Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Michele Paris

Le elezioni del prossimo 17 agosto per il rinnovo del Parlamento dello Sri Lanka rischiano di presentare una sgradita sorpresa al governo in carica nell’isola dell’oceano Indiano e ai suoi sponsor in India e negli Stati Uniti. L’ex presidente Mahinda Rajapaksa, dato per finito dopo l’installazione alla guida del paese di un suo ex ministro lo scorso mese di gennaio, ha infatti annunciato la propria candidatura alla carica di primo ministro, contando sul consenso che ancora raccoglie tra la maggioranza cingalese di fede buddista.

Con uno schiaffo al presidente, Maithripala Sirisena, i leader del Partito per la Libertà dello Sri Lanka (SLFP) un paio di settimane fa avevano scelto Rajapaksa come candidato premier. La decisione aveva smentito clamorosamente la presa di posizione di Sirisena, il quale solo pochi giorni prima aveva dichiarato che avrebbe impedito la nomina a capo del governo del suo rivale e predecessore in caso di successo alle elezioni dell’SLFP.

Rajapaksa e Sirisena fanno parte dello stesso partito, ma il secondo si era prestato alle manovre di una sezione della classe dirigente dello Sri Lanka e delle rappresentanze diplomatiche di India e Stati Uniti per succedere al primo nella carica di presidente. L’occasione si era presentata sul finire del 2014, quando Rajapaksa aveva indetto le elezioni con due anni di anticipo per evitare un’emoraggia di consensi a causa dei suoi metodi di governo anti-democratici e della corruzione dilagante sotto il suo regime.

Il Partito Nazionale Unito (UNP) filo-americano e l’ex presidente dello Sri Lanka, Chandrika Kumaratunga, anch’essa appartenente all’SLFP, avevano allora promosso la candidatura di Sirisena, a sua volta dimessosi da ministro della Sanità nel governo del presidente Rajapaksa.

Cavalcando l’impopolarità di quest’ultimo, Sirisena era così riuscito a prevalere nel voto di gennaio. Rajapaksa aveva inizialmente cercato di delegittimare il risultato ma, avvertito più o meno apertamente da Washington e Delhi che la sua resistenza a farsi da parte avrebbe scatenato una rivolta appoggiata dai loro governi, aveva finito per riconoscere la sconfitta.

Le colpe di Rajapaksa agli occhi di India e Stati Uniti non erano tanto le tendenze autoritarie evidenziate durante gli anni al potere o i crimini commessi nella guerra contro le Tigri Tamil (LTTE), bensì l’instaurazione di rapporti molto stretti con la Cina. Soprattutto durante gli ultimi anni della presidenza Rajapaksa, Pechino ha concesso ingenti prestiti al governo cingalese per la realizzazione di infrastrutture, mentre in due occasioni sottomarini cinesi hanno attraccato nel porto di Colombo, suscitando le preoccupazioni di Washington e Delhi.

Il sostegno a Sirisena aveva perciò come obiettivo lo sganciamento dello Sri Lanka dalla Cina e l’allineamento di questo paese alle esigenze strategiche statunitensi e indiane. Appena eletto alla presidenza, Sirisena ha infatti ordinato la sospensione di molti progetti avviati da aziende cinesi e la revisione delle modalità di assegnazione degli appalti.

Episodi molto probabili di corruzione sono stati sfruttati politicamente sia per giustificare un allentamento delle relazioni con Pechino sia per perseguire penalmente Rajapaksa e il suo entourage, spesso fatto di membri della sua famiglia.

La stessa amministrazione Obama aveva manovrato con le Nazioni Unite per fare avanzare un’indagine sulla possibile violazione dei diritti umani nelle fasi finali della guerra contro le forze ribelli Tamil nel 2009, durante le quali furono uccisi 40 mila civili appartenenti a questa minoranza etnica.

La pubblicazione del rapporto dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani è stata rinviata alla fine di settembre e, con ogni probabilità, il documento verrà usato come arma per colpire Rajapaksa, soprattutto nel caso dovesse riuscire a diventare primo ministro.

L’ex presidente, in ogni caso, continua ad apparire in un comizio dopo l’altro e ad attaccare duramente l’attuale governo. Il suo ritorno sulla scena politica dello Sri Lanka è favorito dalle mancate promesse fatte in campagna elettorale da Sirisena, in particolare sul fronte economico e del miglioramento delle condizioni di vita di milioni di poveri e lavoratori.

Rajapaksa insiste anche sull’appello al nazionalismo cingalese, ricordando puntualmente la sconfitta inflitta dal suo governo ai “terroristi” Tamil. In maniera esplicita, inoltre, Rajapaksa promette un’inversione di rotta della politica estera del suo paese, così da tornare a guardare alla Cina, la quale aveva favorito una qualche crescita economica in Sri Lanka e, soprattutto, aveva arricchito molti tra politici e imprenditori nella cerchia dell’ex presidente.

Una vittoria nelle elezioni di agosto per Rajapaksa rappresenterebbe infine una vera e propria beffa per Sirisena e le forze che lo appoggiano. Dopo l’elezione di gennaio, infatti, il nuovo governo ha implementato la promessa elettorale di ridimensionare i poteri del presidente e rafforzare quelli assegnati al primo ministro.

Se in Sri Lanka non sono stati finora diffusi sondaggi attendibili sugli equilibri politici in vista del voto, svariati analisti citati dalla stampa internazionale prevedono una possibile sconfitta per Rajapaksa e l’SLFP, con l’UNP del primo ministro in carica, Ranil Wickremesinghe, in vantaggio e favorito per la formazione del prossimo governo.

Rajapaksa aveva tuttavia perso le elezioni presidenziali di gennaio con un margine piuttosto ridotto e sembra conservare un seguito consistente nel paese. Il suo ritorno al potere in Sri Lanka potrebbe essere però ostacolato dalle divisioni che continuano a caratterizzare il suo partito, lacerato tra l’ex presidente - e le sirene cinesi - e il suo successore sostenuto da India e Stati Uniti, i cui governi sono ben decisi a mantenere la propria influenza su questo paese strategico per il controllo delle rotte commerciali nell’Oceano Indiano.

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