di Sara Nicoli

C’è sempre un’inchiesta della magistratura che, alla fine, riesce a dipanare situazioni che la politica ha creato per convenienza, in dispregio delle regole e di cui non riesce più a venire a capo. Così, dopo più di un anno di polemiche e discussioni intorno all’impossibilità di rimuovere almeno uno dei consiglieri d’amministrazione della Rai in quota Polo, ecco che un’inchiesta della procura di Roma apre un varco sulla possibilità di ridare alla Rai un governo che faccia uscire l’azienda dal porto delle nebbie dei veti incrociati e dei ricatti in cui è caduta. Nell’ambito dell’inchiesta sui cosiddetti “stipendi d’oro” ai manager pubblici, la Procura di Roma ha riaperto il capitolo della discussa nomina di Alfredo Meocci a direttore generale della Rai - successivamente dichiarato incompatibile dall’ Agcom - e che è costata all’azienda una multa iperbolica di 14,8 milioni di euro, esattamente pari all’attivo di bilancio 2005 dichiarato dall’azienda. I cinque consiglieri d'amministrazione della Rai che votarono a favore della nomina a direttore generale di Alfredo Meocci, sono stati iscritti sul registro degli indagati. Per loro, ossia per Marco Staderini, Giovanna Bianchi Clerici, Angelo Petroni, Gennaro Malgeri e Giuliano Urbani, l’accusa è di abuso d’ufficio in base all’art. 323 del codice penale.

di Elena G. Polidori

Si riconta. Almeno al Senato. Non è mai successo, nella storia repubblicana, che un risultato elettorale sia stato rimesso in dubbio e sottoposto a nuovi controlli per accertarne l’effettiva validità. Eravamo convinti che neppure stavolta sarebbe accaduto, forti soprattutto della storia di questa Repubblica, nata nel ’48 dopo un risultato referendario - frutto, forse, come sostengono i nostalgici del re - di un broglio andato a buon fine. Si è sempre pensato, insomma, che la sacralità della proclamazione del vincitore scandita dalla Corte di Cassazione non fosse in alcun modo scalfibile, né dalle grida scomposte del leader sconfitto dell’opposizione né, tantomeno, dalla coraggiosa inchiesta di Enrico Deaglio che gli è costata addirittura un’incriminazione assai poco comprensibile: il sistema, è noto, salvaguarda sempre se stesso. Il Senato, stavolta, ha positivamente stupito. Un accordo bipartisan ha infatti consentito alla giunta per le elezioni di votare un provvedimento che consente il riconteggio delle schede bianche e nulle e - a campione - dei voti validi delle elezioni politiche dell'aprile 2006.

di Lorenzo Zamponi

Capita anche questo, nello strano mondo dell’informazione italiana. Capita che 10.000 persone riunite in un palasport a Palermo dall’Udc per una manifestazione «Integrazione e legalità nell'Europa cristiana» valgano pagina 5 di Repubblica, mentre 30.000 in piazza a Vicenza contro la nuova base militare americana siano relegate a pagina 24, dopo l’imprescindibile presa di posizione di Bertinotti sulla crisi dell’Alitalia e l’ennesimo filmato su Youtube del professore che picchia un alunno. Ci sarebbe voluto ben altro che un corteo riuscito, pacifico e determinato contro l’imposizione di una pesantissima servitù militare, per scompaginare i titoli già previsti da settimane su Berlusconi Day, Fini successore, Casini traditore. Ci sarebbero voluti scontri violenti, ad esempio, paventati nei giorni scorsi dall’amministrazione comunale di centrodestra e dai due principali quotidiani locali, Il Gazzettino e Il Giornale di Vicenza, entrambi schierati su posizioni conservatrici.

di Maurizio Coletti

Che giochi si stanno facendo sul tema della droga? Il grande scandalo suscitato dal decreto della Turco sembra mantenere strascichi e veleni: alla Commissione Sanità del Senato viene presentato un ordine del giorno che sconfessa l’operato della Ministro alla Salute. Prima firmataria, la senatrice Binetti che fa partire la macchina sulla quale salgono i senatori dell’opposizione e, “per evitare ulteriori danni” si dice, anche quelli della maggioranza. Di che tratta il decreto della Turco avevamo già detto tre settimane fa: un iniziale passo che doveva far partire l’operazione di abrogazione della legge Fini Giovanardi. Un passo timido, forse troppo isolato. Un tentativo di ridurre i danni visibili dell’infamità vigente: si permette di detenere più principio attivo di cannabis, prima di far scattare misure che possono arrivare fino al carcere. Ricordiamo, sommariamente, che le basi per giungere alle dosi stabilite dalla legge erano assai complicate ed il risultato completamente privo di supporti scientifici.

di Fabrizio Casari

La certezza di codici è sempre stata la premessa inutile delle loro diverse interpretazioni. Un reato, ad esempio, lo è sempre e comunque, indipendentemente dal ruolo di chi lo commette? A giudicare dall’inchiesta che la Procura di Roma ha aperto contro Enrico Deaglio, pare proprio di no. Il direttore di Diario, infatti, nello spazio di un interrogatorio, si è visto trasformato da “persona informata dei fatti” a persona “iscritta nel registro degli indagati”. Un tempo era conosciuta come “il porto delle nebbie”, per la sua capacità d’insabbiamento di ogni inchiesta che lambisse il potere politico. Oggi, la Procura di Roma, toglie la polvere dal fascistissimo Codice Rocco e ripropone con furore l’articolo 656, che definisce e sanziona il reato di “diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. Pena prevista? Trecentonove euro di ammenda nel migliore dei casi, fino a tre mesi di reclusione nel peggiore.


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