. I piloti sarebbero stati obbligati a disattivare il pilota automatico per risollevare il muso dell’aereo, ma l’operazione avrebbe richiesto più interventi perché il sistema automatico installato dalla Boeing continua a funzionare anche in fase manuale di volo. Alla fine, i piloti avrebbero perso il controllo dei rispettivi velivoli, precipitati al suolo con conseguenze catastrofiche.

 

La principale responsabilità del colosso americano dell’aeronautica consiste nel non avere segnalato né alle compagnie che hanno acquistato i 737 Max né ai piloti l’esistenza del sistema di aggiustamento di volo. Questa informazione era circolata solo una decina di giorni dopo il disastro in Indonesia, cogliendo di sorpresa i piloti di tutto il mondo e le loro associazioni di categoria. Nel caso del volo etiope precipitato domenica scorsa, è da escludere quindi che i piloti ne fossero all’oscuro, ma è possibile che non abbiano avuto il tempo di rimediare alle difficoltà causate dal sistema o che non fossero sufficientemente addestrati per gestirlo. Solo le scatole nere, già recuperate, faranno forse chiarezza sulla dinamica dell’incidente.

 

Un’altra e ancora più grave accusa pesa tuttavia sulla Boeing. In fase di lancio dei modelli 737 Max, la compagnia americana aveva assicurato che essi non richiedevano in pratica nessun addestramento aggiuntivo per i piloti già abituati a volare con i modelli 737 precedenti. Il comportamento della Boeing si spiega solo con la necessità di proporre un aeromobile economicamente competitivo, che poteva cioè contribuire a modernizzare le flotte di molte compagnie senza costringere queste ultime a creare costosi programmi di aggiornamento per i loro piloti.

 

Ciò è tanto più vero se si considera che i 737 Max sono stati prodotti in risposta al modello A-320 NEO dell’europea Airbus, il principale rivale della Boeing, sul mercato dal 2010 e anch’esso in grado di volare con consumi ridotti di carburante. Che la decisione della Boeing fosse azzardata, per non dire criminale, è testimoniato anche dalle svariate segnalazioni che i piloti avevano fatto nei mesi scorsi. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, un’indagine del giornale Dallas Morning News ha rivelato in questi giorni l’esistenza di denunce anonime in un apposito archivio federale che sollevavano appunto perplessità sul nuovo sistema e il mancato addestramento. Un pilota, ad esempio, definiva il manuale di volo del Boeing 737 Max 8 “inadeguato e insufficiente a un livello quasi criminale”.

 

Il fatto che la Boeing abbia potuto mettere sul mercato i suoi nuovi modelli nonostante le mancanze descritte dipende anche dalle crescenti collusioni tra l’industria aeronautica, soprattutto negli Stati Uniti, e gli enti regolatori e certificatori. Un articolo pubblicato martedì dal New York Times spiega come l’Amministrazione Federale per l’Aviazione (FAA) americana, a partire almeno dal 2005, abbia in buona parte rinunciato a certificare il rispetto degli standard di sicurezza sugli aeromobili in maniera indipendente.

 

I nuovi metodi prevedono al contrario una sorta di auto-certificazione da parte di aziende come la Boeing. Il deputato democratico dell’Oregon, Peter DeFazio, ha affermato di avere segnalato spesso in passato una realtà nella quale gli addetti della FAA avevano in pratica i loro uffici presso le sedi della Boeing. A conferma del clima a dir poco equivoco in questo ambito, il numero uno attuale della FAA, Ali Bahrami, aveva collaborato con la Boeing in qualità di certificatore per i modelli 787 Dreamliner e 747-8.

 

La ragione di questa trasformazione del ruolo della FAA sarebbe da ricondurre a una mancanza di risorse a disposizione della stessa agenzia federale per svolgere le proprie funzioni in modo autonomo. Se ciò è senz’altro vero, anche un altro fattore è però certamente da considerare. La Boeing vanta cioè strettissimi legami con il governo americano, con il quale ha innanzitutto ingenti contratti d’appalto.

 

L’esercito di lobbisti che questa azienda può schierare a Washington è quasi senza rivali e costa circa 15 milioni di dollari ogni anno. La lista di politici – rigorosamente bipartisan – a cui la Boeing versa contribuiti elettorali è poi lunghissima e, sullo stesso sito web della compagnia, occupa ben 14 pagine. Lo stesso attuale segretario alla Difesa ad interim, Patrick Shanahan, è un ex top manager della Boeing, mentre la ex ambasciatrice USA presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, ha appena ottenuto un posto nel consiglio di amministrazione della compagnia.

 

I legami tra la Boeing e il presidente Trump sono ugualmente ben documentati. Se all’inizio del suo mandato ci fu qualche frizione collegata ai costi eccessivi per la costruzione della nuova flotta aerea presidenziale, i rapporti si sono poi appianati. Trump ha infatti continuato ad agire come i suoi predecessori da agente della Boeing all’estero, svolgendo un ruolo decisivo nella stipula di alcuni contratti di vendita, come in Kuwait e in Vietnam. I vertici della compagnia hanno da parte loro ricambiato versando, tra l’altro, un milione di dollari al fondo per l’inaugurazione del mandato presidenziale nel 2017.

 

Alla luce di queste circostanze non è sorprendente che le autorità americane siano state tra le ultime a decidere di sospendere i voli dei modelli 737 Max. In precedenza si erano moltiplicati in tutto il mondo gli annunci dello stop ai velivoli simili a quello precipitato in Etiopia. Dove le agenzie governative preposte alla sicurezza dei voli non erano intervenute, erano state spesso le compagnie a prendere l’iniziativa. L’amministrazione Trump aveva cercato in tutti i modi di preservare i profitti della Boeing e delle stesse compagnie aeree. Solo mercoledì, le pressioni sono diventate irresistibili e la Casa Bianca ha dovuto emettere un “ordine di emergenza” per fermare i 737 Max. Negli USA solo American Airlines e Southwest Airlines hanno nelle loro flotte questi aerei – rispettivamente 24 e 34 – ed entrambe avevano sostenuto fino a poche ore prima di non avere riscontrato ragioni per tenerli a terra.

 

Anche a Washington si erano comunque già alzate molte voci che chiedevano il blocco dei voli del 737 Max. Alcuni senatori di entrambi i partiti si erano mossi in questa direzione, tra cui il presidente della sotto-commissione del Senato dedicata alla supervisione dell’aeronautica civile, Ted Cruz. Escludendo una sensibilità maggiore per la sicurezza di viaggiatori ed equipaggi da parte di questi politici rispetto a quelli che si erano schierati invece a favore della Boeing e delle compagnie aeree, è probabile che dietro agli appelli ci fossero altre motivazioni.

 

La compagnia con sede nello stato di Washington ha un peso enorme per l’economia americana e, in particolare, la sua crescita in borsa negli ultimi anni è stata decisiva per il boom di Wall Street, tanto che, malgrado il crollo di questi giorni, martedì le azioni della Boeing erano ancora superiori del 25% rispetto a dodici mesi fa. Coloro che chiedevano misure più incisive, oltre al perfezionamento del sistema di controllo di volo incriminato già promesso dal management della compagnia, intendono quindi principalmente preservare l’appeal di quest’ultima sui mercati ed evitare un tracollo in borsa attraverso misure che rispondano alle pressioni crescenti a livello globale.

 

In ballo ci sono comunque svariati miliardi di dollari, dal momento che i modelli 737 Max sono per la Boeing un progetto di punta, testimoniato dagli oltre 5 mila velivoli in ordine al 31 gennaio scorso. Uno stop alla produzione e alla vendita di questo aeromobile potrebbe costare alla compagnia 5,1 miliardi di dollari, pari al 5% del suo fatturato annuo, solo nei prossimi due mesi. In prospettiva, secondo le stime del Wall Street Journal, i 737 Max costituiscono il 40% delle vendite della Boeing e dovrebbero generare il 40% dei profitti futuri.

 

L’intera vicenda, inclusi i due disastri aerei che hanno provocato la morte complessivamente di quasi 350 persone, sono in definitiva il risultato degli scenari ultra-competitivi che caratterizzano l’ambiente dell’aeronautica civile, negli USA come altrove. La guerra per accaparrarsi i mercati più redditizi, le ripetute ristrutturazioni per ridurre i costi e aumentare i margini di profitto, in risposta alle sollecitazioni degli azionisti, e le collusioni con la politica e gli enti regolatori contribuiscono a creare un mix esplosivo che, sempre più, mette ogni giorno in serio pericolo la sicurezza di centinaia di milioni di passeggeri.

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