Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Fabrizio Casari

Alle parole non sono seguiti i fatti. Questa è, in estrema sintesi, la situazione in corso per quanto riguarda i rapporti tra Stati Uniti e Cuba. Grazie al silenzio mediatico che ha fatto seguito alla visita di Obama sull'isola, si è ingenuamente portati a pensare che il nodo gordiano delle sanzioni statunitensi contro L’Avana sia stato sciolto e che l'avvenuta normalizzazione delle relazioni diplomatiche sia stato solo un aspetto della normalizzazione generale nei rapporti tra i due paesi. Così non è. Certo, proseguono positivamente i colloqui bilaterali ma, nella sostanza, l’impianto criminogeno del blocco contro Cuba è vigente e, in alcuni casi, rafforzato.

Il ripristino delle relazioni diplomatiche, sebbene sia stato un fatto di proporzioni storiche - sostanzialmente l’ammissione statunitense di aver sbagliato grossolanamente più di 60 anni di rapporto con Cuba - non ha per ora innescato le conseguenze positive che alcuni speravano si producessero.

Parallelamente, si mantiene l’illegale ed illegittima occupazione di Guantanamo, in barba al riconoscimento dell'integrità territoriale di Cuba ed anche delle mancate promesse di Obama che da otto anni avrebbe dovuto chiudere il lager, che invece resta aperto. In sostanza, l’atteggiamento imperiale si conferma e il blocco economico e commerciale unilaterale, che dal 1962 colpisce Cuba, non solo resta intatto ma, addirittura, sotto certi aspetti si é persino rinforzato.

Il complesso legislativo e normativo che sottintende il blocco è complesso e, oggettivamente, è rimovibile solo con un voto del Parlamento statunitense, tanto alla Camera dei Rappresentanti come al Senato. E’ noto come la maggioranza nei due rami del Parlamento sia dei Repubblicani e questo potrebbe essere considerato il principale ostacolo ad una iniziativa parlamentare. Ma in realtà non è questo l’elemento decisivo, dal momento che una delle leggi peggiori contro Cuba, che hanno rafforzato ed esteso il blocco, è la Legge Torricelli, dal nome del deputato democratico che l’ha presentata.

Il Presidente Obama, che pure si è già espresso chiaramente affinché il Congresso volti pagina una volta per tutte ed abolisca il blocco, sembra aver rimosso dalla sua agenda il tema. Ma se il complesso di leggi che stabiliscono il blocco economico e commerciale contro Cuba può essere rimosso solo con un voto del Parlamento USA (e quindi dovranno darsi le condizioni politiche perché ciò avvenga) la sua efficacia concreta - che per Cuba significa danni enormi, soprattutto per quanto attiene alla salute - potrebbe essere ridotta enormemente con una serie di iniziative presidenziali che lo svuotino progressivamente, lasciandone a Congresso e Senato statunitensi il solo valore politico e ideologico.

Del resto la visita di Barak Obama ha di per sé già smontato un pezzo del blocco, ovvero quello diplomatico. Senza interpellare né il Congresso né il Senato, Obama ha deciso di assumere una iniziativa presidenziale riaprendo le relazioni diplomatiche con l’isola socialista. Potrebbe quindi, se lo volesse, con le prerogative presidenziali di cui dispone, assumere ulteriori iniziative che intacchino in profondità l’efficacia operativa del blocco, a partire almeno dall'estensione extraterritoriale dello stesso.

Perché nonostante la sospensione presidenziale di alcuni commi della legge Helms-Burton, vero e proprio concentrato di pirateria internazionale che estende al mondo intero la legislazione statunitense, le ricadute in termini di multe pesantissime alle organizzazioni finanziarie internazionali che operano con Cuba sono vigenti e complicano enormemente l’attività economica dell’isola.

Idem dicasi per le società di import-export o per le compagnie di navigazione: queste ultime, ove attraccassero a Cuba, sarebbero inibite per sei mesi all’attracco nei porti statunitensi. Facile immaginare l’indisponibilità ad accollarsi una riduzione al lavoro in un mercato immenso come quello americano per aver lavorato con l’isola. Facile dunque comprendere come, per accedere a ciò a cui ogni altro paese accede a prezzi competitivi e condizioni di pagamento rateizzate, per Cuba si trasformi in costi immediati e proibitivi.

Ebbene, sia sotto il profilo dell’operatività finanziaria, come nell’ambito del commercio internazionale e nella liberazione del flusso turistico, per non dire dell’urgenza per quanto attiene a sanità ed alimentazione, Obama ha un ampio spettro di soluzioni per svuotare il blocco. Si tratta di volontà politica ed anche di coerenza.

E’ possibile da un lato ripristinare le relazioni politiche e diplomatiche con un Paese mentre dall’altro lo si continua a ritenere meritevole di sanzioni così dure? E’ coerente sedersi al tavolo dei negoziati con la premessa di dover azzerare 60 anni di errori mentre resta vigente un blocco che, ad ogni effetto, è un atto di guerra? Com’è possibile applicare verso paesi con i quali si è in pace e contro i quali si è in guerra le stesse sanzioni? E' ingiustificabile in nome del buon senso prima ancora che della decenza.

Un simile comportamento risulta illogico ed incoerente anche se si vuole prendere in esame la dimensione ideologica del confronto. Certo, Cuba è e continuerà ad essere un paese socialista. E allora? Con la Cina per Washington non c’è nessun elemento di condivisione ideologica e, anzi, il braccio di ferro strategico ed anche militare nel Pacifico sottopone a prove severe lo stesso clima di pace tra i due paesi; nonostante ciò la Cina non subisce nessuna sanzione ed anzi è il paese destinatario della “clausola di nazione favorita negli scambi” con gli Stati Uniti. L’Avana non pretende tanto, si accontenterebbe di un trattamento coerente con le norme che regolano il consesso internazionale.

Il governo cubano ha deciso di aprire una campagna d’informazione sullo stato dei rapporti con gli USA che culminerà con il voto alle Nazioni Unite del prossimo 26 Ottobre. Cuba, come ogni anno, presenterà all’Assemblea Generale una mozione per chiedere alla comunità internazionale di pronunciarsi contro il bloqueo, una misura genocida ed anacronistica che aggredisce nel profondo gli stessi diritti umani dei cubani e serve solo ad accontentare le pulsioni dell’ultradestra statunitense. Vedremo come voterà il rappresentante statunitense a New York. Come prassi, il voto vedrà l’adesione del mondo intero, fatta eccezione forse per Israele, che di fronte ai diritti umani di chiunque non viva nello Stato ebraico ha un insopprimibile istinto di rifiuto.

Cuba discute, si confronta, media su ogni aspetto dell’agenda politica che compone i rapporti bilaterali e multilaterali. Ma, diversamente da quanto auspicano in Europa o negli Stati Uniti, non transige sui principi, né si siederà mai a discutere in assenza di un riconoscimento della sua identità politica e della propria sovranità nazionale. Non lo ha fatto per 58 anni, non vi sono ragioni per cui dovrebbe farlo ora, visto che proprio la sua resistenza ha determinato il riconoscimento statunitense degli errori commessi.

Le gravi privazioni che il popolo cubano patisce dal 1962 hanno nel blocco economico e commerciale la loro ragione. Un blocco che, se in assenza di relazioni era comunque ingiusto e genocida, diventa paradossale dopo la riapertura delle relazioni diplomatiche. Le sofferenze dei cubani non possono proseguire oltre. Spetta a Obama darsi da fare, passare dalle parole ai fatti. E dimostrare che l’accettazione di un errore serve soprattutto a non ripeterlo all’infinito.

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