Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Fabrizio Casari

L’Egitto esulta, il primo obiettivo è stato raggiunto: il rais è diventato un ex. Dopo 18 giorni di proteste, manifestazioni, scioperi, scontri, Hosni Mubarak si è dimesso. Poche ore fa l’annuncio: Mubarak ha ceduto i poteri a Omar Suleiman e all’esercito. L’ex capo dei Servizi Segreti ha annunciato a reti unificate la decisione dell’ex rais di rifugiarsi a Sharm el Sheikh. Non aspettavano altro quelle centinaia di migliaia di persone di ogni età e professione, di ogni religione ed ogni ideologia, che sono diventati tutt’uno con ogni pietra di ogni piazza, di ogni città, in tutto il paese. Caroselli di auto, abbracci e grida di allegria, balli, canti ed autentiche esplosioni di giubilo. La felicità della piazza è divenuta incontenibile. Il nuovo Egitto, nato da una rivolta popolare senza precedenti nella storia del Paese, almeno per qualche ora è padrone delle sue strade.

Una rivolta, quella iniziata il 25 Gennaio scorso, che non ha avuto padrini e padroni; che non ha visto il ruolo predominante di partiti (anche perché gli oppositori erano stati ridotti al lumicino dalla dittatura di Mubarak) ma che ha avuto, nell’assenza di direzione politica classicamente intesa, un punto di forza invece che di debolezza. Poche assemblee per aspiranti leader, poche discussioni sfibranti per nascituri partiti, poche distinzioni di pochi con tutti e di tutti con pochi. Più che un’organizzazione abile a formare una piazza, l’Egitto ha offerto una piazza capace di costruire organizzazione. Nessuno si è tirato indietro, nemmeno di fronte alle minacce di un esercito che si è mosso come un pendolo, alternando avvertimenti e solidarietà. Gli egiziani, non i partiti egiziani, sono stati la direzione vera della protesta.

Dopo 30 anni di potere assoluto sulla Nazione, di consolidamento del suo potere e delle sue ricchezze, per lui e la sua famelica famiglia, il Faraone dell’Occidente se n’è quindi andato. E se n’è andato proprio perché quell’Occidente, cui aveva sempre obbedito, gli si è rivoltato contro, così come quelle Forze Armate, di cui fu altissimo ufficiale, hanno deciso di lasciarlo solo al suo destino. Perché proprio avendo perso l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea aveva perso anche quello dei militari, che hanno scelto, appunto, di seguire l’Occidente. Ventiquattro ore prima, beffando le attese, aveva giocato l’ultima carta, tentando di proporre a Suleiman l’ultima mediazione possibile: elezioni libere in cambio della sua uscita di scena graduale e garantita. Il secondo obiettivo l’ha probabilmente raggiunto, il primo no.

Non era più difendibile, Mubarak, perché non era più affidabile. Non era ipotizzabile, come forse voleva Netanyahu, un’azione di forza, una repressione violenta su larga scala che seppellisse la rivolta, magari sotto una montagna di cadaveri. Non è più possibile nell’epoca della globalizzazione delle immagini, perché non è possibile, per la guida politica dell’Occidente, mostrarsi al mondo con il suo volto peggiore. E comunque non era questa la scelta di Usa e Ue. Soprattutto - va detto - di Obama che ha dimostrato, nella circostanza, una caparbietà nel perseguimento dell’obiettivo degna di un leader politico di statura internazionale.

Nè più né meno, gli Stati Uniti hanno ritenuto di non dover continuare a sostenere l’insostenibile. La visione della leadership internazionale che la Casa Bianca di Obama intende veicolare con forza è quella di una direzione politica che, pur ad assetti variabili, coincide nel richiamo fermo alle regole della democrazia liberale. E’ con questo profilo ideologico che Obama ritiene di dover invertire la discesa progressiva degli Stati Uniti nella governance planetaria.

Le Forze armate egiziane assumeranno il comando e decideranno la formazione di un governo provvisorio; se questo sarà il primo passo verso la strada della democrazia o se invece sarà il primo atto di un golpe, lo vedremo presto. Quello che è certo, è che la caduta del rais non altererà in profondità gli equilibri politici e militari di tutto il Medio Oriente. La sua alleanza con Israele, infatti, ha rappresentato una garanzia di esercizio del controllo politico della regione. Mubarak, ben lontano dal panarabismo nasseriano, è stato un alleato prezioso del governo israeliano nel controllo militare e d’intelligence sulla striscia di Gaza.

Difficile immaginare, anche per il ruolo Usa nella crisi, che quest’assetto subirà variazioni significative. Troppo delicato per gli equilibri geopolitici il ruolo dell’Egitto, paese più popolato del mondo arabo. Ma va registrato come, diversamente da quanto avvenuto in Turchia e in Algeria (pur in contesti diversi tra loro ed entrambi diversi da quello egiziano), i militari hanno scelto - almeno per ora - di esercitare un ruolo di garanzia, rifiutandosi d’imporre con la forza il mantenimento del quadro politico.

I prossimi giorni chiariranno meglio verso quale futuro s’incammina il paese che ha abbandonato per sempre il silenzio e la rassegnazione. Quale soluzione politica, con quali personaggi e con quali garanzie in ordine all’apertura di una fase democratica nuova, sono alcuni degli interrogativi che ora si aprono.

Ma sono i temi che dovranno essere affrontati da domani: stasera il Paese è solo una festa immensa, non c’è posto per analisi e valutazioni, per timori e previsioni. Il rais dell’Egitto, almeno stasera, è il suo popolo.

 

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