Fico e l’atlantismo criminale

di Michele Paris

Dopo un lungo e complicato intervento chirurgico, il primo ministro slovacco Robert Fico è sopravvissuto al tentato assassinio di mercoledì avvenuto in una località a un paio d’ore di auto da Bratislava. Il gravissimo episodio ha tutti i connotati di un’operazione politica ed è da collegare allo scontro sull’Ucraina che si sta consumando tra i vertici UE e gran parte dei leader dei...
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Georgia, sfida alle “interferenze”

di Mario Lombardo

La vicenda della legge sulle “interferenze straniere” appena approvata in via definitiva dal parlamento della Georgia è un esempio perfetto della doppiezza e della monumentale ipocrisia che caratterizza la politica estera di Europa e Stati Uniti. Il provvedimento è oggetto di feroci critiche e condanne, nonché di una campagna di disinformazione che punta a descrivere come ultra-repressiva e anti-democratica una legge legittima, per molti versi necessaria e, soprattutto, già parte della legislazione di alcuni paesi occidentali e in fase di seria discussione in altri. La legge è passata in terza e ultima lettura martedì con il voto favorevole di 84 deputati e 30 contrari. Un testo pressoché identico era stato proposto un anno fa,...
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di Michele Paris

L’atteso vertice di Minsk, andato in scena tra la serata di mercoledì e le prime ore di giovedì, si è concluso con un debole accordo per il cessate il fuoco in Ucraina sud-orientale che dovrebbe mettere fine alle ostilità tra le forze di Kiev e i “ribelli” filo-russi a partire dalla mezzanotte di domenica prossima. Il compromesso concordato tra i presidenti di Russia, Ucraina, Francia - Putin, Poroshenko, Hollande - e la cancelliera tedesca Merkel è giunto però nel pieno di un’escalation militare e delle minacce americane di fornire armi “difensive” al regime golpista ucraino, rendendo poco incoraggianti le prospettive di pace in Europa orientale.

Il successo principale delle discussioni nella capitale bielorussa starebbe proprio nella dichiarazione della tregua senza condizioni, visto che sulle questioni più delicate del conflitto l’intesa appare debolissima e i disaccordi ancora sensibili.

Le maggiori preoccupazioni erano rappresentate dalla resistenza dei rappresentanti delle cosiddette Repubbliche Popolari di Donestsk e Lugansk a cedere il territorio conquistato a partire dal “memorandum di Minsk” siglato lo scorso settembre e quasi subito violato da entrambe le parti.

Nel testo sottoscritto giovedì si è stabilito che le forze di Kiev dovranno ritirare le loro armi pesanti a partire “dall’effettiva linea di contatto”, mentre i “ribelli” avranno come riferimento “la linea di contatto” stabilita a settembre. In sostanza, questi ultimi dovranno sgombrare la porzione di territorio conquistata negli ultimi mesi ma, almeno per il momento, essa non verrà rioccupata dal governo.

Il ritiro delle armi pesanti dovrà essere completato entro 14 giorni dall’inizio del cessate il fuoco, il quale sarà monitorato sul campo dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

Il nuovo accordo ribadisce poi la necessità di concordare una riforma costituzionale che, pur garantendo l’integrità territoriale dell’Ucraina, preveda un “elemento di decentralizzazione” per le aree di Donetsk e Lugansk. Questa condizione è da tempo richiesta dalla Russia, anche se Mosca non ha mai cercato di imporre la struttura da dare allo Stato ucraino. Attorno ad essa rimangono profondi disaccordi, evidenziati anche dallo stesso presidente Poroshenko subito dopo il vertice di Minsk. Sulla sua pagina Facebook, il leader ucraino ha scritto infatti che il progetto di autonomia che avrebbe in mente per le regioni sud-orientali non si tradurrà in una struttura “federativa” del paese.

Un altro punto spinoso era il ristabilimento del sistema di pagamento da parte di Kievi di pensioni e stipendi pubblici nelle regioni controllate dai “ribelli”, interrotto da tempo dal governo con l’adozione di una sorta di “embargo economico”. Il documento stabilisce però soltanto che vengano decise le modalità specifiche per normalizzare la situazione in questo ambito, lasciando molti dubbi circa una soluzione rapida.

I 13 punti concordati a Minsk sono stati sottoscritti dai membri del cosiddetto “Gruppo di Contatto” - Russia, Ucraina, Repubbliche di Donetsk e Lugansk, OSCE - mentre i governi che hanno condotto le trattative a Minsk hanno emesso una dichiarazione a sostegno del lavoro svolto nella capitale bielorussa.

La Merkel e Hollande si sono recati giovedì a Bruxelles per un summit UE nel quale è prevalsa la cautela sugli sviluppi della crisi ucraina. I leader europei hanno escluso un allentamento delle sanzioni contro la Russia, in attesa, a loro dire, che l’accordo dia qualche frutto.

Le discussioni a Minsk erano state più volte prolungate a partire da mercoledì sera a causa delle divergenze tra le parti e dell’irremovibilità di alcuni partecipanti. Secondo Hollande, i rappresentanti dei “ribelli” avrebbero a un certo punto respinto la bozza di accordo, per poi fare marcia indietro. Per Putin, al contrario, la laboriosità dei negoziati sarebbe da attribuire al governo di Kiev, il quale si è a lungo rifiutato di parlare direttamente con i “ribelli”.

La fragilità dell’accordo è stata confermata anche dal leader della Repubblica Popolare di Donestsk, Aleksandr Zakharchenko, per il quale “se i termini stabiliti [a Minsk] saranno violati, non ci saranno altri vertici o memorandum”.

Il successo dell’intesa appena raggiunta dipende insomma dalla complicata applicazione di una serie di condizioni a partire già dai prossimi giorni. Soprattutto, la fragile intesa di Minsk non cambia il quadro politico e militare creatosi a un anno dal colpo di stato a Kiev, sponsorizzato dai governi occidentali.

In qualche modo, il cessate il fuoco raggiunto giovedì può essere considerato il risultato della volontà dei governi europei di ridurre le tensioni in Ucraina e segnare una certa distanza tra le proprie posizioni e quelle più apertamente guerrafondaie degli Stati Uniti. I rappresentanti di Washington erano infatti assenti a Minsk, pur avendo con ogni probabilità mantenuto costantemente i contatti con i leader europei e, soprattutto, con il presidente ucraino.

Più realisticamente, l’accordo sembra rappresentare un rallentamento temporaneo dell’escalation di provocazioni da parte degli sponsor di Kiev, dettato da un drammatico peggioramento sia della situazione militare sia di quella economica che minaccia la tenuta stessa del regime.

Non a caso, l’annuncio della tregua è coinciso con la notizia che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha accettato di sborsare 17,5 miliardi di dollari in “aiuti” per l’Ucraina, parte di un pacchetto di “salvataggio” che ammonterebbe complessivamente a 40 miliardi. L’FMI aveva sempre sostenuto di non potere intervenire in Ucraina se lo stallo militare nel sud-est del paese non fosse stato risolto.

Osservando gli sviluppi degli ultimi mesi, inoltre, è impossibile non dubitare del fatto che il regime di Kiev e i sui protettori in Occidente desiderino sfruttare lo stop ai combattimenti per riorganizzare le forze e progettare una nuova offensiva militare contro i separatisti filo-russi nel prossimo futuro. Sia l’accordo di giovedì sia quello dello scorso settembre sono giunti d’altra parte dopo pesanti perdite militari per le forze del governo e le milizie neo-naziste con cui collaborano nel reprimere la rivolta dei filo-russi.

Le pressioni su Mosca restano poi invariate, con le sanzioni economiche tuttora in vigore e le sempre più frequenti iniziative militari decise da Washington. Proprio mercoledì, ad esempio, il comandante delle forze armate USA in Europa, generale Ben Hodges, ha fatto sapere che a partire dal prossimo mese di marzo 600 soldati americani approderanno in Ucraina per addestrare le truppe locali.

La già ricordata ipotesi di trasferire armi direttamente al governo di Kiev è stata inoltre confermata questa settimana anche dal presidente Obama, dopo un incontro alla Casa Bianca con la Merkel, se la diplomazia non dovesse portare a risultati concreti, mentre la Camera dei Rappresentanti di Washington ha approvato una legge che autorizza forniture militari a Kiev per un miliardo di dollari.

L’annuncio dell’accordo di Minsk è stato infine offuscato da un’altra notizia provocatoria, quella cioè che l’aeronautica militare americana settimana prossima invierà in Europa alcuni velivoli da guerra per partecipare a un’esercitazione militare con gli alleati NATO dell’ex blocco sovietico, con l’obiettivo definito, nel consueto linguaggio orwelliano dei vertici politici e militari di Washington, di “dimostrare l’impegno degli USA per la sicurezza e la stabilità” del vecchio continente.

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