di Cinzia Frassi

A trentatrè anni dalla bomba che nel 1974 esplose in Piazza della Loggia a Brescia, mentre era in corso una manifestazione organizzata dal comitato permanente antifascista per protestare contro la violenza di gruppi della destra neofascista, la procura di Brescia rinvia a giudizio sette persone tirando le somme di quella che ormai è la terza inchiesta sulla strage. Ma dare ancora speranza ai cittadini bresciani è il secondo filone dell'inchiesta, quello che segna il coinvolgimento di nomi eccellenti: l'ex generale Francesco Delfino, Pino Rauti e Gianni Maifredi. Si concretizza così quello che il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini aveva ventilato il 28 maggio scorso in occasione del 33esimo anniversario della strage: "Non ci limiteremo ai sette nominativi già conosciuti - l'elenco si allargherà, depositeremo altri elementi". In particolare, le accuse formulate dal procuratore aggiunto Roberto Di Martino e dal sostituto procuratore Francesco Piantoni, sono di concorso in strage per Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Maurizio Tramonte. Ma ci sono altri nomi noti tra i sette accusati e sono quelli di Gaetano Pecorella, Fausto Maniaci - che avrebbero aiutato Zorzi - e il pentito Martino Siciliano che avrebbe incassato 150 mila dollari per ritrattare le accuse mosse a Zorzi. Tutti accusati di favoreggiamento nei confronti dell'ex ordinovista veneto, conosciuto oggi con l'alias nipponico di Roy Hagen. Per Vittorio Poggi invece l'accusa è di riciclaggio.

A questi nomi già iscritti nel registro degli indagati per questa inchiesta, si aggiungono i tre nomi che segnano la svolta, anche loro accusati di concorso nella terribile strage fascista: l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino e il parlamentare della destra post-fascista Pino Rauti. Ai tempi Delfino era responsabile del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia che poteva a quanto pare vantare legami forti con i servizi segreti militari. Il terzo nome è Giovanni Maifredi, autista ai tempi del ministro degli Interni Dc Paolo Emilio Taviani, noto come confidente di Delfino e presunto supertestimone della strage. A quanto pare questi nomi vennero fuori già all'inizio dell'inchiesta bresciana e per qualche tempo si pensò anche che fossero fuori dalle indagini. Non era così.

Questa inchiesta segna il terzo tentativo di dare giustizia alle vittime bresciane. La prima inchiesta chiamò in causa gli stessi neofascisti bresciani. Si trattava di un gruppo non organizzato di piccoli delinquenti comuni e di giovani della Brescia bene, che coinvolse anche Andrea Arcai, figlio del giudice che poi venne assolto. Si concluse amaramente in Cassazione nell'87 con la conferma dell'assoluzione per tutto il gruppo. Il secondo filone di indagini seguiva la pista dei neofascisti milanesi, ma si concluse anche questo con un nulla di fatto.

Le ultime indagini condotte dal procuratore aggiunto Roberto Di Martino e dal sostituto Francesco Piantoni riguardano un gruppo veneto di Ordine nuovo, molto attivo nel nord Italia e che aveva legami con i servizi segreti deviati e culminano nel rinvio a giudizio per concorso in strage per Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramone. L'accusa vorrebbe provare che la mente della strage neofascista fu Carlo Maria Maggi, che Zorzi si procurò l'esplosivo e che a mettere in Piazza della Loggia la bomba fu Maurizio Tramonte, la famosa "Fonte Tritone" del Sisde. Sembra che poi Maggi affidò l'incarico di andare sotto i portici della principale piazza bresciana a Giovanni Melioli, ordinovista di Rovigo morto negli anni Novanta. L'attentato sarebbe stato organizzato in concorso con Carlo Digilio: agente della Cia morto nel 2005, pentito che fornì agli investigatori molti elementi importanti per le indagini.

Ora l'enorme fascicolo passa al giudice per le indagini preliminari Lorenzo Benini. Un fascicolo enorme che rappresenta per la città la speranza di giustizia per le otto vittime: Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi e Vittorio Zambarda e per le oltre 100 persone rimaste ferite quel giorno.

Il 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia era in corso una manifestazione pacifica e molti sentirono la forte esplosione - che sarebbe rimasta indelebile nella mente dei bresciani - insieme al panico di rintracciare ciascuno i propri familiari, sapere se erano vivi o morti o feriti, sapere chi fossero i colpevoli di quella tragedia. A differenza delle prime, l'ultima domanda non trova oggi ancora risposta nella giustizia italiana. L'Italia è costellata da stragi irrisolte che hanno scavato un fosso nella coscienza storica dividendola inevitabilmente in due verità che mai si riappacificheranno fino a che, presto o tardi, non saranno scritti i nomi dei responsabili. Non può essere il silenzio a riempire il conflitto insanabile tra verità storica e verità di Stato.

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