I presidenti delle Camere sono fatti, ma il governo è ancora lontano. L’accordo fra centrodestra e Movimento 5 Stelle sul grillino Roberto Fico alla Camera e sulla iper-berlusconiana Elisabetta Alberti Casellati al Senato non può essere replicato tout court in una maggioranza di governo. Questo scenario piacerebbe a Matteo Salvini, ma i 5 Stelle si sono affrettati a chiarire che non è realizzabile. E il motivo è chiaro.

 

I grillini si compiacciono da sempre della loro non-collocazione politica: “Non siamo né di destra né di sinistra - ripetono da anni - Sono categorie superate”. Eppure, fin dalle origini i pentastellati hanno trovato una ragione di unità nell’antiberlusconismo e oggi non riuscirebbero a giustificare un’alleanza con lo “Psico-Nano”. 

 

 

Certo, M5S non è più quello di una volta. Negli ultimi anni Luigi Di Maio lo ha trasformato in una forza via via più organica, più di sistema, perché chi vuole governare nel mondo reale non può dire solo “vaffanculo”, ma deve accettare la necessità dei compromessi.

 

La prima conseguenza di questa nuova realpolitik è stata proprio l’accordo sui presidenti delle Camere. In cambio di Fico a Montecitorio, Di Maio si è turato il naso e ha votato Alberti Casellati. Una che ha scritto leggi ad personam per Berlusconi, ha spergiurato su Ruby nipote di Mubarak e ha perfino urlato al “colpo di Stato” davanti al Tribunale di Milano. Se questa era l’alternativa, probabilmente sarebbe stato meno indigesto Paolo Romani, che i grillini hanno detto di non poter votare a causa di una vecchia condanna per peculato. In realtà, è probabile che Romani non sarebbe passato comunque, proprio in quanto candidato di punta di Berlusconi. Di Maio voleva tenere l’ex Cavaliere fuori dalla trattativa, evitare di stringergli la mano e di legittimarlo. Ci è riuscito, ma ha dovuto accordarsi con Salvini su una groupie di Arcore.

 

Questo però non significa che i 5 Stelle possano spingersi fino a governare con Berlusconi, per quanto marginalizzato. Sarebbe una mossa suicida, che con ogni probabilità costerebbe un’emorragia di voti a sinistra, bacino sempre più importante visto il vuoto lasciato in quell’area dallo spostamento e dall’implosione del Pd.

E allora qual è l’alternativa? Al momento è da scartare ogni ipotesi che coinvolga i dem, con o senza il debole sostegno di Leu.

 

Dopo la disfatta elettorale, il Partito Democratico sta provando la strategia dell’opposizione a tutti i costi, nella speranza che basti a recuperare il consenso perduto. “Lasciamo che combinino qualche disastro - è il ragionamento - e i voti torneranno”. È evidente che si tratta di un’illusione e che, in assenza di un vero rinnovamento, il Pd rimarrà il “partito delle Ztl”, votato solo dai facoltosi dei Parioli, di Via Monte Napoleone e del Lungarno. In ogni caso, se pure il Pd cambiasse rotta e decidesse si andare al governo con M5S e Leu, la maggioranza sarebbe a dir poco fragile: per farla saltare basterebbe una manciata di quei renziani che colonizzano in massa i gruppi parlamentari dem.

 

Alla fine sembra che l’unica strada percorribile sia quella di un governo Lega-M5S, anche se gli ostacoli politici non mancano. Salvini dovrebbe rinunciare alla leadership del centrodestra (che unito è la prima forza del Paese) per entrare in un esecutivo che lo vedrebbe in posizione di forte subalternità. Quanto a Di Maio, governando con un partito di estrema destra, rischierebbe comunque di perdere i voti dei delusi dalla sinistra. Il tutto per mettere in piedi un governo che comunque avrebbe numeri deboli in Parlamento e non potrebbe mai realizzare un progetto di lungo respiro.

 

Sul breve termine, invece, l’alleanza Lega-M5S diventa più verosimile. L’obiettivo sarebbe un esecutivo di scopo che permetta di cambiare le regole e tornare alle urne con una legge elettorale capace di spazzare via gli altri partiti. Anche questa possibilità è tuttavia difficile da realizzare. Per creare un sistema che alle prossime elezioni consegni la maggioranza assoluta ai leghisti o ai grillini (questi ultimi da sempre iper-proporzionalisti), sarebbe necessaria una legge iper-maggioritaria e probabilmente a doppio turno. Insomma, una legge ancora più distorsiva e incostituzionale dell’Italicum. O, se si vuole, più suina del Porcellum.

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