Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Fabrizio Casari

Il premier britannico Theresa May ha dunque firmato la lettera con la quale Londra comunica all’Europa la sua uscita dall’Unione Europea. Seppur con un discorso dai toni visibilmente propagandistici, la Premier britannica non ha voluto comunque disegnare un profilo isolazionista sul modello di Trump; anzi, ha ribadito che la Gran Bretagna vuole decidere in solitudine il suo destino proprio perché prefigura maggiore apertura al mondo e un ruolo più importante nel consesso internazionale quale condizione per una maggiore prosperità interna.

Difficile biasimare i passaggi nei quali la May critica l’eurocrazia e la bulimia legislativa europea, ma comunque, sebbene il discorso ha utilizzato richiami patriottici obiettivamente fuori luogo (Londra non era sotto occupazione europea) la Premier ha voluto in qualche misura attutire il livello dello scontro con Bruxelles che nei mesi passati aveva conosciuto momenti più aspri.

La retorica della May nasconde però il timore per le ripercussioni negative della scelta, dal momento che le trattative per stabilire termini e condizioni degli accordi commerciali che interverranno tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna si annuncia lunga (almeno un paio d’anni, si presume) e niente affatto semplice, con un rischio di ricadute sulla stabilità economico-finanziaria inglese non trascurabili.

Non si tratta solo dell’abbandono di agenzie europee importanti, la principale quella sui farmaci (che il governo italiano vorrebbe portare a Milano), quanto piuttosto di poter continuare ad ospitare decine di sedi di multinazionali europee che godevano di priorità procedurali e quant’altro e che, ora, vedrebbero venir meno. E' uno degli interrogativi che si aprono circa l’impatto - al momento difficile da prevedere con precisione - che l’uscita dalla Ue avrà sulla City.

D’altra parte Bruxelles non ha intenzioni di fare sconti di fronte a quello che ritiene in fondo un tradimento e, comunque, non può e non dare l’impressione di essere disposta a cedere su scambi commerciali e accordi economici, giacché questo aprirebbe la strada ad un effetto emulativo che certo non si vuole innescare. Dal canto suo Londra non potrà certo contare sul sostegno statunitense nelle trattative con Bruxelles, visto che le relazioni tra USA e UE attraversano la fase peggiore della loro storia.

La May si è detta fiduciosa e piena di speranze, ma l’ottimismo appare un modo per coprire le incognite che, anche sul piano politico interno alla GB, sono rilevanti. C’é tensione con Edimburgo, il cui Parlamento ha votato a favore dell’indizione del referendum per la secessione (parziale) dalla Gran Bretagna.

Pur con le dovute differenze con la Brexit - principalmente sotto il profilo dell’integrità territoriale del Regno Unito - per quanto la May abbia ribadito il NO di Londra al voto scozzese, non sarà semplice sostenere due punti di vista opposti circa la libertà e la sovranità di un popolo a seconda degli interessi in gioco. E il secessionismo scozzese, da sempre spina nel fianco dell’impero, amplierà simpatie e consensi ovunque e potrebbero verificarsi ripercussioni anche in Irlanda del Nord, dove il conflitto sembrerebbe potersi riaccendere. Questi fattori finirebbero per generare un problema non trascurabile di tenuta politica complessiva della Gran Bretagna.

Dal canto suo Bruxelles perde relativamente con l'addio di Londra. Certo, si tratta di un indebolimento politico, ma sotto l’aspetto militare Londra non ha mai nemmeno preso in considerazione l’idea di distanziarsi dagli Stati Uniti, ovvero nell’interrompere la catena di comando di Washington sulla sua politica estera e di difesa. Per quanto attiene alla moneta, Londra ha scelto di non aderire all’Euro e, anche sotto il profilo bancario, ha voluto mantenere il ruolo della prestigiosa Banca d’Inghilterra a sostegno della Sterlina (che pure appare un po' più cagionevole dopo l'esito del referendum che ha deciso la Brexit).

Ma tuttavia la Gran Bretagna resta un paese leader a livello globale e, da ieri, l’Unione Europea non è più quella che fu. La Brexit, oltretutto, viene ufficializzata proprio in un momento delicatissimo per l’Unione Europea. Le tensioni con i paesi dell’Est che, sostenuti dall’Austria, si sfilano dagli impegni europei sui flussi migratori (ma pretendono di continuare ad avere gli aiuti economici dell’Unione) e le prossime delicatissime elezioni francesi, che nel caso di una vittoria di Marie Le Pen scriverebbero il sostanziale epitaffio sull’Unione Europea, aprono la fase più difficile e più incerta della vita dell’istituzione continentale.

Le aperture timidissime sulla flessibilità dei bilanci emerse a denti stretti dal vertice di Roma sono un pannicello caldo a fronte della crisi di credibilità ed autorevolezza di un progetto come quello della UE nato sotto i migliori auspici e condotto dalle mani più sbagliate nella direzione peggiore. Invece di rappresentare la "terza via", d’imporre un suo modello socio-economico e culturale, l’Europa è divenuta soprattutto un cartello di banche che hanno scaricato i loro fallimenti sui bilanci pubblici dei diversi stati membri.

E’ stata incapace di leggere il contesto sociopolitico continentale e di riformarsi. Non è stata in grado di decifrare ed affrontare le sfide e i rischi della globalizzazione per governarli ed indirizzarli, rivelandosi inutile nel prefigurare scenari a medio e lungo termine di governance mondiale. Invece di cercare un dialogo e una partnership con la Russia per la costruzione di un mercato unico continentale in grado di dialogare con l'Asia e la gestione delle crisi europee e mediorientali, ha preferito la rottura politica e le sanzioni economiche come Washington chiedeva.

Politicamente inconsistente e militarmente superflua, non ha saputo e voluto darsi una politica estera e di difesa comune e, di conseguenza, non è stata capace di assumere un ruolo sullo scenario internazionale, preferendo continuare a seguire pedissequamente gli Stati Uniti in ogni guerra e il turbo liberismo in politica economica, anche quando gli stessi USA hanno innestato un parziale cambio di rotta.

Il risultato finale è stato non far fatto nascere un continente politicamente all’altezza del suo peso economico, commerciale, culturale e demografico. Ha visto crescere invece una egemonia tedesca assoluta e pericolosa, quando proprio per arginare l’egemonismo ed espansionismo tedesco, tra le altre cose, l’Unione Europea era nata. Il sogno di una Europa unita, a oggi, si è rivelato un incubo per gli europei e l’inizio della Brexit potrebbe non essere altro che il primo capitolo del libro di memorie della UE.

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