Australia: i criminali sbagliati

di Michele Paris

La giustizia australiana ha emesso martedì per la prima volta in assoluto un verdetto di condanna in un caso di crimini di guerra collegato ai due decenni di occupazione militare dell’Afghanistan. A ricevere la condanna non è stato però nessuno dei militari che ha commesso materialmente oppure facilitato o insabbiato questi crimini, nonostante le prove per farlo siano da tempo anche di...
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Dalla Nakba al Palazzo di Vetro

di Fabrizio Casari

La Palestina è qualificata a diventare uno stato membro delle Nazioni Unite. A dirlo sono 143 paesi ai quali si oppongono in 9. A girare la testa altrove sono invece 25, che dietro un’apparente equidistanza, esibiscono la loro totale inadeguatezza alla gestione della governance internazionale. Per certi aspetti, la coscienza civile e la civiltà giuridica sono offese più dai 25 astenuti che dai nove contrari. Perché se tra i contrari vi sono Paesi che sarebbe più onesto definire appezzamenti di terra coloniali degli USA (Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina e Repubblica Ceca), nelle astensioni (Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Svezia, Austria, Canada, Svizzera, Finlandia, Ucraina, Albania,...
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di Eugenio Roscini Vitali

Malgrado il divieto imposto dal Ministero degli  Interni iraniano, a Teheran l’Onda Verde è tornata in piazza e lo ha fatto pagando un altro contributo di sangue a quello che molti esponenti dell’opposizione definiscono come il “fascismo religioso al potere”. Due morto, diversi feriti e centinaia di arresti in una manifestazione che, nonostante l’assenza del capo del partito Eternad-meli e leader del fronte antigovernativo, Mehdi Karroubi, posto agli arresti domiciliari dagli uomini del ministero degli Interni, ha visto la partecipazione di quasi dodicimila persone, donne e ragazzi che hanno sfilato per le vie della capitale al grido di “Morte al dittatore”.

Maryam Rajavi, presidente del Consiglio iraniano in esilio di resistenza nazionale (Cnri) parla di «rivolta senza precedenti», di una nazione decisa a combattere contro le misure repressive adottate dal regime e di un popolo «che continuerà fino al rovesciamento della dittatura religiosa al potere per instaurare in Iran la democrazia e la sovranità popolare».

Le proteste, iniziate alle prime ore del 14 febbraio, sono state subito segnate dal violento intervento della polizia in tenuta antisommossa; secondo i siti web dell’opposizione, Herana e Peykeiran e radio e-Persian, i basij, le forze paramilitari di mobilitazione fedeli al governo, avrebbero attaccato i manifestanti con manganelli e gas lacrimogeni. Una fonte vicina all’agenzia Reuters riferisce di migliaia di persone prese di mira dalle forze di sicurezza mentre sfilavano in silenzio e senza scandire slogan vicino a piazza Imam Hossein. Notizie di scontri tra i manifestanti e le forze di sicurezza anche a piazza Enghelab, piazza Azadi e nei pressi dell’università Sharif, dove gli squadroni della polizia erano schierati sin dalla notte precedente, e nelle città di  Shiraz, Isfahan, Rasht e Mashhad.

Gholam Hossein Mohsenì Ejeì, portavoce del potere giudiziario iraniano, ha informato che gli autori dei disordini di Teheran verranno processati senza alcuna clemenza. Per le autorità la morte dei due manifestanti sarebbe imputabile ai Mujaheddin del Popolo iraniano (Pmoi) che avrebbero aperto il fuoco sulla folla; tra le vittime ci sarebbe Sanè Jalè, 24 anni, studente di Arti Rappresentative all’Accademia delle Belle Arti dell’università di Teheran, ucciso secondo Irib dai colpi sparati dalle armi dei “mercenari armati” dagli Stati Uniti.

Il regime era stato chiaro: il comandante dei pardaran, Hossein Hamadani, aveva parlato dei manifestanti come di cospiratori da considerarsi “cadaveri”; pene esemplari per chi sarebbe sceso in piazza; controllate le abitazioni e tagliate le linee telefoniche dei principali leader dell’opposizione; censurata internet e oscurati i canali televisivi trasmessi via satellite.

L’aria che tira oggi a Teheran è sicuramente pesante ed è evidente che il vento non può che spirare in una sola direzione: nel mirino i “pochi individui che si sono separati dal popolo” e che “cercano di offuscare l’immagine splendente della rivoluzione”. All’indomani dei disordini 233 deputati hanno chiesto l’avvio di una indagine che porti al processo di Karroubi e di Mir Hossein Mousavi, il candidato riformista che il 13 giugno 2009 denuncio i brogli elettorali che consentirono ad Ahmadinejad di vincere le lezioni presidenziali, definiti dal conservatore Gholam Alì Haddad Adel «due signori sono ormai famosi per i servigi resi a Washington e Tel Aviv».

Il Majles, il Parlamento iraniano, ha iniziato i lavori con il discorso del presidente Larijani che ha parlato di manifestazioni «orchestrate a favore degli interessi di Stati Uniti e Israele»; Mohsen Rezaee, candidato sconfitto delle ultime elezioni, ha ribadito che in Iran maggioranza e opposizione sono sostenitori della Repubblica Islamica ed al servizio della guida suprema ed ha invitato tutti a condannare un evento orchestrato e programmato dagli Usa.

L’11 febbraio Ahmadinejad aveva tentato di cavalcare l’onda della rivolta egiziana accorpando l’evento alla  celebrazione del trentaduesimo anniversario della Rivoluzione del 1979. Parlando in piazza Azadi, il presidente iraniano aveva la folla affermando che «vedremo presto un Medio Oriente libero dall’America e dal regime sionista, dove non vi sarà posto per l’arroganza dell’Occidente».

Il presidente pasdaran aveva parlato di potenze in stallo e d’inizio del risveglio islamico, di  movimento globale di protesta e di vittoria del popolo egiziano da non considerare più solo come fenomeno nazionale. Parole che ricalcavano il sermone tenuto il venerdì precedente dall’ayatollah Ali Khamenei, quando al termine della preghiera aveva inneggiato al risveglio delle coscienze contro i governanti arabi servi degli Stati Uniti: «Eccolo il terremoto che stavamo aspettando, il segno tanto atteso; quella cui assistiamo in questi giorni è un’esplosione di rabbia sacra, un movimento di liberazione islamico, e io prego per la vostra vittoria».

Anche se il potere non è mai stato concretamente indebolito dal sangue versato durante l'estate 2009, Ahamdinejad sa che milioni di ragazzi per strada rappresentano un pericolo; la repressione non può che provocare altre  grane e una nuova stretta internazionale all’embargo sul petrolio, un passaggio che non potrebbe altro che peggioramento le già difficili condizioni economiche e sociali in cui versa il Paese. Per tagliare le spese il governo ha già dimezzato le sovvenzioni statali sui generi di prima necessità, una decisione che vale 80 miliardi di euro all’anno, ma che scontenta 15 milioni di poveri e di 10 milioni di disoccupati.

L’installazione di 20 mila impianti per la produzione di energia solare decisa dall’Organizzazione nazionale per l’efficienza dei consumi energetici e la prossima inaugurazione della più grande raffineria del Medio Oriente, la Shazand che sorge ad Arak, un progetto che porterà la capacità di produzione di benzina dell’Iran ai 17 milioni di litri al giorno, non hanno impedito rincari di benzina, elettricità e acqua tra il 10 e il 30%.

E sul fronte dell’occupazione e dei bilanci familiari non cambieranno la vita degli iraniani i 7 miliardi di dollari che la Cina dovrebbe investire nelle raffinerie  di Abadan e Isfahan, 30 milioni di litri di benzina e gasolio al giorno, ne l’inaugurazione della seconda sezione del giacimento petrolifero di Darkhovin, un progetto sviluppato dalla compagnia italiana ENI che porterà la produzione dell’impianto da 50 mila a 160 mila barili al giorno, con una capacità giornalmente di estrazione di 280 milioni di metri cubi di gas naturale.

 

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a cura di:
Fabrizio Casari
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USA, i Dem salvano lo “speaker”

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Il partito unico che controlla il potere negli Stati Uniti ha salvato mercoledì lo “speaker” della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano Mike Johnson, grazie al consolidarsi di una maggioranza bipartisan schiacciante per respingere una mozione di sfiducia presentata dall’estrema destra del suo partito. A soccorrere...
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