Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Carlo Musilli

Il numero uno della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha assicurato mercoledì che la Banca centrale americana non ridurrà gli stimoli all'economia, perché "una prematura stretta della politica monetaria metterebbe a rischio la ripresa". Poi però ha anche ammesso che "già nei prossimi mesi" la Fed potrebbe decidere di ridurre gli acquisti di titoli sul mercato secondario. Le parole del governatore hanno prima esaltato e poi depresso le Borse di mezzo mondo.

Ma in tanta fibrillazione planetaria per la pioggia di soldi in arrivo, è bene ricordare che pochi giorni prima lo stesso Bernanke aveva suonato un campanello d'allarme da non sottovalutare, come invece hanno puntualmente fatto i regolatori americani. Nel mirino, ancora una volta, c'è la speculazione finanziaria.

"Alla luce dell'attuale ambiente macro, caratterizzato da tassi d'interesse ultrabassi - aveva avvertito due settimane fa il numero uno della Fed -, guardiamo con estrema attenzione a ogni esempio di corsa ai rendimenti e di altre forme di eccessiva assunzione del rischio, che potrebbero avere ripercussioni sui prezzi degli asset e sulla loro relazione con i fondamentali".

Non solo: secondo Bernanke, il sistema bancario "ombra", fatto di fondi speculativi, "pone ancora dei seri rischi per il sistema finanziario. Questi fondi potrebbero non essere ancora capaci di far fronte a un default", e anche se oggi il settore "ha dimensioni inferiori rispetto a prima della crisi, è necessario affrontare le restanti vulnerabilità" rafforzando le regole.

Parole sagge, peccato che a distanza di pochissimo tempo sia accaduto l'esatto contrario. Le regole sono state ammorbidite, a tutto vantaggio delle lobby bancarie. Ed è successo proprio nell'ambito della riforma Dodd-Frank, il provvedimento varato nel 2010 dall'amministrazione Obama per rafforzare le regola della finanza Usa, responsabile della crisi mondiale scoppiata due anni prima.

A metà maggio le authority statunitensi hanno modificato una normativa cruciale, alleggerendo gli standard per la verifica dei prezzi dei contratti derivati (ovvero i titoli speculativi per eccellenza, che consentono di massimizzare i guadagni, ma espongono gli investitori a rischi altissimi).

In principio i regolatori americani avevano stabilito che i grandi gestori di asset dovessero rivolgersi ad almeno cinque banche per determinare i prezzi di questi strumenti (e si trattava già di un compromesso). D'ora in poi, invece, ne basteranno due, che saliranno a tre fra 15 mesi. Non esattamente un passo avanti in termini di trasparenza.

La questione è tutt'altro che marginale, visto che proprio l'oscurità dei mercati su cui si scambiano i derivati è stata alla base dell'esplosione speculativa di cui ancora oggi patiamo le conseguenze. L'allentamento di quella norma, dunque, preserva scientemente una di quelle "vulnerabilità" contro cui si dovrebbe combattere.

A beneficiarne sono naturalmente i colossi di Wall Street, che potranno continuare più facilmente a gonfiare commissioni e prezzi sui derivati. Si tutela così l'oligopolio delle cinque maggiori banche americane (JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs), capaci di controllare da sole il 90% di questi contratti, in un mercato che vale la cifra oceanica di 700 mila miliardi di dollari. Un manipolo di giganti in grado di esercitare pressioni indicibili sul potere politico, come sempre molto sensibile alle ragioni di chi finanzia le campagne elettorali (e non solo).

La recente modifica non azzera certamente l'efficacia della riforma, considerando che in futuro il commercio dei titoli derivati si dovrà svolgere su piattaforme regolamentate, non più nel buio pesto che ha regnato finora. E' tuttavia preoccupante che il ripensamento sia arrivato dalla Commodity Futures Trading Commission (Cftc), l'authority di controllo su futures e derivati.

"Quello dei derivati non sarà più un mercato chiuso e opaco - ha detto il presidente della Cftc, Gary Gensler -, ma resta comunque il più oscuro del pianeta. Bisognerà quindi applicare regole simili a quelle che disciplinano il mercato azionario e quello dei futures".

Nel frattempo, però, le authority americane (comprese la Sec, ovvero la Consob americana, e la stessa Federal Reserve) tardano anche a completare molte altre norme della Dodd-Frank, come la cosiddetta la Volcker Rule, che vorrebbe impedire il trading proprietario delle banche e ridurre la propensione al rischio degli istituti. Se ne discute da tanto, ma ancora niente. Con buona pace di Bernanke e dei suoi discorsi.





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