Sebbene gli sbarchi sulle coste italiane siano passati da 63mila del 2011 ai 117mila del 2017, non siamo di fronte a un’invasione. E sebbene gli sbarchi siano diventati l’emergenza dell’agenda politica italiana e abbiano caratterizzato il dibattito pubblico, a tranquillizzare gli animi degli italiani restii agli ingressi nel Belpaese, i dati dell’ultimo Rapporto ISMU sulle migrazioni, il XXIII, non sembrano svelare dinamiche e prospettive preoccupanti.

 

 

Tutt’altro: in base alle stime, nel prossimo ventennio, a caratterizzare la popolazione straniera sarà una sostanziale stabilità. E, fra regolari e non (con un’incidenza dell’8 per cento circa), le presenze straniere saranno pure cinque milioni e 958mila ma si assiste, soprattutto, a una crescita delle acquisizioni di cittadinanza: nel corso del 2016, infatti, si contano ben 202mila nuovi italiani, facendo svettare l’Italia al primo posto in Europa per numero di acquisizioni.

 

Sempre meno disoccupati e sempre più integrati, nel 2016 i lavoratori immigrati raggiungono la cifra di due milioni e quattrocentomila e rappresentano il 10 per cento circa dell’occupazione complessiva. A preoccupare, invece, è il fenomeno dell’inattività: quella condizione di esclusione volontaria dal mercato del lavoro ha conosciuto un’espansione nel tempo, coinvolgendo sempre di più le donne e di alcune comunità in particolare (pakistane, del Bangladesh, egiziane, indiane, marocchine e tunisine). E c’è un dato da non sottovalutare: i giovani stranieri non sembrano essere colpiti da una condizione di svantaggio nell’occupazione, nonostante (o forse perché) mostrano una più precoce transizione al mondo del lavoro.

 

Ma dal disagio sociale, si: quando la lentezza delle procedure di riconoscimento del titolo di protezione - mediamente oltre due anni - può trasformarsi in vero e propria patologia mentale. A confermarlo, l’Organizzazione mondiale per la Sanità: i problemi di salute psichica risultano più frequenti tra i richiedenti asilo rispetto alle altre categorie di immigrati e ad aumentare la vulnerabilità altri fattori quali l’età che avanza, il sesso femminile e il carente sostegno sociale.

 

La visione dell’“immigrazione sia come estrema calamità da combattere sia come magica soluzione a ogni nostro problema, dalle culle vuote al rilancio del PIL” non solo è parziale ma è fortemente astratta e ideologica. I nordafricani diventano italiani, gli asiatici si stabilizzano in attesa di farlo mentre gli africani sub sahariani sono ancora “alla disperata ricerca di un luogo in cui fermarsi a vivere”: il reale volto dell’immigrazione.

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