Ecuador: la "valanga" referendaria

di Juan J.Paz-y-Miño Cepeda

Il 21 aprile (2024), su iniziativa del governo di Daniel Noboa, presidente dell'Ecuador, si è svolta una consultazione e un referendum su 11 quesiti, tre dei quali riguardavano il ruolo delle forze armate nella lotta contro la delinquenza e la criminalità organizzata, a sostegno della polizia; altri tre sull'estradizione degli ecuadoriani, sull'aumento delle pene e sulla scontata esecuzione di...
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Zamora

di Sara Michelucci

Una commedia sagace che vede Neri Marcorè di nuovo alla regia con Zamora. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si...
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di Mario Braconi 

Tra gli applausi e un grido di giubilo in francese (“lunga vita alla Palestina”) l’autorità Palestinese ha ieri portato a casa il pieno riconoscimento della condizione di stato di fronte all’agenzia delle Nazioni Unite per la cultura: 107 i voti favorevoli, 14 i contrari e 52 le astensioni (tra cui quella della Gran Bretagna e dell'Italia). Un successo importante, che apre il cammino alla discussione della mozione palestinese per l'ingresso nell'Onu, nonostante ilgià annunciato veto Usa al Palazzo di Vetro. Veto sul quale non ci sono dubbi, vista la reazione odierna.

Benché, infatti, l’ambasciatore americano presso l’Unesco abbia ribadito l’impegno degli Stati Uniti per la sopravvivenza dell’agenzia, il successo palestinese rischia di impedirle di continuare a lavorare come oggi." La profonda ed esplicita irritazione americana per l’iniziativa palestinese, infatti, si é trasformata in taglio ai contributi: Washington ha già annunciato il dieci per cento di tagli, pari a 65 milioni di dollari. Attualmente, infatti, gli Stati Uniti -  primi contribuenti all’Unesco - hanno fornito il 22% del suo importante budget di circa 650 milioni di dollari a biennio.

Gli USA hanno così contabilizzato irritazione e contrarietà all’iniziativa, che gli ricorda che il mondo, a volte, ragiona, decide e sceglie indipendentemente dai desideri della Casa Bianca. D’altra parte è la seconda volta nel giro di una settimana che Washington viene sonoramente schiaffeggiata nell’ambito delle Nazioni Unite: prima il voto dell’Assemblea Generale contro il blocco a Cuba, ora la Palestina all’Unesco. L’immediata ritorsione statunitense non ha avuto bisogno di un provvedimento particolare: disposizioni di legge statali, approvate da oltre 15 anni, infatti, prevedono la fine di ogni sostegno a qualsiasi agenzia dell’ONU che accetti la Palestina come Stato. La Clinton da tempo lo ha ribadito per bocca della sua portavoce: “Esistono delle chiare linee di confine nella legge americane; se esse verranno valicate, scatteranno le conseguenze previste”. Tradotto, sin da subito, all’Unesco si dovranno organizzare sin da domani, tagliando programmi e personale per fare i conti con il taglio statunitense dei contributi.

Gli Stati Uniti sostengono che devono essere i negoziati a definire il riconoscimento dello Stato palestinese, ma lo dicono sapendo che è un modo come un altro per rinviare sine die il tutto. E infatti, se i palestinesi non mollano sulla questione del riconoscimento dello stato palestinese all’ONU, i colloqui conoscitivi lanciati dal quartetto come contromossa non sembrano condurre a risultati concreti, come risulta dal contenuto di una recente intervista all’“Inviato Speciale” Tony Blair, il cui dato inequivocabile è l’impotenza a fare alcunché, causata anche dalla profonda divisioni tra i suoi componenti (USA, ONU, UE e Russia).

In queste condizioni di stallo, s’inserisce la furibonda polemica lanciata oggi dal Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman contro Abbas. In una riunione organizzata dal suo partito (Yisrael Beiteinu) per programmare le attività della sessione invernale della Knesset, un fiume di rabbia si è liberato dalla bocca del ministro: “Dobbiamo considerare la possibilità di troncare ogni rapporto con l’Autorità Palestinese”. Lieberman dice di temere che Israele divenga lo “zimbello di tutta l’area”: “E’ giunto il momento di ottenere una contropartita per tutte le diatribe, le campagne e i boicottaggi palestinesi.”

L'ultrareazionario Lieberman ha affermato che la sua non è una polemica personale contro Abbas. Il che è tutto da vedere, vista l’elegante preterizione con cui è riuscito ad appioppare all’avversario palestinese una presunta firma sotto una tesi di laurea negazionista, oltre a comportamenti molto disdicevoli quali il pagamento di contanti ai terroristi e le congratulazioni tributate a chiunque abbia ammazzato degli ebrei. Salvo poi ammorbidire lievemente il suo attacco con una furba precisazione, che lo mette al sicuro dalla mancanza di eclatanti prove a sostegno della sua tesi: “Forse ora [Abbas] ha fatto in modo di nascondere [la tesi] o magari ha cambiato idea [sull’Olocausto].

Lieberman ne ha per tutti: se da un lato l’Autorità palestinese non sarebbe un interlocutore affidabile a causa dalla una leadership più interessata alla sua sopravvivenza politica che agli interessi del suo popolo, il regime di Hamas deve semplicemente “essere rovesciato”. Secondo quanto risulta a Haaretz, il Ministro degli Esteri avrebbe presentato un accordo di coalizione nel quale il governo israeliano avrebbe preso l’impegno di rimuovere Hamas dalla Striscia di Gaza. Un documento che fa rabbrividire: la speranza è che non sia il prologo ad un’altro disastro sul tipo dell’operazione “Piombo fuso”.

Quanto ai tentativi del Quartetto di far nuovamente decollare dei colloqui di pace dopo oltre un anno di congelamento, Lieberman ha dichiarato: “Non è stato facile per noi accettare le conclusioni del Quartetto, ma l’abbiamo fatto per garantire un punto di partenze alle negoziazioni. Ma i palestinesi stanno eludendo il processo, giorno dopo giorno. Quando il Comitato distrettuale ha annunciato lo stabilimento di un “quartiere” israeliano a Gilo (vicino a Gerusalemme Est), i Palestinesi ci sono avventati sopra come su un trofeo”.

Per completezza, sarebbe bene precisare che quello che Lieberman chiama “quartiere”, è un blocco di unità abitative per oltre mille persone, collocato oltre la Linea Verde del 1967. E che la decisione di andare avanti con le costruzioni, a fine settembre, ha suscitato reazioni di vivace contrarietà non solo da parte dei palestinesi, ma anche delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti. Senza contare il fatto, non proprio indifferente, che i precedenti negoziati si sono arenati proprio a causa del rifiuto opposto dagli israeliani alla richiesta palestinese di prorogare una moratoria sugli insediamenti israeliani.

Mentre l’atteggiamento bellicoso del Ministro degli Esteri israeliano nei confronti della leadership di South Bank costituisce una pesante ipoteca sull’esito dell’abbozzo di processo di pace del Quartetto, i palestinesi conseguono un mezzo successo politico all’assise dell’Unesco, dove il futuro stato palestinese riceve per la prima volta un pieno riconoscimento. Si tratta di una mossa per mantenere focalizzata l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema, mentre le trattative per il riconoscimento davanti al Consiglio di sicurezza vanno per le lunghe, e il quartetto sta, più o meno, a guardare.

 

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