Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Michele Paris

Con un annuncio congiunto della numero uno della politica estera UE, Federica Mogherini, e del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, giovedì è stato finalmente confermato il raggiungimento di una bozza di accordo preliminare per la risoluzione della questione del programma nucleare della Repubblica Islamica.

L’intesa è stata siglata quasi due giorni dopo il superamento della data limite del 31 marzo, auto-imposta dalle parti in trattativa, a indicare sia la serietà delle questioni ancora da risolvere sia il fatto che un punto di incontro era comunque a portata di mano. Nelle ore precedenti l’accordo erano iniziate a circolare voci di un possibile naufragio dei negoziati, anche se l’esito finale ha chiarito che queste indicazioni erano prevalentemente di natura tattica per esercitare pressioni sulla delegazione iraniana.

I toni dei commenti dei rappresentanti dei governi occidentali a Losanna nel pomeriggio di giovedì sono stati in alcuni casi addirittura euforici, come ad esempio quello del ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, secondo il quale l’accordo è andato “al di là di quanto molti di noi credevano possibile 18 mesi fa”. Il documento sottoscritto giovedì, ha aggiunto Hammond, “è una buona base per quello che, credo, potrebbe essere un accordo molto positivo”. Il presidente Obama ha a sua volta salutato una “storica intesa” che potrebbe rendere “il mondo più sicuro”

L’entusiasmo occidentale è facilmente comprensibile alla luce del testo dell’accordo diffuso alla stampa. I punti principali indicano infatti ampie concessioni da parte iraniana, a cominciare dall’accettazione di ispezioni intrusive del proprio programma nucleare da parte degli ispettori internazionali.

Inoltre, Teheran limiterà le attività di arricchimento dell’uranio a un solo impianto – Natanz – dove rimarranno operative appena 5 mila centrifughe, sulle 19 mila attualmente installate, e oltretutto di prima generazione, non quelle più moderne già a disposizione. Se le richieste trapelate dagli Stati Uniti in passato indicavano un numero non superiore a mille, alcuni mesi fa lo stesso ayatollah Khamenei aveva affermato l’intenzione di mantenere attive tutte e 19 mila le centrifughe disponibili.

Sulla controversa struttura di Fordow, invece, l’Iran ha acconsentito a trasformarla da un centro di arricchimento a un impianto per la ricerca, dove non sarà presente “materiale fissile”. Fordow risultava molto controverso, in quanto costruito all’interno di una montagna nei pressi della località di Qom e quindi non raggiungibile da eventuali bombardamenti americani o di Israele.

La terza struttura presa in considerazione è infine quella di Arak. Qui, il reattore nucleare sarà modificato in modo da rendere impossibile la produzione di plutonio utilizzabile per la costruzione di armi nucleari.

Per quanto riguarda le tempistiche, il periodo teoricamente necessario all’Iran per mettere assieme abbastanza materiale fissile da utilizzare per la realizzazione di un’arma (“breakout time”) sarà di un anno - come voluto da Washington - e le condizioni perché rimanga tale saranno valide per almeno dieci anni.

Dalle notizie diffuse nelle prime ore dopo l’annuncio dell’accordo non sembra esserci completa sintonia sulla questione forse più delicata, cioè le modalità della revoca delle sanzioni economiche che pesano sull’Iran.

Secondo i governi occidentali le misure punitive verranno sospese ma potrebbero essere riapplicate se Teheran non dovesse rispettare i termini dell’accordo. Zarif ha invece sostenuto di fronte alla stampa che le sanzioni approvate negli anni scorsi dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea saranno cancellate a seguito dell’implementazione dei contenuti dell’accordo.

Come previsto dal piano delle trattative, e come hanno ricordato le parti coinvolte, quella siglata giovedì è solo un’intesa preliminare che fissa le questioni fondamentali su cui dovranno basarsi le trattative dei prossimi tre mesi per la definizione dei dettagli tecnici e non solo.

Entro il 30 giugno prossimo dovrà essere approvata una versione definitiva dell’accordo, per giungere al quale ci sarà ancora molto lavoro da fare anche su temi delicati. Ad esempio, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrà stabilire quali saranno le modalità delle ispezioni nelle strutture nucleari iraniane, mentre ancora nulla sarebbe stato deciso sulla spinosa questione delle possibili “dimensioni militari” che il programma nucleare iraniano avrebbe avuto in passato, almeno a detta degli Stati Uniti.

Le prossime settimane dovrebbero in ogni caso registrare un allentamento delle pressioni esercitate dagli ambienti contrari all’accordo e allo sviluppo più che legittimo del programma nucleare civile dell’Iran. Allo stesso tempo, tuttavia, i “falchi” del Congresso USA e il governo Netanyahu in Israele potrebbero sfruttare qualsiasi frizione durante la fase finale delle trattative per ostacolare ulteriormente il processo di distensione.

Già giovedì, infatti, da Washington e Tel Aviv sono giunte condanne per quella che il premier israeliano ha definito, assurdamente, l’autorizzazione concessa “al regime criminale iraniano di un percorso verso la costruzione di armi atomiche”.

Il reale percorso della Repubblica Islamica verso il nucleare, ratificato da un eventuale accordo definitivo con i P5+1, dipenderà piuttosto da quanto la sua leadership sarà disposta ad accettare le condizioni dettate da Washington, non tanto per il rispetto di ciò che è stato sottoscritto a Losanna bensì per desistere dal rappresentare una qualsiasi minaccia agli interessi strategici americani in Medio Oriente.

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