Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Zamora

di Sara Michelucci

Una commedia sagace che vede Neri Marcorè di nuovo alla regia con Zamora. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si...
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di Fabrizio Casari

Con il 56% dei voti, Dilma Rousseff, candidata del PT e, prima ancora, candidata di Lula alla guida del Paese, è stata eletta Presidente del Brasile. E’ la prima volta, in oltre 120 anni di Repubblica, che il gigante latinoamericano sceglie una donna per la presidenza. Un successo che si annunciava già dai sondaggi che si accavallavano in campagna elettorale; i due mandati del suo predecessore e mentore, Ignacio Lula da Silva, erano stati segnati da un tale successo che il proseguimento del Partito dei Lavoratori al potere era sembrato inevitabile.

Il fatto che lo stesso ex-presidente uscente avesse deciso, in totale autonomia, di candidare l’ex-guerrigliera, ha avuto l’effetto di calamitare il voto anche di chi della Roussef conosceva poco. L’elezione di Dilma, infatti, per molti brasiliani è stata anche un modo di rendere tributo agli anni di presidenza Lula, considerati universalmente come i migliori della storia moderna brasiliana. L’aver dovuto ricorrere al secondo turno, pare semmai essere, al momento, la tassa di successione che l’economista esponente del PT abbia pagato per gestire il patrimonio lasciatole da Lula.

Lo stesso Partito dei Lavoratori risentirà positivamente del successo ottenuto dalla Roussef, giacché è indiscutibile che la sua candidatura, proprio perché priva del carisma autosufficiente del predecessore, ha espresso un voto favorevole anche al partito nel quale ha sempre militato, che non si è risparmiato nella campagna elettorale.

E seppure la popolarità di Lula (l’83% dei brasiliani giudicano “ottima” o “molto buona” la sua presidenza ndr) é stata certamente determinante per il successo della nuova Presidente, Dilma Rousseff non può essere considerata esclusivamente il prodotto di una scelta di continuità. Da guerrigliera a Ministro della Repubblica, questa donna di 62 anni ha dedicato la sua vita al Brasile.

Che la sua popolarità sia passata dai verbali della polizia politica della dittatura militare brasiliana, (che in esecuzione del Plan Condor era impegnata nel perseguire agli oppositori) a quella dei quartieri del ceto medio e delle favelas brasiliane, è merito proprio di un carattere e di una abilità politica di Dilma che non vanno sottovalutate. E se il voto brasiliano si è espresso nel segno della continuità con gli anni della presidenza Lula, scegliendo la continuità, la nuova inquilina del Planalto si troverà a dover gestire una fase politica di grande prospettiva.

Gli anni di presidenza Lula hanno visto ridursi di venti milioni il numero dei poveri, una crescita economica impetuosa, con un Pil che è volato su livelli cinesi ed un ruolo internazionale del Paese che è enormemente cresciuto. Il Brasile che Lula lascia in eredità alla Rousseff ha avuto una prepotente crescita economica e sociale. Sul piano sociale è stata straordinaria la campagna “fame zero”, che ha destinato risorse economiche alla popolazione più emarginata, che solo con la Presidenza Lula si è vista trasformare da problema di ordine pubblico in oggetto di politiche sociali.

L’economia brasiliana è oggi l’ottava al mondo e le politiche keynesiane sviluppatesi nei sette anni appena scorsi (che pure non hanno subìto un aumento dell’inflazione, come i suoi detrattori vaticinano ogni volta che la finanza viene subordinata alla crescita economica generale) hanno permesso la crescita del mercato interno, che ha avuto a che vedere in buona parte con l’accesso al credito di circa 40 milioni di brasiliani, che hanno potuto lasciare il proletariato per divenire classe media.

Il Brasile che lascia Lula, non poi è solo un esempio di buongoverno, ma anche di leadership internazionale. Il Paese, infatti, oltre ad essere impegnato nell’avanzamento della sua crescita economica, è stato parte fondamentale della gestione politica della nuova democrazia latinoamericana. Brasilia, infatti, è stata ed è tuttora alla testa dei processi che, a livello continentale, disegnano il nuovo profilo delle democrazie latinoamericane. Compito che Lula ha svolto con grande abilità; con toni certamente diversi da quelli di Chavez, ma con nettezza non certo minore, la cancelleria brasiliana ha svolto un ruolo decisivo nella riduzione del peso statunitense nel continente.

Il sostegno a Venezuela, Bolivia, Argentina e Cuba, il suo ruolo attivo nella difesa della vita dell’ex-presidente hondureno Zelaya, in sfida ai golpisti honduregni e ai loro sponsor Usa, è stato condotto in simultanea con il progressivo miglioramento dei rapporti bilaterali con i paesi vicini, rendendo il Brasile interlocutore ineliminabile per le controversie regionali e per i piani di crescita economica, tanto a livello continentale che internazionale. Il Brasile ha decisamente modificato il suo status, cessando di essere solo una potenza regionale per divenire un attore globale, il cui peso incide negli equilibri internazionali.

La sua stessa candidatura al seggio permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu è rapidamente diventata una battaglia di quasi tutti i paesi sudamericani, che nel gigante carioca vedono il loro rappresentante destinato a bilanciare per il Sud - almeno parzialmente - lo squilibrio del peso politico del Nord in seno alla comunità internazionale. Mantenere questo livello di prestigio nei diversi fori internazionali - dal G-20 al FMI, all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) - sarà uno dei compiti principali della nuova Presidenza Rousseff.

Nelle sue prime dichiarazioni successive alla vittoria, la Rousseff si é riferita alla “immensa forza che sorge dal popolo” quale arma decisiva per affrontare le sfide maggiori della sua presidenza. La popolazione brasiliana, come i governi democratici latinoamericani, hanno tirato un sospiro di sollievo alla notizia della sua vittoria. L’onda lunga, cominciata negli anni ’90 con la nascita del Foro di Sao Paulo e concretizzatasi poi nella sinistra al governo nella maggior parte dei paesi latinoamericani, é ancora forte. Le pretese di riconquista Usa sul continente, sembrano ancora destinate al magazzino delle nostalgie irripetibili.

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