Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Michele Paris

Nonostante le proteste degli abitanti della cittadina di Ferguson, nel Missouri, siano sensibilmente diminuite negli ultimi giorni, la repressione delle forze di polizia contro i manifestanti pacifici in seguito alla morte del 18enne di colore Michael Brown continua a suscitare un forte senso di repulsione in tutti gli Stati Uniti.

L’avanzato processo di militarizzazione della polizia americana, in particolare, è risultato evidente, spingendo il governo di Washington a moltiplicare i propri sforzi per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica sia dai metodi sempre più autoritari a cui ricorrono le forze dell’ordine sia dalle esplosive questioni sociali che hanno determinato la clamorosa esplosione di rabbia nel cuore del paese.

L’inquietante spettacolo offerto dalla polizia dopo l’esecuzione di Brown il 9 agosto scorso da parte dell’agente Darren Wilson, ha presentato agli americani una realtà con la quale dovranno fare i conti in maniera sempre più frequente nel prossimo futuro e decisamente più consona ad uno stato di polizia che ad un’autentica democrazia.

Le proteste contro l’ennesimo assassinio di cittadini disarmati da parte della polizia sono state cioè accolte dalle autorità con il ricorso a mezzi militari, ad agenti in tenuta da combattimento, a gas lacrimogeni, a proiettili di gomma e ad aperte minacce con fucili puntati contro manifestanti e giornalisti. Il governatore democratico del Missouri, Jay Nixon, aveva inoltre dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco per svariati giorni.

Questa manifestazione di forza è stata la diretta conseguenza di una serie di programmi promossi dal governo federale con l’apposito scopo di militarizzare le forze di polizia. Attraverso di essi, i dipartimenti di polizia degli Stati Uniti ricevono da anni armamenti ed equipaggiamenti militari direttamente dal Pentagono, spesso grazie a finanziamenti a fondo perduto.

Uno di questi programmi è denominato “1033” ed è gestito appunto dal Dipartimento della Difesa. Grazie ad esso, le forze di polizia locali americane hanno già ottenuto materiale bellico per oltre 4 miliardi di dollari. Uniformi da combattimento, strumenti per la visione notturna, armi da guerra, elicotteri militari, veicoli blindati e altro ancora sono i mezzi utilizzati solitamente dai soldati americani per reprimere ogni resistenza contro l’imperialismo USA in paesi come Iraq e Afghanistan, ma sempre più frequentemente gli stessi mezzi e metodi vengono impiegati sul suolo domestico per spegnere qualsiasi focolaio di protesta contro una classe dirigente screditata e in una situazione di grave crisi sociale.

Sui programmi di fornitura di armi alle forze di polizia si è così aperto un certo dibattito pubblico negli Stati Uniti, tanto che lo stesso presidente Obama si è visto costretto ad annunciare una “revisione” dei criteri con cui il governo opera in questo ambito.

Secondo i principali media, la Casa Bianca potrebbe addirittura prendere in considerazione lo stop ai trasferimenti di equipaggiamenti militari ma, più probabilmente, ci si limiterà tutt’al più a verificare se “alle forze di polizia statali e locali viene fornito adeguato addestramento e se il governo federale controlla a sufficienza il corretto uso del materiale” ottenuto da queste ultime.

Voci autorevoli all’interno dell’establishment politico di Washington hanno d’altra parte già fatto capire che non ci sarà alcuna marcia indietro in merito ad un programma di militarizzazione che è stato intensificato dopo l’11 settembre del 2001, ufficialmente per meglio combattere la minaccia terroristica.

La senatrice democratica del Missouri, Claire McCaskill, nel fine settimana ha ad esempio sottolineato l’efficacia degli equipaggiamenti militari a disposizione delle forze di polizia locali. La “revisione” voluta da Obama si concretizzerà, tra l’altro, in alcune audizioni di fronte a commissioni del Congresso, tra cui quella del Senato per la Sicurezza Nazionale di cui la stessa McCaskill fa parte.

Il modo di procedere della classe dirigente americana in presenza di eventi che rivelano gravissime violazioni dei diritti democratici negli Stati Uniti appare ormai consolidato, così come evidenti risultano gli obiettivi.

L’esempio più macroscopico era stata la risposta alle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di intercettazione illegali dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA). In questo caso, l’amministrazione Obama aveva dato l’impressione di prestare attenzione al malcontento provocato nel paese dalle colossali violazioni della privacy, appoggiando l’operato di una speciale commissione con l’incarico di proporre idee di “riforma” della NSA e una legislazione volta ufficialmente a “limitare” il monitoraggio di massa dei cittadini.

In realtà, nonostante alcune limitazioni del tutto trascurabili, queste iniziative hanno portato all’istituzionalizzazione dei programmi di intercettazione e la stessa cosa punta a fare ora la Casa Bianca attorno alla questione della militarizzazione delle forze di polizia.

Il punto di partenza della “revisione” annunciata da Obama è infatti l’indiscussa legittimità - in realtà tutt’altro che certa - dei programmi federali che prevedono il trasferimento di equipaggiamenti militari alla polizia. Dal momento che essi vengono considerati legittimi, ciò che resta da fare non sarebbe altro che garantire la massima professionalità degli agenti che ne fanno uso e limitare il ricorso ad essi soltanto in caso di reale necessità.

Con un’iniziativa che dovrebbe portare alla correzione degli eccessi visti a Ferguson, dunque, ogni possibile discussione sul processo di trasformazione della polizia americana in una forza militare o para-militare viene neutralizzata sul nascere.

Prima ancora dello sforzo appena descritto, la classe dirigente americana aveva poi cercato di soffocare le proteste in Missouri e in altre località del paese con un altro sistema consolidato, quello delle politiche identitarie.

Tutti i commenti e le dichiarazioni di opinionisti “mainstream” e politici di entrambi gli schieramenti in questi giorni hanno cioè mancato deliberatamente di citare, in merito ai fatti di Ferguson, le fondamentali questioni di classe legate alle proteste e alla violenza endemica della polizia americana, concentrandosi convenientemente su quelle razziali.

In questo modo, le tensioni sociali, frutto dei crescenti livelli di povertà e delle gigantesche disuguaglianze di reddito che gravano sia sui bianchi sia sui neri negli Stati Uniti, vengono contenute, sia pure sempre più faticosamente, con la mobilitazione di leader o personalità di spicco di colore che invitano alla calma e al dialogo.

Ciò è apparso evidente in seguito alla nomina dell’afro-americano Ron Johnson, capo della polizia stradale dello stato del Missouri, a responsabile dell’ordine a Ferguson dopo i primi scontri tra i manifestanti e il dipartimento di polizia cittadino.

Ancor più, il ruolo di veri e propri professionisti del contenimento delle tensioni sociali è ricoperto dai politici democratici di colore e dai leader della comunità afro-americana, come il reverendo Al Sharpton. Quest’ultimo, recentemente rivelatosi ex informatore dell’FBI, si è adoperato per calmare gli animi a Ferguson, chiedendo ai manifestanti di avere fiducia nell’amministrazione Obama e nella stessa polizia del Missouri, confermando così la sua funzione di agente della Casa Bianca con l’incarico di incanalare le proteste contro il sistema in ciò che resta dell’ormai innocuo “progressismo” Democratico.

Lo stesso Sharpton, dopo avere partecipato sabato a una manifestazione contro la polizia nel “borough” di Staten Island, a New York, in seguito all’assassinio nel mese di luglio da parte di un agente del venditore ambulante di sigarette Eric Garner, ha parlato lunedì a Ferguson in occasione dei funerali di Michael Brown.

Sulla morte di Brown, intanto, un apposito “grand jury” sta valutando i fatti del 9 agosto per avviare un eventuale procedimento di incriminazione contro l’agente di polizia responsabile. I timori per un possibile scagionamento di quest’ultimo sono ampiamente diffusi vista l’impunità di cui regolarmente godono i poliziotti responsabili di decine di omicidi negli USA solo negli ultimi mesi.

A mettere in guardia da un esito di questo tipo sono ancora una volta soprattutto i leader di colore, giustamente preoccupati che un’altra ingiustizia possa innescare nuove manifestazioni di protesta sempre più difficili da tenere sotto controllo, non solo tra la popolazione di Ferguson ma anche nel resto degli Stati Uniti.

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