Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Michele Paris

I risultati dei caucuses dell’Iowa, che nella serata di lunedì hanno aperto ufficialmente la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, hanno riservato alcune sorprese e spunti di riflessione interessanti per il prosieguo della corsa, il primo dei quali relativo alla gravissima crisi in cui versa il sistema politico di Washington e al carattere fondamentalmente anti-democratico di un processo di selezione del potere determinato dai media ufficiali e dai grandi interessi economici e finanziari.

Come di consueto, l’attenzione rivolta dalla stampa a questo appuntamento elettorale è stata inversamente proporzionale al peso reale della competizione, nella quale è coinvolta una percentuale irrisoria degli aventi diritto di uno stato periferico degli USA. Adottando però in qualche modo i parametri dei commentatori d’oltreoceano, è innegabile che il voto dell’Iowa abbia sancito la sconfitta e la mezza vittoria - o mezza sconfitta - dei favoriti tra i Repubblicani e i Democratici, rispettivamente Donald Trump e Hillary Clinton.

Tra i Repubblicani, a prevalere è stato il senatore del Texas di origine cubana, Ted Cruz, con un margine sull’imprenditore miliardario di soli 4 punti percentuali (28% a 24%) ma sufficiente a ribaltare le previsioni dei sondaggi. Tra le ragioni della vittoria in Iowa di Cruz ci sono però anche quelle che potrebbero decretarne la sconfitta nelle settimane a seguire.

Per la composizione demografica degli elettori Repubblicani che partecipano ai caucuses e per il sistema stesso di votazione, le strategie adatte a questo stato contrastano con quelle necessarie ad assicurarsi la maggioranza dei consensi in praticamente tutto il resto del paese. Non a caso, i vincitori dei caucuses Repubblicani nel 2008 e nel 2012 - Mike Huckabee e Rick Santorum - non hanno poi rappresentato serie minacce per coloro che avrebbero finito per ottenere la nomination (John McCain e Mitt Romney).

Sul successo di Cruz ha cioè influito il peso degli elettori che si definiscono “evangelici”, ovvero cristiani fondamentalisti, schieratisi in larga misura per un candidato che ha ripetutamente usato l’arma della religione durante la campagna elettorale. Questa mossa ha pagato soprattutto nelle aree più rurali dell’ovest dello stato. Cruz, inoltre, ha dedicato più tempo, risorse ed energie rispetto ai suoi rivali ad attività tradizionali di campagna elettorale molto utili in Iowa, organizzando eventi e incontri diretti con gli elettori, mentre ha costruito una fitta rete di agguerriti attivisti e volontari sul campo.

Trump, al contrario, ha pagato la scarsa presenza sua e del suo team nello stato, dove, in ogni caso, la sua immagine di businessman newyorchese, oltretutto più volte sposato e divorziato, nonché di tendenze relativamente liberali sulle questioni sociali, lasciava intravedere uno scarso appeal tra l’elettorato evangelico.

Maggiore attenzione Trump dedicherà invece al prossimo appuntamento in calendario, le primarie del New Hampshire di martedì prossimo, dove i Repubblicani sono in maggioranza di tendenze più moderate. Qui Trump è accreditato di un certo vantaggio ma le dinamiche dell’Iowa potrebbero influire sui risultati finali. Trump dovrà fare i conti con la spinta ottenuta lunedì da Cruz, il quale tornerà poi a trovare terreno favorevole in South Carolina il 20 febbraio, ma anche con l’altra sorpresa dei caucuses dell’Iowa, il senatore della Florida, Marco Rubio.

Quest’ultimo, anch’esso di origine cubana ed ex protetto di Jeb Bush, è finito staccato di un solo punto percentuale da Trump e secondo i media americani avrebbe fatto passi avanti nell’assicurarsi il sostegno dell’establishment Repubblicano, preoccupato per il prevalere finora di due candidati considerati “outsider” come Cruz e lo stesso Trump.

Da mesi, i vertici del Partito Repubblicano devono fronteggiare le spinte contro il sistema provenienti anche dai propri elettori. Spinte che hanno appunto consentito a candidati teoricamente non legati alla politica di Washington di emergere e arrivare alle primarie in posizione di vantaggio.

Con la prospettiva dell’assegnazione della nomination a candidati come Trump o Cruz, il partito e i suoi finanziatori hanno iniziato a temere una pesante sconfitta nelle elezioni di novembre, viste le posizioni estreme propagandate finora da entrambi. Allo stesso tempo, i Repubblicani hanno faticato a individuare un’alternativa ai due “frontrunners”, soprattutto dopo il declino dell’ex governatore della Florida, Jeb Bush, finito miseramente a meno del 3% lunedì in Iowa nonostante una spesa complessiva di circa 15 milioni di dollari nello stato.

Marco Rubio, allora, nonostante il suo modesto peso politico, potrebbe essere considerato l’uomo giusto o, quanto meno, l’ultima possibilità per contrastare le spinte centrifughe nel partito e scongiurare una vittoria di Trump o Cruz. Una prestazione convincente anche in New Hampshire potrebbe indurre i finanziatori e i leader del partito a stringersi attorno al 45enne senatore, affondando nel contempo le residue speranze degli altri candidati dell’establishment, come lo stesso Bush e i governatori di New Jersey e Ohio, Chris Christie e John Kasich.

Per quanto riguarda il Partito Democratico, invece, Hillary Clinton ha evitato letteralmente per una manciata di voti una sconfitta che avrebbe potuto avere conseguenze devastanti per la sua campagna elettorale, visto anche il netto margine di vantaggio assegnato finora dai sondaggi al rivale Bernie Sanders in New Hampshire.

L’ufficialità della risicatissima vittoria di Hillary nei caucuses è stata confermata dal Partito solo nella giornata di martedì, con la ex first lady attestatasi al 49,8% e Sanders al 49,6%. Se l’ex segretario di Stato ha ammesso di avere “tirato un sospiro di sollievo” dopo la scampata sconfitta, fonti interne al suo staff hanno rivelato il comprensibile pessimo umore della candidata favorita.

Poco meno di un anno fa, d’altra parte, Sanders era in ritardo di 40 punti percentuali da Hillary in uno stato dove risultava praticamente sconosciuto. Il 74enne senatore del Vermont è riuscito da allora a beneficiare del sostegno soprattutto dei più giovani e degli elettori a basso reddito grazie a una campagna basata su proposte di stampo progressista.

Il risultato di Sanders, finito praticamente alla pari di Hillary, è stato ancora più eclatante se si considera la raffica di attacchi ricevuti nelle ultime settimane da parte di quest’ultima, del suo team e di molti suoi sostenitori nei media e tra i politici Democratici. Non solo, le fasce di elettori che stanno mostrando il maggiore interesse per Sanders sono state quelle più penalizzate dalle regole di voto dei caucuses in Iowa, cioè i lavoratori e, più in generale, coloro che non avevano mai votato in precedenza nelle primarie.

Il sostanziale pareggio registrato in Iowa potrebbe quanto meno rallentare la marcia di Hillary, anche se la mancata vittoria di Sanders rende ancora più complicata la sua già difficilissima strada verso la nomination. Se il senatore del Vermont è dato per favorito in New Hampshire, la macchina da guerra dei Clinton – appoggiati da praticamente tutto l’establishment Democratico e dai ricchi donatori del partito – risulta in chiaro vantaggio negli stati che terranno caucuses e primarie in seguito, soprattutto negli stati meridionali del paese.

Le tensioni e la polarizzazione sociale che caratterizza la società americana stanno però stravolgendo molte regole del processo politico, malgrado il vincolo soffocante del sistema bipartitico, così che l’entusiasmo generato dalla campagna di Sanders, con al centro la lotta alle disuguaglianze e allo strapotere di Wall Street, potrebbe rendere la sfida in casa Democratica più combattuta del previsto.

La capacità e la volontà di Sanders di implementare le misure promesse in campagna elettorale sono comunque quanto meno dubbie, vista la natura del Partito Democratico di strumento delle élites economiche americane. La sua corsa alla Casa Bianca, tuttavia, sta assecondando e allo stesso tempo galvanizzando una larga fetta di elettorato spostatosi inesorabilmente a sinistra.

Basti pensare, a questo proposito, che una recente indagine di un giornale di Des Moines, nell’Iowa, ha rilevato come, in questo stato, quattro elettori Democratici su dieci si definiscano “socialisti”, nonostante lo stigma che tradizionalmente accompagna questa definizione in America. Lo stesso Sanders, pur non essendolo in nessun modo, si considera un politico “democratico socialista”.

Gli organi di stampa ufficiali, infine, riconoscono anch’essi ormai il sentimento di rabbia diffuso tra decine di milioni di americani verso un sistema politico bloccato e rappresentativo solo dei poteri forti. Questa situazione spiega il ricorso a una retorica progressista da parte di una candidata come Hillary Clinton, legata a doppio filo a Wall Street e ai grandi interessi economici degli Stati Uniti.

Uno scenario dunque in fermento quello americano che, da qui alle prossime settimane, potrebbe riservare sviluppi decisamente più sorprendenti del più che logoro sistema politico e di quello elettorale messosi in moto lunedì con l’avvio della stagione delle primarie.

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