Ucraina, si apre il fronte di Kharkov

di Mario Lombardo

L’offensiva lanciata nei giorni scorsi dalle forze russe in direzione nord-sud verso la regione di Kharkov segna probabilmente una nuova tappa del processo di sfaldamento del regime di Zelensky e sta già mettendo alla prova i suoi sponsor NATO, alcuni dei quali discutono apertamente del possibile invio di propri militari sul fronte ucraino. Come di consueto, i vertici politici e militari russi...
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Jago into the white

di Sara Michelucci

Un moderno Michelangelo, che fa della scultura la sua vita, portando in tutto il mondo i suoi lavori e il suo talento. Jago è il protagonista del film Luigi Pingitore, Jago into the white che narra vita, viaggi, sogni e ambizioni del giovane scultore italiano. Il lavoro verrà presentato in anteprima alla prossima edizione Tribeca Film Festival (5-16 giugno 2024) e poi arriverà nelle sale italiane solo per due giorni, il 18 e 19 giugno, come primo evento della stagione 2024 Off della Grande Arte al Cinema di Nexo Digital. Si narra di due anni della vita di Jago, da quando si trasferisce da New York a Napoli e, in piena solitudine, lavora giorno e notte alla sua nuova scultura: una versione moderna e personale della Pietà. Per diversi...
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di Emanuela Pessina

BERLINO. Una donna velata da un burqa nero, di cui si intravede solo uno sguardo minaccioso, con dei minareti, rappresentati come missili scuri, che proiettano le loro ombre su una bandiera svizzera stesa. È questa l'immagine scelta dalla destra nazional-conservatrice svizzera (SVP) per la campagna anti-minareti promossa in vista del referendum del 29 novembre, e la polemica è già alle stelle. Il razzismo espresso dai manifesti della SVP va a coronare una situazione di per sè già tesa: il referendum di domenica potrebbe vietare per legge la costruzione di nuovi minareti su suolo elvetico e ciò costituirebbe, per molti, un’offesa alla libertà con la “elle” maiuscola.

L'iniziativa è stata lanciata nel maggio 2007 da alcuni confederati di destra contrari alla costruzione di tre minareti in altrettante località svizzere. I cittadini hanno raccolto i voti necessari a indire il referendum: l'SVP, la maggior forza politica in Svizzera, è intervenuta a sostegno dell’iniziativa soltanto in un secondo momento. La vittoria del "sì" porterebbe all'introduzione nella Costituzione Federale del divieto di costruzione di nuovi minareti, creando una situazione paradossale in uno stato "neutro" e tollerante come la Confederazione Elvetica.

I manifesti discriminanti diffusi dalla SVP, in realtà, sono soltanto la punta dell'iceberg di un problema molto più profondo. Secondo alcuni, il referendum già di per sé costituisce un insulto alla libertà di professare e di espressione dei cittadini. Il governo elvetico si è detto contrario all’iniziativa, ma - come si suol dire - il dado è ormai tratto e i media di tutto il mondo islamico sono ora puntati verso la Svizzera.

"Noi svizzeri viviamo nel cuore dell'Europa, ma costituiamo un caso del tutto particolare" ha detto al quotidiano tedesco Tagesspiegel, Jean Ziegler, sociologo svizzero e professore alla Sorbona di Parigi. "Centoquindicimila svizzeri hanno votato per indire il referendum: già questo è sintomo di quella che io definisco la patologia elvetica". Secondo Ziegler, la causa di questa "iniziativa carica di intolleranza" è  la paura: "Per gli oppositori, il minareto simbolizza la pretesa di potere dell'Islam sulla Svizzera". Paura dell'Islam, certo, che a volte però diventa - erroneamente - sinonimo di paura del terrorismo.

A questo proposito si è pronunciato anche Youssef Ibram, l'Imam della moschea di Ginevra, il più grande luogo di culto islamico della Svizzera. Ibram sa che non si tratta di un semplice referendum contro i minareti: la controversia è il manifestarsi di un pregiudizio latente tanto radicato quanto pericoloso. "Noi non siamo responsabili per Bin Laden, non siamo responsabili per Al Qaida, non siamo responsabili per i talebani in Afghanistan", ha sottolineato Youssef Ibram. "Noi siamo responsabili solo di noi stessi".

Ginevra, tra l'altro, è una delle città che hanno permesso l'affissione dei manifesti incriminati: ce ne sono parecchi, anche vicino alla moschea stessa, e non fanno che  aggravare una situazione già molto tesa. Qualche giorno fa, alcuni fanatici oppositori dell'Islam hanno lanciato delle pietre contro la facciata della moschea ginevrina, inaugurata nel 1978 dal re dell'Arabia Saudita in persona: l'attacco non ha provocato nessun ferito, ma ha reso necessario lo stazionamento costante di una pattuglia della polizia svizzera di fronte al luogo di culto. Altre città, come Basilea, hanno proibito la diffusione dei manifesti.

Finora, i musulmani hanno costruito quattro minareti in territorio svizzero. Su quasi 8 milioni di abitanti, la Svizzera conta più di trecentomila musulmani: si tratta di una minoranza superiore al 4 per cento. Dopo il cristianesimo (cattolici e protestanti), l'Islam è la seconda religione professata nella Confederazione. Tanto per fare un confronto: gli islamici, in Italia, raggiungono uno sparuto 1,6 percento.

Il problema, quindi, va oltre i puri e semplici minareti: il referendum tocca sfere della coscienza svizzera (ma anche europea) particolarmente vulnerabili in questi tempi quali tolleranza, razzismo, paura del diverso e pregiudizio. E offrono uno spunto a riflettere sui fanatismi religiosi, di qualsiasi colore o razza essi siano.


 

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