USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

Dopo il voto del Senato brasiliano che ha sospeso fino a un massimo di 180 giorni la presidente democraticamente eletta, Dilma Rousseff, il vice di quest’ultima, Michel Temer, ha assunto la guida ad interim del paese sudamericano, procedendo immediatamente a formare un nuovo governo che promette di trasformare i prossimi mesi in una sorta di orgia neo-liberista.

L’indirizzo del gabinetto di Temer era stato prospettato dal suo stesso discorso alla nazione dopo il golpe perfezionato la settimana scorsa, nel quale aveva garantito l’impegno per “riforme essenziali” e il “miglioramento delle condizioni per gli investimenti nel settore privato”. I mercati internazionali hanno subito reagito con entusiasmo alle notizie provenienti dal Brasile e ai piani di “rilancio” di un’economia in grave crisi attraverso l’imposizione di una massiccia dose di austerity che minaccia di smantellare i popolari programmi sociali messi in atto in 13 anni di governo del Partito dei Lavoratori (PT) di Dilma e Lula, che non a caso hanno denunciato la congiura di plzzo come un golpe.

L’uomo chiave scelto da Temer per effettuare il radicale cambiamento delle politiche economiche brasiliane è il nuovo ministro delle Finanze, Henrique Meirelles, già governatore della Banca Centrale brasiliana durante la presidenza Lula e con una lunga carriera nell’industria finanziaria americana, tra cui alla guida della Bank of Boston.

Assieme al riorientamento in senso neo-liberista dell’economia, la nuova amministrazione brasiliana intende operare uno spostamento strategico verso gli Stati Uniti e, sul piano domestico, ricorrere a metodi repressivi per contenere le tensioni sociali già esplosive e che aumenteranno ulteriormente nel prossimo futuro.

Il raggiungimento del primo obiettivo, in particolare, sarà compito del neo-ministro degli Esteri, José Serra, del Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB) di centro-destra. Ex sindaco di San Paolo e candidato perdente alle elezioni presidenziali del 2002 e 2010, Serra è visto con estremo favore dalle compagnie petrolifere americane. Come avevano rivelato documenti diplomatici pubblicati da WikiLeaks, Serra è a favore della privatizzazione del colosso pubblico dell’energia Petrobras e della cessione alle multinazionali estere dei diritti di esplorazione dei pozzi petroliferi brasiliani recentemente scoperti.

In generale, la maggior parte dei membri del nuovo gabinetto ha legami con i poteri forti brasiliani o internazionali. Inoltre, in un paese dove più della la metà della popolazione è di razza mista, Temer ha scelto esclusivamente ministri bianchi, di origine europea e di sesso maschile.

Il profilo del governo appena installato a Brasilia conferma in modo inequivocabile come le manovre per rimuovere Dilma Rousseff dal suo incarico siano esclusivamente di natura politica. La deposta presidente, com’è noto, è accusata di avere manipolato alcune voci del bilancio federale per dare un’immagine migliore della situazione finanziaria del paese. A questa pratica, come è stato universalmente riconosciuto, hanno fatto ricorso puntualmente tutti i precedenti governi in Brasile, e non solo.

Inserendosi però in uno scenario segnato dal grave deterioramento della situazione economica, dalla crescente opposizione nel paese al governo del PT e dalle trame cospirative dell’opposizione e degli stessi alleati del PT, con il sostegno esterno di Washington, un fatto trascurabile come quello di cui è stata accusata Dilma è diventato il pretesto per ribaltare il risultato delle elezioni del 2014 e riconsegnare il Brasile nelle mani della destra.

L’intero procedimento di impeachment della presidente è stato giustamente denunciato da molti come una farsa colossale. I protagonisti principali del golpe costituzionale, così come la maggioranza di deputati e senatori che hanno votato a favore della sospensione della Rousseff, risultano coinvolti in vicende legali relative a episodi di corruzione o ad altri gravi crimini.

In particolare, il primo ad avere sollevato accuse contro la presidente, dopo che il PT non lo aveva difeso da una lunga serie di accuse per corruzione nei suoi confronti, era stato l’ormai ex presidente della Camera dei Deputati, Eduardo Cunha, il quale a inizio maggio è stato rimosso dal proprio incarico dalla Corte Suprema brasiliana per i suoi guai giudiziari. Cunha avrebbe incassato tangenti per 40 milioni di dollari, debitamente nascosti in conti svizzeri.

Colui che ha presieduto settimana scorsa al voto decisivo per la sospensione di Dilma Rousseff e per l’avanzamento dell’impeachment, il presidente del Senato, Renan Calheiros, è a sua volta al centro di una decina di procedimenti per corruzione e riciclaggio di denaro in relazione alla mega-indagine denominata “Autolavaggio” (“Lava Jato”), una sorta di “Mani Pulite” brasiliana.

Se fino ad ora non sono emerse prove del coinvolgimento di Dilma in queste vicende collegate al finanziamento illecito della politica brasiliana attraverso la compagnia Petrobras, è invece incredibilmente il presidente ad interim Michel Temer a essere implicato in casi di corruzione. Non solo, proprio la settimana scorsa Temer era stato anche multato per avere violato le norme sul finanziamento elettorale, un’accusa che potrebbe costargli l’esclusione da cariche elettive per otto anni.

Per avere un’idea della popolarità del neo-presidente, un recente sondaggio in Brasile ha rilevato come Temer sia visto con favore appena dal 2% degli intervistati e come persino il 60% di questi ultimi appoggi un eventuale procedimento di impeachment anche nei suoi confronti.

I livelli di corruzione e di illegalità in cui annega l’intera politica brasiliana e, di conseguenza, la totale illegittimità delle manovre contro Dilma Rousseff, sono evidenti infine dal fatto che circa il 60% dei membri del Parlamento brasiliano risulta incriminato o sotto indagine della magistratura.

Il ruolo chiave di Temer nella deposizione del governo del PT, nonostante il discredito che lo accompagna e i problemi con la legge, è spiegato anche e soprattutto dal fatto che l’ex vice-presidente è al vertice di una cospirazione appoggiata da interessi molto potenti e che con ogni probabilità fanno capo direttamente al governo americano.

Sempre WikiLeaks ha chiarito qualche giorno fa alcuni dei contorni dell’operazione andata in scena in Brasile, quando ha pubblicato due “cablo” dell’ambasciata USA in questo paese nei quali è emerso che Temer è stato, e probabilmente è ancora, un fidato informatore e confidente di Washington sugli equilibri politici del suo paese.

I documenti risalgono al 2006 e, in maniera significativa, contengono informazioni fornite da Temer circa la vulnerabilità dell’allora governo guidato da Lula. Punti deboli, spiegava Temer, che potevano aprire spazi alla candidatura alla presidenza di un esponente del suo partito/contenitore, il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB).

I legami di Temer con Washington e la regia, o quanto meno la supervisione, americana dietro la rimozione di Dilma Rousseff erano stati confermati anche dal viaggio negli Stati Uniti del senatore Aloysio Nunes, presidente della commissione Esteri, dopo che la Camera dei Deputati aveva votato a favore dell’impeachment nel mese di aprile. La trasferta di Nunes, intrapresa per aggiornare l’amministrazione Obama su quanto stava accadendo in patria, secondo molti era stata ordinata proprio da Michel Temer.

Il golpe brasiliano è in definitiva la risposta della destra indigena e dei grandi poteri economico-finanziari domestici e internazionali alla gravissima crisi che sta colpendo la settima economia del pianeta a causa della cattiva gestione dell’amministrazione Rousseff e, soprattutto, del crollo dei prezzi dei beni brasiliani destinati all’export.

Se il governo del PT subito dopo la rielezione di Dilma aveva avviato un timido tentativo di ridimensionare le proprie politiche sociali, il rapido deterioramento del quadro economico ha reso necessario un cambio di rotta più incisivo. Ciò ha portato a una procedura di impeachment studiata a tavolino e condotta con metodi profondamente anti-democratici, nella quale molti dei protagonisti principali sono stati gli stessi alleati con cui il PT ha governato per oltre un decennio.

Il governo appena nato su basi illegali a Brasilia dovrà ora fare i conti con una forte opposizione popolare per far digerire le misure di devastazione sociale che si prospettano. Inoltre, le ramificazioni dell’indagine “Lava Jato” minacciano di coinvolgere anche membri del gabinetto Temer o lo stesso presidente ad interim, con conseguenze tutte da verificare.

Allo stesso tempo, però, questa stessa inchiesta dei magistrati brasiliani è stata utilizzata per colpire ulteriormente un partito, come il PT, che conserva una solida base di consenso nel paese, a cominciare dal suo esponente più autorevole, l’ex presidente Lula, probabilmente l’unico in grado di fermare l’offensiva della destra e di generare una significativa mobilitazione popolare in vista del prossimo appuntamento con le urne.

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