Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Michele Paris

Sulle ansie già ben oltre il livello di guardia della classe dirigente europea, nel fine settimana si è abbattuta come un ciclone un’intervista dai toni destabilizzanti rilasciata dal presidente eletto americano, Donald Trump, al Times di Londra e alla Bild tedesca. Il prossimo inquilino della Casa Bianca è sembrato non avere alcuna intenzione di moderare le proprie posizioni sulle questioni di politica estera, ma ha anzi prospettato un burrascoso riassetto delle relazioni transatlantiche in parallelo con l’intenzione espressa da tempo di ricalibrare le priorità strategiche di Washington.

I bersagli principali delle critiche di Trump sono stati significativamente la NATO e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, vale a dire rispettivamente uno dei cardini della stabilità interna europea e delle relazioni tra Stati Uniti e vecchio continente e la forza politica ed economica dominante nell’Unione.

Per quanto riguarda l’Alleanza atlantica, Trump è tornato sui temi della campagna elettorale, ribadendo come buona parte dei suoi membri non si faccia carico in maniera sufficiente della propria fetta di spese militari, ma si affidi piuttosto alla copertura garantita proprio dagli USA. Ancora più allarmante per i governi europei è stato il giudizio espresso da Trump sulla NATO, definita “obsoleta” e incapace di contrastare la minaccia del terrorismo.

Anche l’attacco alla Merkel è stato portato sfruttando accuse che la destra tedesca continua a rivolgerle da mesi, relative cioè alla presunta permissività del governo di Berlino sull’ingresso degli immigrati in Germania. Per Trump, la Cancelliera avrebbe così favorito l’entrata nel suo paese di un numero troppo alto di “illegali”.

Al centro dei pensieri del neo-presidente non ci sono in realtà tanto le politiche migratorie della Germania, le quali rappresentano tutt’al più un pretesto, quanto questioni più delicate che hanno a che fare con la crescente competizione tra il capitalismo americano e quello tedesco. Competizione che minaccia di inasprirsi a causa dell’agenda di Trump, improntata al nazionalismo economico.

In questa prospettiva vanno inquadrate anche le minacce di Trump alla BMW, contro la quale la sua amministrazione potrebbe imporre un dazio del 35% sugli autoveicoli prodotti all’estero e importati negli Stati Uniti. L’avvertimento del presidente eletto fa riferimento in particolare al progetto di un nuovo impianto produttivo della casa automobilistica tedesca in Messico.

A conferma della vera natura dello scontro con Berlino, nella stessa intervista del fine settimana, il miliardario di New York ha definito l’Unione Europea uno strumento per la dominazione della Germania sul continente allo scopo di competere con Washington sul fronte del commercio internazionale. Da qui, perciò, il suo disinteresse dichiarato per il futuro dell’UE, ma anche l’apprezzamento per la “Brexit”.

In parte legate a queste dinamiche sono state poi le dichiarazioni ancora una volta distensive di Trump sulla Russia, nonostante la persistente caccia alle streghe in patria sul ruolo attribuito a Mosca nelle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Trump ha ipotizzato la cancellazione delle sanzioni alla Russia applicate dall’amministrazione Obama, possibilmente in cambio di un qualche accordo con il governo di Putin, ad esempio sulla riduzione dei rispettivi arsenali nucleari.

L’obiettivo di Trump e della fazione della classe dirigente americana che egli rappresenta è in definitiva quello di cercare un qualche accomodamento con la Russia per concentrare gli sforzi diplomatici, economici e militari degli Stati Uniti verso quello che viene considerato l’ostacolo principale alla promozione degli interessi USA su scala planetaria, ovvero la Cina.

Non solo, il tentativo di ristabilire un dialogo con Mosca ha anche il preciso scopo, decisamente più complicato, di ostacolare la formazione o il consolidamento di un asse tra Russia e Cina, favorito negli ultimi anni proprio dalle politiche di confronto con entrambi i paesi promosse dall’amministrazione Obama.

Questa strategia di ampio respiro prospettata nuovamente da Trump al Times e alla Bild, anche se di difficile implementazione per una lunga serie di ragioni, minaccia appunto di produrre gravi effetti destabilizzanti in Europa. Per cominciare, l’eventuale indebolimento o, addirittura la dissoluzione della NATO, non farebbe che accentuare le divisioni che attraversano il vecchio continente.

Non solo in ambito militare, la conservazione del Patto atlantico dopo la fine dell’Unione Sovietica è servita, sotto la leadership degli Stati Uniti, a favorire il mantenimento della coesione dell’Europa, così che il venir meno di esso accelererebbe probabilmente la disgregazione dell’UE già in atto sotto la spinta delle sue stesse contraddizioni.

Un processo, quest’ultimo, le cui implicazioni non sono difficili da immaginare, vista la storia europea della prima metà del XX secolo. D’altra parte, la classe dirigente tedesca si sta preparando da tempo all’inasprirsi dello scontro con quelli che fin qui sono stati i propri principali alleati, attraverso il rafforzamento dello stato e delle forze armate tedesche come strumento della proiezione in maniera indipendente dei propri interessi in Europa e non solo.

In modo ben poco sorprendente, sia gli impulsi nazionalistici di Trump sia le critiche di quest’ultimo alla NATO e il possibile riallineamento tra Washington e Mosca stanno gettando nel panico i leader europei, già costretti a fare i conti con forze centrifughe esplosive nel continente.

Prevedibilmente, le reazioni alla recente intervista di Trump non si sono fatte attendere e le più preoccupate sono giunte dai politici tedeschi. Il vice-cancelliere, il Social Democratico Sigmar Gabriel, è andato in qualche modo al contrattacco, sottolineando come la crisi dei migranti, attribuita dal nuovo presidente USA alla Merkel, è in realtà il risultato delle politiche interventiste americane nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

Il ministro degli Esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, ha invece espresso soprattutto il timore di un indebolimento della NATO, per poi rilevare le differenti attitudini tra Trump e il segretario alla Difesa da lui nominato, l’ex generale James Mattis. Quest’ultimo, infatti, nell’audizione di settimana scorsa al Senato di Washington per la conferma della sua nomina aveva definito la NATO come “centrale” nelle strategie della difesa americana.

Queste apparenti contraddizioni sono rilevabili anche dalle posizioni espresse nelle scorse settimane da altri candidati a entrare nella nuova amministrazione Trump e riflettono le forze contrastanti presenti all’interno dell’apparato di potere americano. Dal risultato di questo scontro dipenderà perciò l’impostazione della politica estera del neo-presidente degli Stati Uniti e i rapporti con l’Europa per i prossimi quattro anni.

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