Fico e l’atlantismo criminale

di Michele Paris

Dopo un lungo e complicato intervento chirurgico, il primo ministro slovacco Robert Fico è sopravvissuto al tentato assassinio di mercoledì avvenuto in una località a un paio d’ore di auto da Bratislava. Il gravissimo episodio ha tutti i connotati di un’operazione politica ed è da collegare allo scontro sull’Ucraina che si sta consumando tra i vertici UE e gran parte dei leader dei...
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Australia: i criminali sbagliati

di Michele Paris

La giustizia australiana ha emesso martedì per la prima volta in assoluto un verdetto di condanna in un caso di crimini di guerra collegato ai due decenni di occupazione militare dell’Afghanistan. A ricevere la condanna non è stato però nessuno dei militari che ha commesso materialmente oppure facilitato o insabbiato questi crimini, nonostante le prove per farlo siano da tempo anche di pubblico dominio, bensì uno dei “whistleblowers” che ha fatto conoscere al pubblico questi stessi crimini commessi contro i civili afgani. Il condannato in questione è l’avvocato militare David McBride, oggetto di una pesante sentenza per avere sottratto documenti riservati all’esercito australiano e poi condivisi con alcuni giornalisti della...
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di Michele Paris

Con poco meno del 53% dei consensi, il candidato della sinistra unita sotto le insegne del Frente Amplio, l’ex tupamaro José “Pepe” Mujica, si è aggiudicato il ballottaggio per le elezioni presidenziali in Uruguay. Il 74enne ex senatore socialista ha sconfitto al secondo turno il candidato conservatore Luis Alberto Lacalle, succedendo così al popolare presidente uscente Tabaré Vázquez, impossibilitato a cercare un secondo mandato dalla Costituzione del piccolo paese sudamericano. Nonostante i suoi precedenti, Mujica nei prossimi cinque anni non dovrebbe discostarsi significativamente dal suo predecessore, protagonista di un percorso di riforma progressista all’insegna del pragmatismo che ha ridotto il livello di povertà e disoccupazione senza intaccare la fiducia degli investitori.

Dopo la tornata elettorale del primo turno lo scorso mese di ottobre, Mujica aveva raccolto la maggioranza dei voti, senza tuttavia superare la soglia del 50%. Alle sue spalle si erano piazzati Lacalle, presidente uruguaiano dal 1990 al 1995, e Pedro Bordaberry, figlio dell’ex dittatore Juan Maria Bordaberry che guidò il paese negli anni Settanta. I voti dei due candidati sconfitti, appartenenti ai due partiti che avevano monopolizzato la scena politica uruguaiana dall’indipendenza fino al 2005 (Partido Nacional e Partido Colorado), avevano fatto temere un possibile ritorno di Lacalle al secondo turno. Già dai primi exit polls si era però intuito il successo di Mujica, il quale grazie anche agli elevatissimi indici di gradimento di Tabaré Vázquez ha conquistato la presidenza con un margine tra i sette e i dieci punti percentuali sul suo rivale.

Proprio cinque anni fa, la coalizione composta da una quarantina di raggruppamenti politici che va dai trotskisti ai cristiano-democratici, creata nel 1971, era riuscita ad interrompere il dominio dei due partiti principali. Nel Frente Amplio erano successivamente confluiti gli ex ribelli tupamaro come Pepe Mujica, vera e propria forza trascinatrice del raggruppamento politico. Costretto in carcere per tredici anni durante la dittatura, il presidente eletto dell’Uruguay ha condotto una campagna elettorale all’insegna della moderazione, distanziandosi dal suo passato di guerrigliero che ha invece quasi sempre occupato le cronache a lui dedicate dalla stampa internazionale.

In un’intervista rilasciata la scorsa estate, Mujica aveva infatti dichiarato di non credere più alle “stupide ideologie degli anni Settanta”, riferendosi alla “predilezione incondizionata per tutto ciò che è pubblico, al disprezzo per gli uomini d’affari e all’odio per gli Stati Uniti d’America”. L’esperienza del carcere, a suo dire, ha contribuito in maniera decisiva al crollo dell’illusione di poter conseguire il cambiamento sociale tramite la lotta armata rivoluzionaria.

Nonostante le differenti personalità di Tabaré Vázquez e Pepe Mujica, prudente e schivo il primo quanto spontaneo e aperto quest’ultimo, le linee di politica economica del governo uruguaiano dovrebbero rimanere pressoché inalterate. L’enfasi sulla giustizia sociale che ha caratterizzato gli ultimi cinque anni ha d’altra parte contribuito ad abbassare il livello di povertà in Uruguay dal 32% del 2004 al 20% attuale, così come la crescita economica è oscillata tra il 7 e il 12% fino all’anno scorso. Il tasso di disoccupazione è ugualmente sceso dal 21% del 2002 all’8% del 2009, mentre a dispetto della crisi globale l’economia del paese ha fatto segnare una modesta crescita anche nell’anno in corso.

Artefice dei successi del presidente uscente è stato il ministro dell’Economia Danilo Astori, leader della formazione social-democratica Asamblea Uruguay (affiliata al Frente Amplio), appena eletto vice-presidente di Mujica. Grazie ad una tassa progressiva che ha gravato sui redditi medio-alti, Astori e Vázquez hanno potuto così consolidare una crescita relativamente equa nel paese, mettendo in atto una politica redistributiva che, tra l’altro, ha allargato considerevolmente la copertura del sistema sanitario. Allo stesso tempo, alcuni progressi importanti si sono registrati sul fronte delle indagini sui crimini della dittatura e dei diritti civili.

Se è innegabile che la presenza alla guida dell’Uruguay di un ex guerrigliero tupamaro farà percepire a molti una possibile maggiore sintonia con i governi di Hugo Chávez o di Evo Morales, è assai più verosimile che la presidenza di Mujica sarà all’insegna della continuità con quella del suo predecessore. Infatti, sia nell’ambito della politica interna, sia nei rapporti con gli altri paesi sudamericani, lo stesso Mujica ha più volte sottolineato di voler percorrere una “via di mezzo”, ispirandosi, per sua stessa ammissione, alla moderazione del potente vicino brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva. Ma, quali che saranno le inclinazioni particolari del nuovo Presidente, il voto conferma come l’Uruguay prosegue il suo cammino democratico e progressista, rafforzando l’asse democratica del continente che ha deciso, da diversi anni, di percorrere la strada dell’integrazione latinoamericana e dell’indipendenza da Washington.

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