Australia: i criminali sbagliati

di Michele Paris

La giustizia australiana ha emesso martedì per la prima volta in assoluto un verdetto di condanna in un caso di crimini di guerra collegato ai due decenni di occupazione militare dell’Afghanistan. A ricevere la condanna non è stato però nessuno dei militari che ha commesso materialmente oppure facilitato o insabbiato questi crimini, nonostante le prove per farlo siano da tempo anche di...
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Dalla Nakba al Palazzo di Vetro

di Fabrizio Casari

La Palestina è qualificata a diventare uno stato membro delle Nazioni Unite. A dirlo sono 143 paesi ai quali si oppongono in 9. A girare la testa altrove sono invece 25, che dietro un’apparente equidistanza, esibiscono la loro totale inadeguatezza alla gestione della governance internazionale. Per certi aspetti, la coscienza civile e la civiltà giuridica sono offese più dai 25 astenuti che dai nove contrari. Perché se tra i contrari vi sono Paesi che sarebbe più onesto definire appezzamenti di terra coloniali degli USA (Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina e Repubblica Ceca), nelle astensioni (Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Svezia, Austria, Canada, Svizzera, Finlandia, Ucraina, Albania,...
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di Rosa Ana De Santis

La pratica di beatificazione di Monsignor Oscar Romero, il martire di El Salvador che aveva denunciato gli orrori della dittatura militare e aveva difeso strenuamente il popolo oppresso, era ferma dal 1997. Papa Francesco, finalmente e per primo, riapre la causa e ne invoca subito la beatificazione.

Prima di essere brutalmente assassinato dagli squadroni della morte di Roberto D’Abuisson, Monsignor Romero, aveva cercato aiuto dal Vaticano. Pur bussando alla porta di Giovanni Paolo per avere sostegno nella denuncia della barbarie che avveniva in Salvador e in tanto Sudamerica, rimase però inascoltato e ai margini della Chiesa di Roma per lungo tempo. La sua fede nella giustizia risultava troppo infarcita di “politica” ed era poco “in linea” con la mission politica del papato di Woytila, impegnato fino in fondo nella mistica anti-comunista e filo americana e molto poco sensibile all’imperialismo del Sud del Mondo.

Eppure Romero, è bene ricordarlo, era un sacerdote conservatore vicino all’Opus Dei, non era mai entrato nelle file dei sacerdoti armati della teologia della liberazione così diffusa nel continente latinoamericano. Della Teologia della Liberazione, anzi, ne era tenace oppositore,  ed era rimasto sempre a fare il prete e ad onorare con coerenza i valori cristiani. Ma la realtà del dominio genocida dei militari salvadoregni aveva avuto il sopravvento sulle questioni teologiche e quanto vide lo obbligò moralmente a denunciare le violazioni dei diritti della sua gente, le diseguaglianze sociali, la barbarie della dittatura e le complicità omertose internazionali.

Furono denunce gridate dal pulpito della sua chiesa come attraverso i canali stabiliti dal Vaticano, ma furono soprattutto le sue prediche nella sua chiesa gremita di fedeli che lo resero intollerabile al governo del democristiano Napoleon Duarte e dei suoi complici paramilitari, tutti agli ordini degli Stati Uniti.Romero da quel pulpito denunciava e su quel pulpito venne assassinato il 24 marzo del 1980, con un ostia in mano e sull’altare, mentre pronunciava le sue ultime parole: “In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: cessi la repressione”. Il proiettile dei sicari arrivò a chiusura della frase mentre i fedeli attoniti correvano a soccorrerlo. Fu tutto inutile. Per paradosso della storia, o per ipocrisia congenita, Duarte divenne Segretario dell'Internazionale della Democrazia Cristiana.

L’annuncio dello sblocco voluto da Bergoglio arriva a Bari per bocca del postulatore, arcivescovo Vincenzo Paglia, nel momento in cui vengono celebrati i venti anni della morta di don Tonino Bello, un altro prossimo beato. Il segno del rinnovamento che ha accompagnato la nomina di Papa Francesco non è solo questione di stile, di linguaggio e di comportamenti più sobri e meno cerimoniosi. Avviene, evidentemente, con delle scelte concrete e coraggiose che segnano profonda discontinuità rispetto al passato, sia con il papato di Joseph Ratzinger che con il ventennio di Wojtyla che lo ha preceduto e che ha caratterizzato una fase marcatamente politica e temporale della storia della Chiesa.

Papa Bergoglio pone le basi non soltanto di una Chiesa più umile e vicina all’autenticità del messaggio cristiano, ma di una vera famiglia spirituale dove i martiri come Romero sono santi subito, anche quando sono scomodi negli equilibri dei poteri politici o forse soprattutto in questo caso.

L’annuncio della beatificazione di Oscar Arnulfo Romero arriva come un risarcimento spirituale per il popolo del Salvador e di tutta l’America Latina che dall’anno della sua morte celebra già nelle chiese Monsignor Romero come icona di giustizia e come martire contemporaneo. Ma la beatificazione di Romero è una benedizione più per la Chiesa e la Curia romana che ha incensato santi d’ogni sorta, guaritori e vergini, stigmate, figure controverse come Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus dei canonizzato da Wojtyla in velocità, lasciando fuori la porta chi ha dato la sua vita per gli ultimi, chi ha denunciato i farisei, chi ha combattuto contro Erode fino a morire in croce con l’ultima omelia per la giustizia e il coraggio sulle labbra. Una di quelle denunce che in Argentina il gesuita Bergoglio avrà ascoltato mille e una volta. Papa Francesco ha deciso di riparare alle sordità del passato e ad aprire la porta a un santo degli ultimi e con lui, come in molti sperano, agli ultimi.

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