Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Mario Braconi

A costo di scontentare gli “esportatori di democrazia” (quelli di vecchia data e quelli di recente conversione), occorre chiarire che le operazioni militari orchestrate dalla cosiddetta “coalizione dei volenterosi” 2011 hanno poco a che vedere con la protezione dei civili e tutto rappresentano fuorché il contributo delle democrazie occidentali al vento di libertà che da qualche mese sta portando scompiglio nei Paesi Arabi.

Seunas Milne, editorialista del Guardian noto per le sue posizioni di estrema sinistra, spiega perché in un suo vibrante articolo pubblicato il 23 marzo sulle colonne del quotidiano: l’intervento militare degli Alleati in Libia preoccupa ed irrita non solo in quanto esempio di applicazione di un doppio standard morale da parte dei “liberatori”, ma anche perché esso è politicamente devastante, dal momento che tarpa le ali a qualsiasi ipotesi di un sistema di protezione dei diritti umani internazionalmente riconosciuto; un tema ancora aperto e sul quale occorrerebbe invece una seria discussione.

Se davvero gli occidentali fossero così interessati alla protezione dei civili, infatti, non si capisce perché non abbiano fatto sentire la propria voce di fronte agli scempi che si stanno consumando, ad esempio, in Bahrein e in Yemen, dove decine di civili che manifestavano pacificamente contro i regimi autoritari al potere sono stati uccisi o feriti dalle forze speciali locali, addestrate, armate e supportate in ogni modo dai paesi occidentali. Il tutto senza voler considerare il desolante track record delle truppe alleate in materia di danni collaterali (leggi: uccisioni di civili) in Iraq e in Afghanistan e Pakistan.

In sintesi, “gli interventi umanitari à-la-carte, come quello attuale in Libia” - scrive Milne - non sono sicuramente studiati facendo riferimento alla loro fattibilità o alla gravità delle sofferenze o della repressione provocate alla popolazione civile, quanto sulla loro maggiore o minore affidabilità dei regimi.” E’ da rigettare, insomma, l’argomento per cui la “lezione” data a Gheddafi costituirebbe un deterrente per altri tiranni dell’area: lo sanno bene quelli che spadroneggiano in Arabia Saudita, che possono dormire sonni tranquilli almeno fino al giorno in cui i loro regimi cominceranno a vacillare sotto i colpi della rabbia popolare, divenendo pertanto meno utili agli interessi strategici dei paesi occidentali.

Ed in effetti lascia parecchio a desiderare il modo in cui l’interesse degli Alleati ad assicurarsi un posto in prima fila tra i futuri amici della Libia è stato “vestito” per renderlo politicamente più digeribile, complice - forse - anche l’improvvisa fretta a mostrare i muscoli. Inoltre, l’organizzazione strategica delle operazioni è talmente caotica e grottesca che avrebbe potuto ispirare lo Stanley Kubrick del “Dottor Stranamore”. Viviamo in effetti in queste ore l’incredibile paradosso di una missione che prevede il bombardamento di un paese straniero (arabo) senza che sia ben chiaro, né ai cittadini né alle stesse forze alleate in campo, chi sia effettivamente al comando delle operazioni né chi lo assumerà una volta terminati i  raid.

L’aspetto nuovo di questa guerra per le risorse, in effetti, è lo spettacolo desolante dei rappresentanti dei 28 paesi membri della NATO che, in modo non troppo dissimile a una banda di litigiosi monelli impegnati in un gioco da cortile, da tre giorni discutono a Bruxelles su chi dirigerà la missione, senza peraltro venirne a capo. Da un lato gli Stati Uniti, combattuti tra il loro riflesso condizionato a metter bocca ovunque si possano riscontrare anche vaghi interessi nazionali (ovvero in tutto il mondo conosciuto) e l’ansia di passare al più presto il cerino acceso a qualche altro; due guerre non particolarmente brevi e di successo contro due paesi arabi possono bastare, Obama lo sa.

Dall’altro la Francia che, contraria ad un coinvolgimento NATO, vista la scarsa popolarità di quel “brand” nel mondo arabo, per motivi non chiari (interesse specifico, calcolo elettorale?) stupisce il mondo con una sconcertante fuga in avanti verso la guerra; cosa che non ha mancato di infastidire gli americani, comprensibilmente stupiti e irritati per essere arrivati secondi al momento di menare le mani.

In ogni caso, Parigi resta convinta della necessità di condurre all’interno della coalizione dei volenterosi qualche paese arabo, uno qualsiasi, sia pur strategicamente irrilevante, per ovvie finalità di marketing bellico. Per la cronaca, da quel versante fino ad ora si è visto ben poco: i quattro aerei del Qatar, generiche disponibilità dell’Arabia Saudita e qualche promessa di cooperazione logistica da Kuwait e Giordania, giunte peraltro per bocca del premier britannico Cameron. Non si può certo dire che l’operazione abbia scaldato i cuori delle dittature arabe...

Problematica anche la questione della Turchia, desiderosa di ritagliarsi un ruolo nella Libia del post-Gheddafi anche grazie alle sue importanti relazioni commerciali con quel paese: favorevole ad un intervento sotto il cappello NATO, ma solo dopo la fine dei bombardamenti, ovvero dopo che qualcun altro abbia portato a termine il lavoro sporco. Sullo sfondo, ad inasprire ulteriormente i contrasti con la Francia, il veto di quest’ultima all’ingresso di Ankara nella Unione Europea. Secondo l'agenzia Reuters, a valle di una serie di riunioni a tre (Francia, Gran Bretagna, USA), la posizione di Sarkozy sembra si vada ammorbidendo e che un accordo sia prossimo. E intanto nei paesi arabi stabili, dove si riesce ancora a fare business senza grandi difficoltà, gli innocenti continuano a morire.

 

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