Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
> Leggi tutto...

di Michele Paris

Una serie di rivelazioni e iniziative diplomatiche messe in atto negli ultimi giorni sta segnalando una chiara accelerazione dei piani occidentali e dei governi sunniti del Medio Oriente per dare la spallata finale al regime siriano di Bashar al-Assad. Parallelamente, negli Stati Uniti, in Europa e in Israele appare sempre più evidente la preoccupazione per una situazione che potrebbe facilmente sfuggire di mano nella Siria del dopo Assad, dove a prevalere potrebbero essere i gruppi integralisti che stanno svolgendo un ruolo di primo piano nel conflitto in corso.

Al nervosismo diffuso a Washington per una situazione esplosiva che, d’altra parte, lo stesso governo americano ha contribuito in maniera decisiva a creare, ha dato voce qualche giorno fa il presidente Obama nell’ultima tappa della sua trasferta mediorientale. In una conferenza stampa a fianco del sovrano di Giordania, Abdullah II, l’inquilino della Casa Bianca si è detto “molto preoccupato per il fatto che la Siria possa diventare un rifugio per l’estremismo, poiché gli estremisti prosperano nel caos”.

Questi ultimi, ha aggiunto Obama, “non hanno molto da offrire quando si tratta di costruire qualcosa ma sono estremamente abili a riempire il vuoto” quando l’autorità di un governo viene meno. Per questo, il presidente democratico ha annunciato l’inizio di un processo per la formazione di un’opposizione coesa, così da modellare l’esito della crisi secondo gli obiettivi statunitensi.

Il conseguente rafforzamento degli elementi secolari e “democratici” all’interno dell’opposizione siriana non si traduce però, nella strategia americana, in un sforzo per spingere i “ribelli” filo-occidentali a trattare una soluzione pacifica del conflitto con gli esponenti del regime di Damasco. Bensì, l’amministrazione Obama e i suoi alleati in Medio Oriente si stanno adoperando esattamente per l’esito contrario, emarginando le fazioni più disponibili al dialogo e raddoppiando l’impegno in operazioni clandestine per garantire un numero sempre maggiore di armi ai guerriglieri sul campo in Siria.

In questo scenario, nel fine settimana appena trascorso le dimissioni del presidente della cosiddetta Coalizione Nazionale siriana, Moaz al-Khatib, rappresentano probabilmente un colpo mortale alle già esili speranze di poter aprire un confronto tra le due parti in causa. Khatib aveva infatti mostrato la propria disponibilità a parlare con i rappresentati del regime di Assad, ma la sua presa di posizione era stata da subito criticata da molti all’interno dell’organizzazione di cui era a capo. Il suo addio, così, è giunto pochi giorni dopo l’elezione a primo ministro del governo di transizione in esilio di Ghassan Hitto, cittadino naturalizzato americano ben visto dalla monarchia del Qatar e dai Fratelli Musulmani, nonché fermo oppositore di qualsiasi ipotesi di dialogo con Damasco.

Khatib, inoltre, ha sempre difeso strenuamente i gruppi fondamentalisti legati ad Al-Qaeda operanti in Siria, come il Fronte al-Nusra, incluso nella lista delle organizzazioni terroriste dal Dipartimento di Stato. Il suo passo indietro, dunque, potrebbe essere scaturito dalla decisione degli Stati Uniti di promuovere personaggi all’interno dell’opposizione con un’inclinazione secolare, anche se le azioni degli estremisti islamici sunniti sono ampiamente tollerate perché considerate determinanti nella lotta per rovesciare il regime.

Formazioni come il Fronte al-Nusra continuano a mettere in atto sanguinosi attentati in Siria, come quello di giovedì scorso contro una moschea nella capitale che ha ucciso 49 persone, tra cui il noto predicatore sunnita sostenitore di Assad, Mohammad Said Ramadan al-Buti.

In ogni caso, la necessità di rafforzare l’opposizione secolare e disponibile ad entrare a far parte di un futuro governo-fantoccio dell’Occidente e degli altri sponsor arabi è la giustificazione ufficiale per la creazione di operazioni clandestine che gli Stati Uniti conducono da qualche tempo e che sono state descritte nel fine settimana da due articoli apparsi sul giornali americani.

Il primo, pubblicato dal New York Times, ha confermato come la CIA negli ultimi mesi stia coordinando un intensificarsi di trasferimenti di armi all’opposizione in Siria. Secondo il quotidiano newyorchese, la principale agenzia di intelligence d’oltreoceano continua a favorire l’acquisto e il trasporto aereo di equipaggiamenti militari destinati ai ribelli da parte di paesi come Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Giordania. Il quadro che ne esce è quello di un traffico sostenuto di aeromobili militari diretti all’aeroporto Esenboga di Ankara e ad altri aeroporti turchi e giordani, da dove le armi vengono poi inviate in Siria sotto la supervisione della CIA.

A quella che un anonimo funzionario del governo USA ha descritto come una “cascata di armi” è stato dato il via libera da parte di Washington ufficialmente per il timore che le formazioni secolari vengano sopraffatte dalle fazioni estremiste ribelli, tra le quali molte sono finanziate ed armate dal Qatar. Quest’ultimo paese è però tra i principali protagonisti del programma di fornitura di armi all’opposizione con il beneplacito americano e, oltretutto, le testimonianze raccolte dal New York Times tra i beneficiari delle armi provenienti dall’estero non lasciano dubbi sulla prevalenza di guerriglieri appartenenti a brigate islamiste.

Inoltre, l’amministrazione Obama sostiene che, pur essendo contraria al trasferimento diretto di armi ai ribelli, le forniture da parte dei suoi alleati in Medio Oriente avrebbero luogo ugualmente con o senza il proprio consenso. Ciò è però smentito ancora una volta dalle interviste ad alcuni leader ribelli, i quali sostengono chiaramente come l’invio di armi e la loro natura (“letali o non letali”) dipenda interamente da quanto viene deciso a Washington.

A sottolineare la consueta doppiezza del governo americano, il quale a livello ufficiale si oppone alla fornitura di armi ai ribelli pur facilitandola attivamente, è stato poi l’invito fatto domenica scorsa dal segretario di Stato, John Kerry, al primo ministro iracheno, Nuri Kamal al-Maliki, di prendere provvedimenti per impedire il transito nello spazio aereo del suo paese di aerei iraniani che trasporterebbero anch’essi armi ma destinate al regime alleato di Assad. Nel corso di un visita a Baghdad, Kerry ha avuto un colloquio da lui stesso definito “animato” con il primo ministro iracheno, al quale ha chiesto ancora una volta di fermare e ispezionare i cargo provenienti da Teheran.

L’invito fatto a Maliki rientra nel tentativo diplomatico di isolare Damasco, come dimostra la promessa di Kerry di assegnare un qualche ruolo all’Iraq nelle manovre sul futuro della Siria dopo la rimozione di Assad, ma solo nel caso in cui Baghdad prenda provvedimenti per porre fine ai voli iraniani. Il governo di Maliki a maggioranza sciita, tuttavia, oltre a mantenere stretti legami con la Repubblica Islamica, vede con preoccupazione l’instaurazione a Damasco di un governo sunnita che potrebbe alimentare le inquietudini di questa minoranza in Iraq e trasformarsi in una seria minaccia per il suo stesso governo.

L’altra iniziativa della CIA per sostenere l’opposizione secolare è stata invece riportata sabato dal Wall Street Journal e consiste nell’offrire a gruppi ribelli selezionati preziose informazioni relative alle forze del regime, così da facilitare le operazioni sul campo. Questo ulteriore passo avanti della collaborazione tra l’intelligence USA e i ribelli si aggiunge ai programmi di addestramento dei guerriglieri siriani in corso da tempo in territorio turco e giordano.

Nel quadro dell’offensiva diplomatica americana in vista della stretta finale attorno ad Assad rientra anche la recente pacificazione tra Israele e Turchia, mediata settimana scorsa proprio da Obama poco prima della partenza da Tel Aviv in direzione Amman. Le scuse di Netanyahu a Erdogan per la strage compiuta dalle forze di sicurezza israeliane tra l’equipaggio della nave turca Mavi Marmara nel maggio del 2010 mentre cercava di portare un carico di aiuti umanitari a Gaza, infatti, vanno viste precisamente nell’ottica dello sforzo nel serrare i ranghi tra gli alleati americani, così da poter preparare un’eventuale offensiva coordinata ai confini settentrionale e meridionale della Siria.

Tutte queste manovre degli Stati Uniti e dei loro alleati per sostituire il regime di Assad con un governo meglio disposto verso i loro interessi rischiano però di gettare ancora più nel caos l’intera regione mediorientale.

Un ulteriore segnale allarmante del deteriorarsi della situazione a causa del conflitto siriano è giunto venerdì scorso con la crisi del governo filo-siriano del Libano in seguito alle dimissioni del primo ministro Najib Mikati. Il premier sunnita vicino a Damasco ha fatto riferimento proprio agli effetti destabilizzanti sul Libano del conflitto in Siria, lanciando un appello ad un governo di unità nazionale per evitare lo scivolamento nel baratro di un paese che ha già vissuto una lunga e sanguinosa guerra civile tra il 1975 e il 1990.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy