Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
> Leggi tutto...

di Michele Paris 

Ci sono voluti dieci giorni prima che Barack Obama spiegasse pubblicamente al suo paese le ragioni dell’intervento militare americano in Libia. In un discorso durato poco meno di mezz’ora e pieno di retorica e menzogne, il Presidente degli Stati Uniti ha giustificato l’ennesima aggressione illegale contro un paese arabo con false motivazioni umanitarie, nascondendo a fatica gli interessi imperialistici di Washington e degli alleati europei impegnati nel conflitto.

Di fronte ad un pubblico di ufficiali, alla National Defense University di Washington Obama ha fatto di tutto per minimizzare l’impegno statunitense in Libia. La stessa volontà di non parlare alla nazione dalla Casa Bianca e di evitare la fascia del prime time televisivo ha rivelato le intenzioni del presidente, ben deciso a spacciare l’aggressione alla Libia come un’operazione limitata e il coinvolgimento delle proprie forze armate come ridotto al minimo indispensabile.

Un appello diretto del presidente agli americani era stato richiesto da più parti nei giorni precedenti. In molti tra i due schieramenti politici avevano criticato la decisione di Obama di autorizzare un’azione militare senza il voto del Congresso, come prevede la Costituzione. Non sussistendo alcun pericolo di attacco immediato contro gli Stati Uniti, infatti, la Casa Bianca non avrebbe l’autorità per dare il via libera a una guerra in maniera unilaterale. Obama da parte sua ha sostenuto di essersi consultato con i leader del Congresso prima di ordinare l’intervento, una mossa a suo dire sufficiente alla luce degli obiettivi limitati della campagna militare in Libia.

In maniera confusa, Obama ha definito l’iniziativa militare contro Gheddafi indispensabile per la difesa degli interessi nazionali del suo paese. Interessi che spingerebbero gli Stati Uniti a fermare una potenziale strage di civili in Libia. “Mi rifiuto di aspettare le immagini di massacri e fosse comuni prima di agire”, ha detto il presidente, tralasciando di spiegare come la sua coscienza non sia stata scossa invece dai massacri avvenuti in queste settimane per mano di regimi autoritari strenuamente appoggiati da Washington, come quelli di Yemen e Bahrain.

Proprio alla vigilia del suo discorso, nel quale Obama ha ricordato nuovamente il presunto ruolo degli USA di guardiani dei valori morali in tutto il pianeta, sui media di mezzo mondo scorrevano inoltre i resoconti dei più recenti massacri di donne e bambini provocati dai bombardamenti delle forze armate americane in Afghanistan.

Pur evitando di pronunciare la parola “guerra” per il caso della Libia, il presidente Obama ha stabilito una sorta di nuova dottrina per giustificare l’uso della forza in ogni angolo del globo. Nel ribadire la volontà di agire militarmente in maniera rapida e unilaterale per “difendere il nostro popolo, la nostra patria, i nostri alleati e i nostri interessi vitali”, Obama ha di fatto fissato un principio di intervento in una qualsiasi situazione che consenta di promuovere gli interessi americani e delle élites economiche e finanziarie che detengono il potere.

Le circostanze che giustificherebbero un’azione militare, a suo parere, spazierebbero dalla minaccia di genocidio fino al mantenimento della pace, dalla difesa della stabilità in una determinata regione alla sicurezza dei traffici commerciali. Una dottrina, per certi versi, che sembra andare addirittura al di là di quella enunciata dall’amministrazione Bush, fondata sulla necessità di combattere la minaccia del terrorismo e la diffusione di armi di distruzione di massa, sia pure inesistenti.

In un passaggio destinato a fare la gioia dei commentatori liberal, Obama ha poi sottolineato come gli USA non debbano agire senza l’appoggio della comunità internazionale nella risoluzione dei conflitti internazionali. Una pretesa di multilateralismo che appare del tutto fuorviante e che cela in realtà una politica imperialista che si appoggia su aggressioni indiscriminate, condotte con o senza la partnership di governi alleati.

Lo stesso trasferimento del comando delle operazioni in Libia alla NATO non cambierà la sostanza del controllo militare, che rimarrà in gran parte nelle mani degli americani. Come hanno scritto i giornali d’oltreoceano contemporaneamente all’intervento di Obama, gli Stati Uniti continuano, infatti, a fornire un contributo maggiore rispetto agli altri paesi coinvolti. Ad esempio, scrive il New York Times, dei quasi 200 missili da crociera Tomahawk che hanno colpito la Libia nei primi dieci giorni del conflitto, appena sette non sono stati lanciati dagli americani. Ugualmente, gli aerei da guerra di Washington hanno condotto finora lo stesso numero d’incursioni di tutti gli altri alleati messi assieme.

Per questo appare quantomeno ipocrita lo sforzo della Casa Bianca di far credere agli americani che in Libia non sia in corso una vera e propria guerra e che le forze americane stiano giocando un ruolo di secondo piano. Per il Washington Post gli USA avrebbero anzi “incrementato notevolmente gli attacchi alle forze di terra libiche” nel fine settimana appena trascorso, lanciando “per la prima volta incursioni con aerei AC-130 e A-10”, entrambi velivoli per l’attacco al suolo che indicano chiaramente come la missione in corso stia andando ben oltre i limiti imposti dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Per il quotidiano statunitense questi velivoli, partiti dalle basi NATO in Italia, vengono frequentemente impiegati in aree urbane con il rischio concreto di pesanti perdite tra i civili.

Sulla sorte di Gheddafi, poi, Obama ha fatto un passo indietro rispetto alle più recenti dichiarazioni. Mentre fino a pochi giorni fa aveva indicato la rimozione del dittatore libico come un possibile obiettivo della missione, al contrario di quanto stabilito dal voto all’ONU, durante il discorso di lunedì sera il presidente ha spiegato che una tale iniziativa sarebbe eccessiva e provocherebbe divisioni all’interno della coalizione. Un cambiamento di regime in Libia, secondo Obama, potrebbe comportare un dispendio di risorse e di vite umane comparabile a quello già visto in Iraq negli ultimi otto anni.

Anche in questo caso, però, l’intensificarsi degli attacchi alle forze fedeli a Gheddafi indica una strategia tesa a incoraggiare precisamente un colpo di stato militare contro il rais, così da giungere a un accordo con il Consiglio Nazionale di Transizione di stanza a Bengasi per formare un governo fantoccio agli ordini delle potenze occidentali. In alcuni ambienti di potere negli USA, in ogni caso, si continua a guardare con apprensione all’apertura di un terzo fronte in un paese arabo e si mette in guardia dalle ripercussioni negative per gli interessi americani in Medio Oriente e dalla reazione dell’opinione pubblica domestica ad una guerra percepita come tutt’altro che indispensabile.

Questi timori contribuiscono anche a spiegare perché il presidente USA abbia sottolineato come l’intervento in Libia, nonostante gli scrupoli umanitari universali, non debba costituire un precedente. Gli Stati Uniti non intendono cioè utilizzare la forza ogni qualvolta vi siano episodi di repressione in Medio Oriente o altrove, bensì si riserveranno sempre di “misurare i nostri interessi con la necessità di agire”.

In altre parole, la difesa dei valori morali e dei principi di giustizia e dignità è vincolata agli interessi americani; nel caso della Libia essi sono legati al controllo delle ingenti risorse energetiche, al contrasto della crescente influenza di Cina e Russia in Africa e all’opportunità di stabilire una presenza nel modo arabo per “controllare” i movimenti rivoluzionari che continuano a diffondersi da un paese all’altro.

Lo slancio retorico di Obama ha raggiunto infine il vertice dell’ipocrisia nel ribadire il presunto sostegno incondizionato alle rivolte in Africa del Nord e in Medio Oriente. “Ritengo che queste forze di cambiamento non possano essere fermate”, ha detto il presidente americano, “e che dobbiamo essere a fianco di quanti credono negli stessi principi fondamentali che ci hanno guidato: l’opposizione alla violenza diretta contro i propri cittadini, il sostegno ai diritti umani universali e a quei governi che rispondono alle aspettative dei loro popoli”.

Una dichiarazione, questa, che falsifica deliberatamente l’atteggiamento americano nei confronti dei movimenti di protesta, così come gli stessi principi che guidano da sempre la politica estera di Washington. Se ciò che sostiene Obama fosse vero, risulterebbe infatti difficile spiegare non solo il supporto fornito ai regimi dittatoriali di Arabia Saudita, Yemen, Bahrain o agli stessi Mubarak e Ben Ali fino a quando la loro permanenza al potere in Egitto e Tunisia era diventata insostenibile, ma anche quasi un decennio di fruttuose collaborazioni con i servizi segreti libici e di lucrosi affari con la famiglia Gheddafi e la sua cerchia di potere.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Cattiverie a domicilio

di Luciano Marchetti

Quando si riduce tutto a questo, le parole sono solo parole, non importa come siano messe insieme. È come vengono interpretate che conta. Ciò che è offensivo per te potrebbe non esserlo per me. Tali sono le macchinazioni in gioco in Cattiverie a domicilio, uno di quei giochini britannici pieni di personaggi stravaganti...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy