Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Carlo Benedetti

MOSCA. Si diceva un tempo: “Uno spettro si aggira per l'Europa: è lo spettro del comunismo”. Poi il comunismo è arrivato in forma di potere terreno e, dopo alcuni anni, è rientrato nei libri delle teorie. Ed ecco ora che in Russia, alla vigilia del 65mo anniversario della Vittoria sul nazismo (9 maggio), un nuovo spettro si aggira dal Baltico al Pacifico. E’ quello di Josif Vissarionovic Stalin, il “generalissimo” della grande guerra, che (dopo la messa in silenzio ordinata da Krusciov) tornerà nelle strade e nelle piazze della Russia. Tipografie e studi di decoratori sono al lavoro.

Si preparano gigantografie che lo presentano nella tradizionale divisa militare, si riproducono manifesti con la sua immagine. Su tutto dominerà un pannello (sempre dei vecchi tempi) con Stalin che sovrasta una schiera di soldati dell’Armata Rossa che vanno all’attacco coperti da una grande scritta che dice: “Avanti, verso la distruzione dell’occupante nazista, per cacciarlo dalla nostra patria!”.

Seguirà a tutto questo un’orgia di riproduzioni di cartoline dedicate alla vita di Stalin, di opuscoli e libri in suo onore. Torneranno a circolare i distintivi con la sua effigie. Si venderanno nelle strade busti in gesso e in bronzo, riproduzioni di ogni tipo, bandiere e cimeli vari. E chi in questo momento scrive dalla capitale russa, ricorda bene quel tempo dell’Urss caratterizzato da uno “stalinismo popolare”. Erano i primi anni dell’epoca di Breznev, quando autisti di taxi o di camion portavano sul parabrezza o accanto al posto di guida ritratti di Stalin vedendo nel periodo passato momenti eroici, caratterizzati da forti credenze.

Ora contro questo revival si fanno vivi i liberal-democratici della nuova Russia e quelli dell’organizzazione “Memorial”. Protestano contro il sindaco di Mosca, Luzkov, accusandolo di dare spazio agli stalinisti. E lui (con un forte appello alla popolazione diffuso in diretta dalla tv) si difende ricordando che l’Urss, con Stalin, vinse la guerra, contribuendo a fare della Russia sovietica una potenza militare e industriale globale, in grado di decidere assieme agli Stati Uniti l'assetto del mondo postbellico. E il fatto stesso di andare controcorrente, di conseguenza, costringe il pur chiacchierato sindaco liberista a intervenire con decisione contro quelle forze politiche di centro-destra del paese, che tendono a scindere la vittoria dalla figura di Stalin e dal sistema comunista.

Secondo Boris Gryzlov, un laudatores del Cremlino che guida il partito di maggioranza «Russia Unita» (la formazione che sostiene Putin e Medvedev) «é stato il popolo a vincere la guerra, non Stalin (...) nessun poster potrà mai correggere il discutibile ruolo di Stalin nella vita del nostro paese». A rincarare la dose è poi il leader nazional-liberale Vladimir Zhirinovsky, secondo il quale «Abbiamo perso i primi mesi di guerra a causa sua e vinto la guerra non per lui. Stalin giustiziò i vertici militari e furono i nuovi comandanti cresciuti nelle trincee assieme ai soldati russi a battere l'esercito nazista, Stalin non ha nessun merito al riguardo».

In questo contesto si sviluppano ulteriori polemiche. Con il dibattito che ormai esula da considerazioni ideologico dottrinarie, come ai tempi della destalinizzazione del Ventesimo congresso kruscioviano. Si può quindi dire che oggi tutto fa parte del processo di costruzione identitaria della Russia postsovietica. Si lotta contro chi cerca di far convivere il passato imperiale zarista, quello sovietico e il presente di un Paese che, sebbene amputato di gran parte dei suoi ex territori, ancora si concepisce come potenza mondiale.

Ma è anche chiaro che non c’è - a livello della società civile - nessuno spirito di rivalutazione per i tempi di Stalin. Si combatte infatti contro una “riabilitazione” dettata da ambienti di varia ispirazione, che vanno dagli stalinisti agli ultranazionalisti di estrema destra e che si muovono sotto gli slogan di una «Russia eterna e indivisibile». Per molti si tratta di una classica concezione nazionalista, dove momenti di drastica cesura come la rivoluzione bolscevica o il crollo dell'Urss, vengono ridotti a mero “incidente della storia”.

Intanto ad appoggiare la “riabilitazione” di Stalin sono, in primo luogo, i veterani della grande guerra e le formazioni comuniste. In particolare si distinguono i comunisti di Ziuganov che (aiutati dalla recentissima avanzata elettorale) si presentano come dogmatici custodi della storia e della Vittoria. Si schierano, quindi, a difesa delle scelte del municipio di Mosca rilevando che «tutti i comandanti del fronte riconobbero il talento militare di Stalin e non avrebbero mai immaginato una vittoria militare senza di lui».
Varie, quindi, le interpretazioni nella Russia di oggi. Sia sul piano propriamente storiografico che su quello politico tra conflittualità e instabilità.

Le diverse scuole di pensiero vengono ora ripercorse nei loro contributi e tratti essenziali: dai sostenitori della continuità a quelli della rivincita della Russia; dalla scuola totalitaria ai teorici della modernizzazione; dall'interpretazione termidoriana a quella del dispotismo orientale; dagli studi classici all'ampia galassia "revisionista" che ha arricchito e  ampliato nell'ultimo ventennio la storiografia sull'Urss. Per i molti che oggi auspicano il ritorno dello stalinismo e per molti che lo temono questa prossima giornata che ricorda la Vittoria sarà, di conseguenza, un momento di grande prova.

Ma sarà, appunto, solo una prova e non un fatto di numeri. Perchè la Russia post-sovietica - pur se attraversata da contraddizioni - ha già dimostrato di aver fatto un passo avanti nella sua costruzione sociale. Superando, quanto a conduzione politica, quel concetto che portava a considerare il “Partito” come un “ordine” politico-ideologico destinato, per imposizione divina, a dirigere la società.

C’è, comunque, in tutta questa vicenda di revisioni storiche caratterizzate da una  rinascita di memoria popolare (o meglio di tante memorie parziali e contraddittorie), anche una appendice italiana per la prossima manifestazione della Vittoria. Si annunciano gruppi da Roma e da Milano che verranno ad unirsi ai cortei, coperti dalle bandiere rosse dei russi. E da Bologna arriva la notizia che un gruppo di “stalinisti” parteciperà al corteo di Mosca portando una testimonianza di un certo effetto. E precisamente il manifesto che la Federazione bolognese del PCI pubblicò nel giorno della scomparsa di Stalin ricordando “il grande amico del popolo italiano”. Altri tempi, per tutti, che la storia non può cancellare nonostante i contrapposti orientamenti.

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