di Daniele John Angrisani

Quando Osama Bin Laden, verso la fine degli anni Novanta, aveva iniziato a progettare dalle sue caverne in Afghanistan, quelli che sarebbero stati conosciuti nella storia come gli "attacchi terroristici dell'11 settembre", non poteva certo prevedere che la politica estera del presidente George W. Bush gli avrebbe consentito in pochi anni di ottenere successi che allora erano inimmaginabili contro quella che era considerata l'unica superpotenza rimasta al mondo dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, gli Stati Uniti d'America hanno perso tanto e tale prestigio internazionale che in molti circoli di élite si comincia già a considerare questo come il secolo del declino americano. E' indubbio che quando gli storici guarderanno alla nostra era, l'inizio del declino sarà riscontrato con la tragica decisione del presidente Bush di invadere l'Iraq. Da allora è stato un continuo susseguirsi di fallimenti che, come dimostra la cronaca degli ultimi mesi, hanno trasformato l'Iraq in un vero e proprio inferno in Terra. Ma se la situazione in Iraq è purtroppo sin troppo conosciuta dal grande pubblico, lo stesso non può essere detto dell'altra grande area della "guerra contro il terrorismo". Gli ultimi avvenimenti, in particolare l'orrenda strage di civili a Nangharhar e il presunto attacco aereo di Nijrab, hanno reso ormai chiaro a tutti che l'Afghanistan, lungi da essere quel Paradiso della democrazia e dei diritti umani che era stato dipinto dalla propaganda americana subito dopo la caduta del regime dei talebani, oggi altro non è che una terra di nessuno, un Paese in preda all'anarchia ed alla violenza delle bande rivali dei Signori della Guerra, i veri padroni del Paese. Ogni giorno che passa gli americani e gli altri alleati della NATO hanno sempre più difficoltà a contenere gli attacchi della guerriglia integralista, e i talebani, rinati come la Fenice dalle proprie ceneri, diventano sempre più potenti. La situazione è andata peggiorando negli ultimi mesi, quando i talebani sono riusciti a riprendere, per la prima volta dalla fine del 2001, il controllo di alcune province del sud del Paese.

I comandanti di campo talebani, il più famoso dei quali è il Mullah Dadullah, hanno mostrato di aver imparato bene l'insegnamento proveniente dall'Iraq, dove un numero relativamente piccolo di guerriglieri armati è riuscito a mettere sotto scacco il più forte esercito del mondo, anche grazie alla cooperazione più o meno volontaria della popolazione civile in loco. Le tecniche di guerriglia usate in Afghanistan somigliano sempre più a quelle usate dai miliziani iracheni: conflitti a fuoco nelle aree urbane densamente popolate, agguati sulle strade di collegamento tra le grandi città, uso di autobombe per seminare il terrore, sequestri di persona, uccisioni mirate di personalità considerate "conniventi" con il regime occupante. L'obiettivo, neanche tanto nascosto, è trasformare l'Afghanistan in un secondo Iraq, un inferno dal quale le truppe occidentali non potranno uscire se non ritirandosi. E' ancora presto per dire se questo obiettivo potrà essere raggiunto o meno, ma indubbiamente la realtà sul terreno mostra che il vento è cambiato e che siamo lontani anni luce da quella concordia nazionale auspicata dal presidente Karzai una volta assunto il potere nel 2002.

Il motivo principale alla base di questo sviluppo della situazione in Afghanistan risiede in una sola parola: narcotraffico. E' proprio grazie alla vendita della droga nei grandi mercati europei che i talebani ed i loro alleati riescono a finanziarsi ed armarsi per combattere contro le truppe alleate. Dopo 5 anni di governo Karzai, le statistiche non lasciano margini di discussione: l'Afghanistan è di gran lunga il principale esportatore di eroina e di altre droghe derivanti dall'oppio, in tutto il mondo. Che questo risultato sia dovuto all'incapacità del governo di controllare il territorio, come assumono alcuni o, più probabilmente, al fatto che il governo stesso sia in qual modo complice dei narcotrafficanti - la vox populi afferma che il principale narcotrafficante dell'Afghanistan è il fratellastro del presidente Hamid Karzai - sta di fatto che i governi dei Paesi alleati sono corresponsabili di questa inazione ed il loro comportamento sta avendo conseguenze disastrose. Ciò non toglie che la causa prima ed ultima del rafforzamento dei talebani sia stata la corruzione negli ambienti governativi.

A ciò si aggiunga che, stante la situazione sul terreno che diventa più difficile con il passare del tempo, lo stress a cui vengono sottoposti i soldati occidentali, in particolare gli americani, ha causato, tra le altre cose, alcuni episodi di crudeltà gratuita e violenza fine a se stessa, come la strage di civili di Nagharhar, che hanno alienato in buona parte l'iniziale supporto della popolazione afgana alla missione della NATO. Un meccanismo molto simile a quello che in Iraq ha portato alla completa sfiducia nei confronti della presenza delle forze americane (considerate comunque come occupanti) ed alla richiesta, assolutamente preponderante nell'opinione pubblica irachena, di ritiro immediato delle truppe occidentali, considerate come incapaci di garantire la sicurezza della popolazione civile. E' stato questo l'humus sociale e politico che ha consentito alla guerriglia irachena di colpire, pressoché indisturbata nel cuore di Baghdad e persino nella stessa Zona Verde, considerata una fortezza impenetrabile.

I talebani stanno puntando tutta la loro forza politica e militare su uno sviluppo in stile "iracheno" della situazione in Afghanistan, per poi imporsi agli occhi dell'opinione pubblica come gli unici in grado di garantire la pace e la sicurezza. L'incapacità politica della Casa Bianca sta consegnando su un piatto d'argento, a Osama Bin Laden ed ai talebani, una vittoria strategica su cui nessuno avrebbe mai scommesso: oltre Baghdad, gli americani rischiano così di perdere anche Kabul ed il controllo delle vie strategiche dell'Asia Centrale. Washington è avvisata.

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