di Alessandro Iacuelli

La procura di Roma ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta bis sulla tragica morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia. Un inchiesta avviata dopo il primo procedimento, che si è concluso con la condanna a 26 anni di reclusione per il giovane somalo Hashi Omar Hassan. Il PM romano Franco Ionta specifica che la richiesta di archiviazione nasce "dall'impossibilità di identificare i responsabili degli omicidi". Il duplice omicidio avvenne a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994. La Toyota su cui viaggiano i due inviati fu colpita dal fuoco sparato dalle armi di almeno sette miliziani. I due giornalisti erano in Somalia per seguire la missione "Restore Hope", dove erano impegnati militari italiani. Fin da subito, per il duplice omicidio, fu ipotizzato un legame con i fatti e le attività scottanti di cui erano venuti a conoscenza Ilaria Alpi e Hrovatin, soprattutto in relazione a traffici illeciti di rifiuti nocivi e radioattivi, il cui pagamento per i somali non era in denaro ma in armi. La prima inchiesta giudiziaria è stata un susseguirsi di polemiche e di colpi di scena. Uno dei pm che si occupò della vicenda, Giuseppe Pititto, mise sotto inchiesta il sultano di Bosaso come mandante, ma i successivi accertamenti non portarono a riscontri. Nel frattempo, una perizia balistica stabilì che i colpi mortali erano stati sparati a bruciapelo, da distanza ravvicinata.

Quella di Alpi e Hrovatin, secondo gli esperti, sarebbe stata, quindi, una vera e propria esecuzione. Le indagini finirono per incentrarsi su Hashi Omar Hassan, arrivato a Roma per testimoniare sulle presunte violenze di militari italiani ai danni della popolazione somala. Arrestato e rinviato a giudizio, Hassan fu assolto in primo grado, ma in appello la situazione si ribaltò e all'imputato fu inflitto l'ergastolo. La pena fu ridotta a 26 anni dopo l'intervento della Cassazione.

L’epilogo dell’inchiesta bis ha colto di sorpresa i genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana: "Siamo amareggiati, delusi e offesi di questo modo di fare giustizia vorremmo delle spiegazioni soprattutto alla luce della lettera che inviammo il 4 aprile scorso alla Corte Costituzionale per sollecitare la definizione del conflitto di attribuzione sollevato dalla procura romana nei confronti della commissione parlamentare d'inchiesta al fine di effettuare esami balistici e tecnici sulla Toyota su cui viaggiavano Ilaria e Miran. Adesso ai pm non interessa più far esaminare la macchina dai loro tecnici?".

La richiesta di archiviazione, datata 12 giugno scorso, è arrivata soltanto l'11 luglio sul tavolo della Commissione Esteri, dove si sta valutando la possibilità di una nuova commissione d'inchiesta. Dura anche la dichiarazione di Pasquale D'Alessio, presidente dell'associazione Ilaria Alpi: "Siamo indignati perchè dopo 13 anni da quel tragico fatto che ha visto la morte di due professionisti dell'informazione non si è voluto e ancora oggi non si vuole scoprire la verità. Delusi perchè ci troviamo di fronte all'ennesimo atto volto ad insabbiare il caso".

Quella che potrebbe essere la verità sul caso, è iniziata ad affiorare alla fine degli anni '90, circa 4 anni dopo l'omicidio. All'epoca, un collaboratore di giustizia fornì agli inquirenti importanti dettagli in relazione agli affari gestiti da alcuni imprenditori italiani con dirigenti della Oto Melara, fabbrica di armi di La Spezia. Gli inquirenti finirono così sulle tracce di due armatori che a partire dagli anni ottanta misero a disposizione alcuni mercantili per il trasporto di rifiuti tossici ma anche di materiale bellico verso la Somalia, passando spesso per i porti di La Spezia, Napoli e Malta.

Le armi erano il pagamento per i clan somali che ricevevano i rifiuti tossici. Giunti in Africa, i mercantili italiani restavano al largo, al limite delle acque territoriali somale, dove entravano poi in azione pescherecci di altura, per ironia e beffa della sorte costruiti da imprenditori italiani nell'ambito della cooperazione italiana con il governo di Mogadiscio, questi prelevano rifiuti ed armi e li portano a terra.

Quelle navi furono probabilmente intercettate da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin poco prima di essere uccisi nella capitale somala. Nonostante due processi ed una commissione parlamentare d'inchiesta però, questa ipotesi non è riuscita ad essere dimostrata in piano, non è riuscita a diventare verità giudiziaria. L'impressione che ne emerge, è proprio che dopo 13 anni da quel tragico omicidio, non si è voluto e ancora non si vuole scoprire la verità.

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