Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Giuliano Luongo

Ormai tutti conoscono a menadito le abili strategie di Putin, grazie alle quali il leader post - o sarebbe meglio dire neo - sovietico riesce a serrare con forza sempre maggiore le proprie mani sul sistema energetico europeo: conosciamo quanto è successo e continua a succedere in ambito gas, e sappiamo anche cosa succede in tema di energia nucleare.

Un ambito invece sul quale siamo meno informati è quello della “Russia petrolifera”: a parte le notizie di qualche ingente crack risalente a diversi anni fa - e trascurando gli atti estremi di noti petrolieri celebri per le loro fesserie nel jet-set internazionale - conosciamo ben poco delle idee geostrategiche del Cremlino per conquistare la cara, vecchia, scricchiolante Europa occidentale.

Ebbene, stavolta abbiamo sotto i nostri occhil’ultimo atto della crociata energetica moscovita, che sta avendo luogo proprio nel settore petrolifero: la Rosneft, “compagnia di bandiera” dell’oro nero russo, ha siglato un accordo con la società anti-ecologica per eccellenza, la British Petroleum (in arte BP) in tema di diritti di trivellazione e soprattutto di quote societarie all’interno della grande compagnia britannica. Cerchiamo di andare per ordine onde chiarire statiche e dinamiche di questi nuovi assetti.

La BP ha comunicato uno share swap di “appena” 16 miliardi di dollari con la controparte russa, come parte di un’ambiziosa alleanza strategica che vedrà le due compagnie coinvolte in un’operazione di trivellazione congiunta nella zona dell’Artico controllata da Mosca. In tema di “numeri”, Rosneft entrerà in possesso del 5% della BP, che a sua volta prende il 9,5% del gruppo russo, del quale possedeva già l’1,2%. L’operazione è stata una vera e propria iniezione di salute per le azioni della compagnia britannica, cresciute di 4 punti al momento della pubblicazione della notizia: a circa 49$ per azione, i titoli del gruppo hanno raggiunto il loro massimo dal 6 maggio scorso, un’autentica rivitalizzazione dal momento in cui il disastro ecologico-economico del Golfo del Messico ha avuto luogo.

L’accordo è stato ovviamente accompagnato dalla fuffa di rito, con frasi del tipo “siamo davanti all’alleanza del 21esimo secolo”, “nuovi accordi, basta con le vecchie logiche” e via discorrendo: su temi più pratici, i manager BP hanno affermato che “avrebbero potuto” firmare un simile accordo anche se il disastro messicano non fosse avvenuto, e che un simile scambio può portare vantaggi alle loro “azioni sottovalutate”.

Da parte moscovita, la soddisfazione è alle stelle: per mandare l’accordo a buon fine, centrale è stata l’azione del grande alleato politico di Putin, Igor Sechin, che ha tenuto a precisare quanto questo accordo smentisca coloro i quali sostengono che la Russia pratica una politica economica miope e poco lungimirante.

Stavolta, il punto non è solo strettamente sull’ennesima espansione russa in Europa, Rosneft diviene sì il maggiore singolo azionista della compagnia britannica, ma per capire l’ampiezza dell’operazione si deve tenere bene a mente l’identità, per così dire, del primo “cliente” della BP: l’esercito degli Stati Uniti d’America. Per sillogismo, dunque, la forza militare più sopravvalutata al mondo compra “la” risorsa energetica per eccellenza dagli avversari di sempre.

Mica da ridere. Cioè, sì, fa ridere ed anche tanto, ovviamente se non si é dipendenti della Casa Bianca. Inutile dire che le reazioni da Washington si sono fatte sentire, anche se non in maniera eccessivamente “calda” come si sarebbe temuto né in maniera ufficiale, probabilmente a causa dei maggiori mali di fegato causati dalla concomitanza della visita cinese. Forse proprio perché impegnato a gestire la patata bollente Hu Jintao, Obama pare non si sia espresso ancora sulla faccenda, mentre qualcosa è trapelata dalla Commissione governativa presidenziale - già occupatasi del caso messicano - che ha semplicemente fatto un invito a non effettuare trivellazioni nell’Artico senza i dovuti controlli ambientali.

Mentre il deputato democratico Markey (membro del comitato per le risorse energetiche nazionali) ha preferito enunciare il proprio disappunto sbeffeggiando la BP con un gioco di parole squallido, il repubblicano Burgess si è limitato a parlare di “bisogno di attenta analisi” sull’accordo. Più interessante far notare come si sia reagito da Londra, dove il Ministro dell’energia Chris Huhn ha seccamente definito la Russia come “valido partner energetico”. Interessante ricordare che l’accordo in questione ha un suo peso anche nelle dinamiche interne alla Russia stessa: la Rosneft ha in corso una sorta di “rivalità” con la Gazprom per l’accaparramento di quote nelle imprese straniere.

Diversi rapporti di forza tra le imprese russe si concretizzano in diversi rapporti di forza nel “politburo” di Putin e dintorni: il colpaccio del Rosneft ha di certo portato molti punti a Sechin, e di sicuro numerose conseguenze non si faranno attendere. In tutto questo, la BP stessa ha sicuramente un semplice vantaggio: si allontanano le chance di chiudere bottega, dopo la cilecca leggendaria sulle coste americane che ben ricordiamo. La compagnia inglese va già smontandosi - con molti “pezzi” della catena produttiva che vanno nelle manine dei cinesi - e di conseguenza un accordo non troppo capestro con i russi significa una vita più lunga, almeno così si spera.

Dunque, benché questo sia solo un inizio e pertanto non possiamo già trarre conclusioni, possiamo almeno abbozzare delle piccole ipotesi per provare a leggere sviluppi futuri. In primo luogo, vediamo che il partner russo, nonostante sia geostrategicamente il peggiore possibile, continua ad essere particolarmente attraente per le compagnie energetiche europee.

Proponendo accordi più o meno vantaggiosi, facili, resi piacevoli anche per la politica, Mosca riesce ad accattivarsi le simpatie - e le quote - di compagnie di rilievo in tutti i maggiori (e minori) paesi d’Europa. La BP è solo l’ultima compagnia in ordine cronologico che decide di collaborare con un avversario/partner discutibile per un proprio profitto, con molta poca lungimiranza.

In secondo luogo, sarà opportuno tenere d’occhio le possibili mosse successive da parte nordamericana: di fatto, trattasi di operazione tra compagnie private e in un ipotetico sistema liberal-capitalista un governo non potrebbe/dovrebbe fare nulla. Eppure non dimentichiamo che i mezzi di pressione indiretta sono fin troppi. E l’amico Berlusconi? Lui, stavolta, non c’entra niente. Per ora.

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