Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Michele Paris

L’attesissimo accordo che dovrebbe mettere fine alla lunga contesa sul nucleare iraniano è stato finalmente siglato nella giornata di martedì dopo 18 giorni consecutivi di trattative e una serie di scadenze non rispettate. L’intesa è solo il primo passo di un lungo processo di implementazione di numerose condizioni, alcune delle quali accettate dai rappresentanti della Repubblica Islamica dopo essere state da essi stesse respinte nelle scorse settimane.

Sul piano generale, il nocciolo dell’accordo prevede che Teheran possa continuare a sviluppare un programma nucleare civile senza sopportare il peso di sanzioni internazionali in cambio di severe restrizioni imposte dai cosiddetti P5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) e dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

La data ultima prevista per il raggiungimento di un accordo doveva essere inizialmente il 30 giugno scorso ma persistenti contrasti su alcune questioni spinose hanno ripetutamente prolungato le trattative. Rivelazioni provenienti da Vienna al di fuori del circuito dei media ufficiali avevano evidenziato un chiaro irrigidimento della posizione degli Stati Uniti, intenzionati a chiedere concessioni maggiori all’Iran rispetto a quelle su cui le parti erano riuscite a convergere ai primi di aprile a Losanna.

L’amministrazione Obama aveva probabilmente sentito le pressioni dei “falchi” sul fronte domestico, contrari a qualsiasi accordo che non fosse una pura e semplice capitolazione dell’Iran, insistendo così sulla propria controparte per accettare termini decisamente penalizzanti.

Alla fine, come in molti avevano pronosticato, a prevalere è stata la volontà politica di mandare in porto un’intesa dalla portata strategica, ma anche economica, potenzialmente enorme. A giudicare dai dettagli circolati martedì, è sembrato l’Iran ad avere maggiore interesse in una soluzione pacifica della crisi, come ha indirettamente ammesso il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, il quale ha definito “storico” l’accordo da lui firmato ma evidentemente “non perfetto”.

Su due punti, in particolare, la volontà di Washington sembra avere prevalso. In primo luogo, la richiesta, apparentemente ferma, fatta nei giorni scorsi dalla delegazione iraniana di cancellare l’embargo sulle armi e sulla tecnologia missilistica non è stata accettata, almeno per il momento. La Reuters ha per prima riportato che il testo dell’accordo prevede il mantenimento per cinque anni dell’embargo sulle armi e per otto anni del divieto fatto all’Iran di acquistare tecnologia missilistica.

Le sanzioni economiche internazionali saranno poi eliminate, consentendo all’Iran di esportare petrolio liberamente e di utilizzare il sistema finanziario globale, ma viene fissato un meccanismo di “snapback” per ripristinare in maniera relativamente agevole le misure punitive finora applicate. Una speciale commissione internazionale, formata da USA, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Unione Europea e Iran, dovrà esprimersi in caso di presunte violazioni dell’accordo da parte di Teheran e il voto favorevole di una maggioranza semplice potrebbe riattivare le sanzioni entro 65 giorni.

Un altro aspetto delicato dell’accordo è poi l’accesso degli ispettori dell’AIEA alle installazioni militari iraniane. Il numero uno dell’agenzia, Yukiya Amano, ha annunciato martedì una “road map” sottoscritta con la Repubblica Islamica per avere l’autorizzazione a visitare i siti militari e, ufficialmente, fare chiarezza su eventuali test nucleari a fini bellici condotti in passato.

L’Iran, che aveva anche in questo caso escluso una simile eventualità, potrebbe non accordare il permesso di visitare i propri siti militari agli ispettori, anche se eventuali controversie su questo punto dovranno essere risolte dalla già citata commissione internazionale.

L’entusiasmo con cui Amano, notoriamente poco più che un burattino di Washington, ha salutato l’accordo con Teheran sulle ispezioni alle installazioni militari rende molto dubbia la buona fede dell’AIEA. Su tale questione è legittimo dunque sospettare che gli Stati Uniti si riservino la facoltà di minacciare ed esercitare ulteriori pressioni sull’Iran di fronte al minimo segnale di una presunta mancata collaborazione.

Per quanto riguarda il potenziale nucleare, l’Iran dovrà rispettare pesanti limitazione delle proprie capacità di arricchimento dell’uranio per 15 anni, dopodiché dovrebbe teoricamente veder sparire ogni vincolo. L’Iran, infine, si impegna a ridurre di ben due terzi il numero di centrifughe in funzione per l’arricchimento dell’uranio nell’impianto di Natanz. Il numero delle centrifughe che resteranno attive - poco più di cinquemila - risulta nettamente inferiore a quello ipotizzato dalle autorità iraniane, incluso l’ayatollah Ali Khamenei, nel recente passato.

L’accordo appena raggiunto a Vienna, pur non essendo un trattato vincolante, dovrà essere approvato dal Congresso degli Stati Uniti, i cui membri avranno 60 giorni di tempo per esaminarlo. Questa disposizione è il risultato di una legge approvata a Washington e firmata da Obama per cercare di ammorbidire l’opposizione a un’intesa con l’Iran ampiamente diffusa tra deputati e senatori di entrambi gli schieramenti, particolarmente sensibili alle pressioni israeliane.

La leadership repubblicana ha ribadito in questi giorni il clima ostile al Congresso per qualsiasi accordo, ma un eventuale voto contrario di Camera e Senato potrebbe essere neutralizzato dal veto di Obama.

Sull’intesa peseranno poi le manovre di Israele, da dove le prime reazioni nella giornata di martedì sono state nuovamente all’insegna dell’isteria. Il premier Netanyahu ha definito l’accordo un “pessimo errore di proporzioni storiche”, mentre inquietante è stato il commento affidato a un “tweet” dalla vice ministro degli Esteri, Tzipi Hotovely, la quale ha avvertito che “lo stato di Israele prenderà tutte le misure [possibili] per cercare di impedire l’approvazione dell’accordo”.

La decisione strategica presa dall’amministrazione Obama di sancire uno storico riavvicinamento all’Iran, sia pure tra dubbi e pressioni contrastanti, dovrà fare i conti con i riflessi negativi nelle relazioni non solo con Israele ma anche con le monarchie arabe sunnite del Golfo Persico, a cominciare dall’Arabia Saudita, che vedono con apprensione il ritorno del rivale sciita a svolgere un ruolo da protagonista nella regione mediorientale.

Come ha spiegato Obama in un messaggio televisivo trasmesso martedì, “l’accordo offre la possibilità di muoverci verso una nuova direzione”. Il riequilibrio strategico in Medio Oriente potrebbe infatti essere significativo, sulla spinta dei rapporti commerciali da ristabilire con un paese di 77 milioni di abitanti e con ingenti risorse energetiche.

La Casa Bianca ha dunque valutato più opportuno scegliere la strada diplomatica, non tanto, come ha affermato lo stesso presidente americano, per costruire “un mondo più sicuro”, bensì come opzione migliore per promuovere gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente e non solo.

L’aver messo relativamente in secondo piano le richieste di alleati tradizionali come Israele e Arabia Saudita per inseguire per quasi due anni un accordo con un nemico storico indica motivazioni fortissime dietro la disponibilità USA a siglare un accordo con la Repubblica Islamica. Motivazioni che vanno ricercate in varie direzioni e che sono legate, tra l’altro, a un possibile processo di transizione politica senza Assad in Siria, all’indebolimento dell’asse della resistenza sciita e, forse principalmente, al tentativo di impedire o rallentare l’integrazione dell’Iran con Russia e Cina.

Gli obiettivi che Washington intende raggiungere con un accordo sul nucleare che, a ben vedere, non ha mai riguardato veramente l’inesistente programma militare di Teheran, sono comunque tutt’altro che a portata di mano, non da ultimo a causa del declinante potere americano.

L’amministrazione Obama e l’apparato militare statunitense sono ben consapevoli delle difficoltà che si prospettano e, come dimostrano alcune condizioni comprese nell’accordo, gli USA non si trasformeranno nottetempo in un alleato dell’Iran, ma continueranno a mantenere alto il livello di pressione su questo paese per provare ad assicurarsi, per quanto possibile, un qualche allineamento di Teheran ai proprio interessi.

Per questa ragione, al di là delle complesse questioni tecniche che dovranno essere implementate a partire dalle prossime settimane, la retorica americana nei confronti dell’Iran potrebbe non cambiare di molto nell’immediato futuro, D’altra parte, solo pochi giorni prima della firma di un accordo che appariva ormai a portata di mano, il capo di Stato Maggiore americano uscente, generale Martin Dempsey, aveva indirizzato una nuova aperta minaccia militare contro l’Iran, ostentando i piani e le capacità belliche del suo paese, in grado di distruggere deliberatamente l’intero programma militare della Repubblica Islamica.

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