Il mistero attorno al blitz condotto all’interno dell’ambasciata della Corea del Nord a Madrid lo scorso febbraio ha cominciato a sciogliersi dopo che la polizia e l’intelligence spagnole hanno collegato un paio di membri del commando responsabile dell’accaduto nientemeno che alla CIA americana. L’episodio era apparso subito sospetto sia per le modalità con cui l’operazione era stata portata a termine sia per la coincidenza con le fasi preparatorie del secondo summit tra il presidente americano Trump e il leader nordcoreano, Kim Jong-un.

 

Alle tre del pomeriggio del 22 febbraio, una decina di individui si erano introdotti nell’edificio che ospita la rappresentanza diplomatica della Nordcorea nel quartiere residenziale di Aravaca, alla periferia nord della capitale spagnola. Un paio d’ore più tardi, una donna era riuscita a fuggire da una finestra dell’ambasciata e, raggiunta la strada più vicina, aveva iniziato a gridare per richiamare l’attenzione di passanti e residenti che si sono poi affrettati a chiamare la polizia.

 

 

Gli agenti intervenuti sul posto erano stati però accolti all’ingresso dell’edificio da un uomo che aveva assicurato che all’interno tutto era tranquillo. La polizia era rimasta nei pressi dell’ambasciata e, poco più tardi, due auto di lusso con targa diplomatica erano uscite dalla residenza allontanandosi rapidamente. In seguito, i veicoli sarebbero stati ritrovati a fianco di una strada con a bordo otto membri del corpo diplomatico nordcoreano legati e imbavagliati. Questi ultimi erano stati tenuti in ostaggio, interrogati e, alcuni di loro, picchiati, tanto da richiedere un controllo medico.

 

Subito dopo i fatti, la polizia spagnola aveva evidenziato come l’irruzione non fosse stata opera di ladri o malviventi comuni. Essa era stata studiata attentamente, così da far pensare a professionisti che “sapevano quello che stavano cercando”. Il quotidiano spagnolo El País, inoltre, citando fonti vicine all’ambasciata aveva rivelato come lo staff nordcoreano “viveva molto modestamente” e nell’edificio “vi era molto poco da rubare”. Infatti, gli autori del blitz avevano portato con loro soltanto computer e telefoni cellulari.

 

Dopo alcune settimane di indagini, basate sulle testimonianze dei diplomatici nordcoreani e sui filmati delle telecamere di sorveglianza, in questi giorni la polizia e i servizi segreti spagnoli hanno diffuso la notizia che alcuni protagonisti dell’operazione avrebbero legami non meglio specificati con la CIA. La maggior parte del gruppo di assalitori sembrava essere composta da coreani, ma due di loro sarebbero americani e riconosciuti dall’intelligence spagnola come uomini vicini all’agenzia di Langley. Contattati dagli agenti spagnoli per avere spiegazioni, esponenti della CIA hanno negato ogni coinvolgimento, ma le loro risposte sarebbero state “poco convincenti”.

 

L’ipotesi più probabile è dunque che il raid sia stata un’operazione di spionaggio che, probabilmente, l’intelligence americana ha organizzato e messo in atto in maniera clamorosa, oltre che palesemente illegale, per raccogliere informazioni da collegare al processo diplomatico in corso con il regime di Pyongyang.

 

I media spagnoli hanno identificato nel diplomatico nordcoreano Kim Hyok Chol il probabile obiettivo principale del blitz. In realtà, quest’ultimo non era all’ambasciata di Madrid il 22 febbraio scorso, perché espulso dalla Spagna, dove era l’ambasciatore del suo paese, nel settembre del 2017 a seguito dei provvedimenti adottati dalle autorità locali in seguito ai test nucleari e missilistici condotti poco prima dal regime nordcoreano.

 

Dopo il ritorno patria dalla Spagna, Kim Hyok Chol si è trasformato in uno dei protagonisti dei negoziati con gli Stati Uniti, fino a diventare il capo della delegazione nordcoreana impegnata nelle discussioni che avevano preceduto il vertice di Hanoi del 27 e 28 febbraio scorso tra Trump e Kim Jong-un.

 

In particolare, qualche giorno prima di questa data, cioè appena dopo i fatti di Madrid, Kim Hyok Chol stava trattando i dettagli del faccia a faccia tra i due leader con l’inviato speciale della Casa Bianca per la Corea del Nord, Stephen Biegun. Non è necessaria perciò una predisposizione cospirazionista per ipotizzare che, se la CIA fosse realmente dietro l’assalto all’ambasciata nordcoreana in Spagna, la ragione sia da ricercare nel bisogno di ottenere informazioni sensibili su Kim Hyok Chol che sarebbero state utili alla delegazione americana nei negoziati con Pyongyang.

 

Che Washington abbia scelto un’operazione così plateale e potenzialmente in grado di creare un incidente diplomatico con il governo spagnolo lascia più di una perplessità, ma in definitiva non può sorprendere, visti i metodi gangsteristici a cui gli USA ricorrono normalmente per raggiungere i propri obiettivi strategici.

 

Su Kim Hyok Chol vi erano d’altra parte pochissime notizie di dominio pubblico e, in generale, la raccolta di informazioni di intelligence sulla Corea del Nord e i membri dell’apparato di potere da parte americana è sempre stata particolarmente complicata. Questo aspetto, assieme alla presenza alla Casa Bianca di individui con poco interesse per le norme diplomatiche e il diritto internazionale, potrebbe spiegare quanto accaduto a Madrid il 22 febbraio scorso.

 

Un approfondimento dell’episodio proposto sempre da El País aiuta forse a chiarire le intenzioni del commando. Uno degli uomini che avevano fatto irruzione nell’ambasciata aveva cioè interrogato privatamente in una stanza separata il “chargé d’affaires” nordcoreano, ovvero il diplomatico più alto in grado in assenza dell’ambasciatore, probabilmente per ottenere informazioni sullo stesso Kim Hyok Chol, con il quale aveva lavorato a stretto contatto a Madrid tra il 2014 e il 2017. Altre informazioni non solo sull’ex ambasciatore sono state poi di certo reperite dai dispositivi sottratti dalla sede diplomatica.

 

In attesa che emergano altri particolari che facciano luce sulla vicenda e che il ruolo della CIA venga confermato, è legittimo chiedersi quali ripercussioni il blitz potrà avere non solo sui rapporti tra Madrid e Washington, ma anche e soprattutto sul negoziato tra USA e Corea del Nord, già sull’orlo del fallimento dopo il sostanziale fiasco del vertice di fine febbraio tra Kim Jong-un e il presidente americano Trump.

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