Georgia, sfida alle “interferenze”

di Mario Lombardo

La vicenda della legge sulle “interferenze straniere” appena approvata in via definitiva dal parlamento della Georgia è un esempio perfetto della doppiezza e della monumentale ipocrisia che caratterizza la politica estera di Europa e Stati Uniti. Il provvedimento è oggetto di feroci critiche e condanne, nonché di una campagna di disinformazione che punta a descrivere come ultra-repressiva...
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Il nostro debito verso i russi

di Fabio Marcelli

Enorme è il debito di riconoscenza che abbiamo nei confronti del popolo russo, che lasciò decine di milioni di vittime nella lotta vincente al nazifascismo e senza questo enorme sacrificio di sangue probabilmente oggi staremmo tutte e tutti sotto il tallone di ferro del nazismo hitleriano. Per questo è stato importante ricordare e celebrare il 9 maggio, giorno della vittoria, come ha fatto in modo esemplare Moni Ovadia, portando il suo contributo artistico all’ambasciata russa nell’anniversario di quel giorno fatidico. Oggi il modo migliore che abbiamo di ricordare i caduti sovietici è insistere per un’immediata soluzione pacifica del conflitto ucraino, che sappia tener conto degli interessi di sicurezza della Russia e delle...
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di Michele Paris

Come ampiamente previsto da mesi, le elezioni politiche di domenica in Spagna hanno inflitto una pesantissima lezione al Partito Socialista (PSOE) del primo ministro uscente José Luis Rodríguez Zapatero. Dopo quasi otto anni alla guida del paese, i socialisti sono crollati sotto il peso della crisi economica e di una serie di misure di austerity profondamente impopolari, adottate negli ultimi mesi in risposta alle richieste dei mercati. Ad approfittare dell’annunciato tracollo socialista è stato il Partito Popolare post-franchista (PP) di Mariano Rajoy che ha così conquistato la più importante affermazione elettorale della propria storia.

A conteggi ultimati, il Partido Popular ha ottenuto il 44,6 per cento dei consensi contro il 28,7 per cento del PSOE. Per i popolari questo dato si traduce in 186 seggi alla Camera dei Deputati su 350 complessivi, vale a dire la maggioranza assoluta. I socialisti, i quali hanno incassato la più grave sconfitta dal ritorno della Spagna alla democrazia, sono invece scesi da 169 a 110 seggi, con una perdita di 4,4 milioni di suffragi. L’affluenza è stata di poco inferiore al 72 per cento, leggermente in calo rispetto alla precedente tornata elettorale del 2008.

Quello di Zapatero è il quinto governo europeo a cadere a causa della crisi del debito dall’inizio dell’anno, dopo quelli di Irlanda a febbraio, Portogallo a giugno, Grecia e Italia nelle ultime settimane. La scadenza naturale della legislatura in corso era prevista non prima di marzo, ma il premier socialista aveva annunciato elezioni anticipate lo scorso mese di agosto in seguito al crollo dei consensi per il suo partito e alle pressioni dei mercati. Già a maggio, il Partito Socialista aveva patito una clamorosa sconfitta nel voto amministrativo che aveva causato la perdita anche di alcune roccaforti storiche, proprio mentre esplodeva nel paese la protesta degli indignados.

Come in altri paesi bersaglio della speculazione finanziaria in questi mesi, anche in Spagna l’evoluzione del quadro politico è stata dettata pressoché esclusivamente dai mercati. Nelle ultime settimane, in particolare, il clima per il governo spagnolo si era fatto progressivamente più cupo e gli interessi sui titoli di stato di Madrid erano schizzati verso l’alto, avvicinando pochi giorni fa la soglia fatidica del 7 per cento, limite che fece scattare l’intervento di “salvataggio” del FMI e dell’UE per Irlanda e Portogallo.

Allo stesso modo, come per questi ultimi due paesi, l’appuntamento con le urne per gli elettori spagnoli si è risolto in una pura formalità, dal momento che tutti gli schieramenti erano più o meno esplicitamente concordi sulla necessità di implementare nuove devastanti misure di austerity per riequilibrare il bilancio dello stato. Chiunque avesse vinto il voto in Spagna, e in qualsiasi misura, il programma di governo era infatti già ben delineato e accettato da tutte le forze politiche. Nel concreto, come chiedono l’Europa e i mercati, ciò che attende gli spagnoli nei prossimi mesi sono nuovi tagli alla spesa (in particolare nei settori di educazione e sanità), privatizzazioni e ulteriori liberalizzazioni nel mercato del lavoro.

A guidare il nuovo governo sarà il 56enne Mariano Rajoy, già membro del governo di centro-destra di Aznar tra il 2001 e il 2004 e già sconfitto da Zapatero nelle elezioni del 2004 e del 2008. Il suo partito non ha avuto nemmeno bisogno di presentare un programma di governo dettagliato, poiché è stato sufficiente fare affidamento sulla rabbia degli elettori nei confronti dei socialisti. Significativamente, la campagna elettorale si è svolta in tono minore, con i vari partiti che hanno addirittura rinunciato ad inondare le città spagnole con i consueti manifesti e volantini elettorali.

Durante i festeggiamenti seguiti all’annuncio dei risultati, Rajoy ha fatto un appello all’unità del paese per mettere in atto uno sforzo comune di fronte alla “più difficile situazione economica che la Spagna deve affrontare da 30 anni a questa parte”. Il premier in pectore ha poi sottolineato che la Spagna tornerà ad essere rispettata a Bruxelles, confermando però la totale disponibilità ad applicare le ricette dell’UE, dal momento che Madrid non rappresenterà più un problema, bensì “parte della soluzione”.

L’emorragia di consensi per il PSOE ha prodotto un discreto risultato per i partiti minori e per quelli su base regionale. I nazionalisti catalani (Convergència i Unió, CiU), ad esempio, hanno conquistato 16 seggi, sei in più rispetto al 2008, mentre il partito nazionalista basco Amaiur, fondato a settembre, ne ha ottenuti 7. La Sinistra Unita (Izquierda Unida, IU) è ugualmente passata da 2 a 11 seggi nella camera bassa. In generale, i partiti minori hanno raddoppiato la loro rappresentanza, da 26 a 54 seggi complessivi.

Il trionfo del PP, in ogni caso, indica una chiarissima disaffezione nei confronti del PSOE da parte di giovani, lavoratori, disoccupati e classe media e, soprattutto, come anche in Spagna sia del tutto assente un qualsiasi programma politico alternativo a quello stabilito dall’Europa e dai mercati finanziari per uscire dalla crisi in atto.

Sotto la guida di Zapatero, l’economia spagnola è passata da un periodo di crescita sostenuta al collasso dopo la crisi globale esplosa nel 2008. Dal momento che la Spagna aveva beneficiato del boom immobiliare degli ultimi anni, il crollo di questo settore ha avuto effetti particolarmente rovinosi per la maggior parte della popolazione, tanto che il tasso di disoccupazione continua ad essere di gran lunga il più alto di tutta l’Unione Europea (21 per cento; oltre il 40 per cento per i giovani con meno di 25 anni).

Il salvataggio delle banche coinvolte nella crisi con un massiccio intervento statale, qui come altrove, ha poi contribuito al dissesto delle casse pubbliche. Il rimedio, diligentemente adottato dal governo socialista, è stato allora quello di intervenire con tagli alla spesa sociale e licenziamenti di dipendenti pubblici, come richiesto dai mercati. Misure draconiane che hanno inevitabilmente fatto crollare il livello di popolarità del premier Zapatero. Quest’ultimo, ormai profondamente screditato, aveva perciò annunciato il ritiro dalla scena politica, passando il testimone al suo ex ministro degli Interni, il 60enne Alfredo Pérez Rubalcaba.

Anche se l’attenzione del governo sarà monopolizzata dall’economia, con il Partito Polare di nuovo al potere, parte della legislazione sociale di impronta progressista implementata dal PSOE in questi anni potrebbe essere a rischio. La liberalizzazione dell’aborto o la legalizzazione dei matrimoni gay erano state infatti duramente criticate dal PP e dai vertici della Chiesa Cattolica che, com’è probabile, spingerà ora per rimettere indietro le lancette dell’orologio.

È sul fronte della politica economica, tuttavia, che nei prossimi mesi arriveranno i provvedimenti più pesanti. Già nella giornata di lunedì, gli ambienti finanziari internazionali hanno chiesto a Rajoy di presentare al più presto il proprio programma di austerity. L’obiettivo dichiarato è quello di portare il rapporto deficit/PIL al 4,4 per cento entro la fine del 2012 tagliando la spesa pubblica di qualcosa come 30 miliardi di euro, sprofondando il paese in una nuova recessione. Una prospettiva questa che renderà particolarmente breve la luna di miele degli elettori con l’esecutivo a guida PP, il quale si troverà inoltre a far digerire misure impopolari senza la collaborazione dei sindacati, allineati con il Partito Socialista.

Viste le complesse procedure costituzionali, il nuovo premier spagnolo non sarà insediato prima della metà di dicembre. In queste settimane, c’è da scommetterci, le pressioni dei mercati sulla Spagna aumenteranno in maniera esponenziale, così da creare ancora una volta un clima di inevitabilità per i tagli che si abbatteranno inesorabilmente sugli strati più disagiati che già stanno pagando il prezzo di una crisi per la quale non hanno alcuna responsabilità.

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