Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Carlo Musilli

La Bulgaria chiude i rubinetti al "flusso meridionale". Il premier Plamen Oresharski ha annunciato ieri lo stop alla costruzione di South Stream, il gasdotto che in futuro dovrebbe portare il metano russo in Europa senza passare per l'Ucraina. "Ho ordinato di fermare i lavori - ha detto il primo ministro -. Decideremo gli sviluppi della situazione dopo le consultazioni con l'Unione europea".

La decisione di Sofia - presa verosimilmente con l'appoggio di Mosca - arriva in risposta a un gesto di ostilità da parte di Bruxelles. Martedì scorso Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, aveva annunciato l'apertura di una procedura d'infrazione contro la Bulgaria per irregolarità negli appalti legati a South Stream. "Le regole di cui Bruxelles pretende il rispetto riguardano il fatto che in Bulgaria tutti i lavori per il gasdotto sono stati affidati a imprese bulgare o russe - spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia - e questo in Bulgaria, che è parte dell’Unone europea, non si può fare: le gare devono essere aperte a tutte le aziende europee su una base di parità. Ma il problema specifico degli appalti s'inserisce anche in un contenzioso più vasto e di più lunga data sull’uso futuro del South Stream".

Ed è proprio qui che entrano in gioco gli interessi di Mosca. Alla luce delle regole comunitarie, l'Ue vorrebbe che l'utilizzo del gasdotto fosse aperto a tutti, mentre il colosso russo del metano, Gazprom, pretende di avere l'esclusiva, e su questo punto gode del sostegno bulgaro.

La quota di maggioranza nel progetto è proprio di Gazprom (al 50%), ma sono della partita anche l’italiana Eni (20%), la francese Edf (15%) e la tedesca Wintershall del gruppo Basf (15%). Attraverso il Mar Nero, South Stream deve collegare la Russia alla Bulgaria, per poi proseguire verso Grecia, Italia, Serbia, Ungheria, Slovenia e Austria. Stando al programma, i lavori per la realizzazione dovrebbero essere conclusi entro la fine del 2015 e le consegne di gas dovrebbero iniziare immediatamente dopo.

Pur escludendo dal proprio percorso ogni altro Paese extracomunitario, South Stream di fatto conferma la dipendenza energetica dell'Europa dalla Russia. Per questa ragione molti nell'Unione non vedono di buon occhio la nuova infrastruttura, preferendogli il progetto per il gasdotto Nabucco, che dovrebbe collegare la Turchia all'Austria, portando in Europa il gas (non russo) dalla zona del Caucaso, del Mar Caspio e, potenzialmente, del Medio Oriente.

Dal giugno 2013, tuttavia, l'idea del Nabucco risulta accantonata in favore del Tap (Trans Adriatic Pipeline), progetto concorrente che - prelevando il metano nelle medesime zone - punta a connettere l'Italia e la Grecia attraverso l'Albania. L'iter è però ancora lungo: "Siamo pronti iniziare i lavori di costruzione del gasdotto trans-adriatico nei primi mesi del 2016", ha detto a inizio giugno Kjetil Tungland, managing director della società Tap.

Intanto, la Russia inizia a guardare verso est. Il mese scorso Gazprom ha raggiunto un accordo con la Cina per la fornitura di 38 miliardi di metri cubi di gas per trent'anni a partire dal 2018 (il controvalore dell'operazione è di 456 miliardi di dollari). Questo non significa che il gigante russo potrà mai fare a meno dei clienti al di qua degli Urali, considerando che il mercato europeo del gas è il secondo a livello mondiale e il primo per Gazprom. A Mosca però si sono accorti che lo scenario energetico mondiale sta cambiando: secondo le stime dell’Asian Development Bank, nel 2035 il consumo di energia dei Paesi asiatici sarà aumentato del 51%.

L'intesa con Pechino segnala quindi che i russi hanno compreso un principio fondamentale del business, la diversificazione. Una lezione che invece l'Europa tarda ad apprendere. L'errore più grave che i responsabili della strategia energetica Ue abbiano mai compiuto è la mancata interconnessione: oggi i flussi di gas viaggiano soltanto da est a ovest, mentre nessuno è in grado di pompare gas da ovest a est. Per questa ragione alcuni Paesi (non l'Italia) dipendono all’80 se non al 100% dalle forniture russe.

La musica non cambierà con South Stream, che però rappresenta comunque un'infrastruttura decisiva, se non altro perché consentirà all'Europa di svincolare la propria sopravvivenza energetica dalla guerra che si sta combattendo in Ucraina. Proprio per cercare di trovare un accordo al contenzioso sulle forniture di gas tra Kiev e Mosca, oggi a Bruxelles s'incontrano i rappresentanti di Ue, Russia e Ucraina. C'è da scommettere che si parlerà anche di Bulgaria.

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