Assange, le “non garanzie” USA

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Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per...
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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle...
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di Mario Lombardo

Alla ripresa dei colloqui di pace sulla Siria ad Astana, in Kazakistan, promossi da Russia, Iran e Turchia, il governo di Mosca ha presentato relativamente a sorpresa una proposta per creare quattro “zone di sicurezza” nel paese mediorientale in guerra, in modo da cercare di ridurre i livelli di violenza che si continuano a registrare.

A prima vista, il piano sembra più o meno corrispondere a quanto chiedono da tempo i “falchi” di Washington e i loro alleati turchi e nel mondo arabo, impegnati nell’alimentare il conflitto per rovesciare il regime di Damasco. Alla proposta del Cremlino hanno infatti già dato un’approvazione preliminare alcuni di questi paesi, anche se gli obiettivi opposti delle parti impegnate nella guerra siriana rendono decisamente meno semplice di quanto appaia anche solo la definizione della mossa di questi giorni del presidente Putin.

Delle “zone di de-escalation” in Siria, come sono state presentate da Mosca, avevano già parlato lo stesso Putin e il presidente americano Trump nel corso di un colloquio telefonico avvenuto martedì. La conversazione era stata la prima tra i due leader a partire dal bombardamento americano del 7 aprile scorso contro una base aerea siriana in seguito al presunto attacco con armi chimiche contro i “ribelli” che Washington aveva sommariamente attribuito alle forze di Assad.

Secondo la ricostruzione americana, il colloquio telefonico era stato molto cordiale e aveva generato una certa convergenza tra Putin e Trump sulla necessità di risolvere diplomaticamente la crisi in Siria.

Dopo la telefonata, la Casa Bianca aveva deciso l’invio in Kazakistan dell’assistente al segretario di Stato per gli Affari Mediorientali, Stuart Jones, il quale questa settimana ha appunto partecipato al nuovo round di colloqui di pace. In precedenza, Washington aveva virtualmente ignorato l’evento sponsorizzato da Mosca e Teheran, garantendo solo la presenza dell’ambasciatore USA in Kazakistan in qualità di osservatore.

La proposta resa nota pubblicamente mercoledì dalla Russia ha così ratificato l’attivismo di questo paese sulla questione siriana negli ultimi giorni. Oltre alle discussioni tra il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, Putin aveva trattato la crisi già con la cancelliera tedesca Merkel a Sochi, sul Mar Nero, e poco dopo con il presidente turco Erdogan, al quale era stato chiesto di garantire l’impiego di truppe del suo paese per monitorare un’eventuale tregua in territorio siriano.

Secondo la bozza russa circolata ad Astana, le quattro “zone di sicurezza” dovrebbero essere create nella provincia di Idlib, in un’area a nord della città di Homs, a Ghouta est, appena fuori Damasco, e a sud lungo il confine con la Giordania.

In queste zone dovrebbero “cessare immediatamente le violenze”, così da consentire il “ritorno volontario e in sicurezza dei rifugiati”. Inoltre, nelle quattro aree indicate da Mosca verrebbero istituiti dei check-point e “centri di monitoraggio” gestiti sia dalle forze governative siriane sia dai “ribelli”. Come già anticipato, la presenza di contingenti militari di altri paesi dovrebbe poi provvedere alla sicurezza di queste zone, mentre Russia, Iran e Turchia si farebbero garanti della tregua creando un apposito “gruppo di coordinamento” con il consenso delle parti in conflitto.

La complessità degli scenari nelle aree scelte da Mosca e i recenti scontri all’interno del fronte dell’opposizione armata anti-Assad in alcune di esse rendono comunque complicati i piani per una possibile de-escalation del conflitto. Ancor più, il successo di una simile operazione dovrebbe derivare da una collaborazione effettiva tra Russia e Stati Uniti sul campo, cosa molto difficile alla luce degli obiettivi divergenti delle due potenze in merito alla Siria.

Gli Stati Uniti vedrebbero cioè le “zone di sicurezza” proposte dal Cremlino come uno strumento per aumentare la propria presenza in Siria e non certo per fare un passo indietro sul perseguimento dei propri interessi strategici.

Di questo, Putin ne è evidentemente consapevole, tanto da far pensare a un intento parzialmente diverso dietro l’iniziativa di Astana. A fornire la chiave di lettura forse più vicina alla realtà è stato il blog Moon of Alabama, dedicato quasi interamente all’analisi degli scenari siriani.

Secondo quanto scritto in un post pubblicato mercoledì, il problema principale della proposta russa è rappresentato dalla fazione qaedista dei “ribelli” che controlla Idlib e costituisce una forza tutt’altro che trascurabile anche nelle altre aree oggetto del piano in discussione.

Dal momento che l’offerta russa sarebbe la base di partenza per ulteriori futuri negoziati per una risoluzione pacifica della crisi solo se le forze di opposizione al regime di natura jihadista venissero eliminate, è evidente che la proposta rischia da subito di trovare lo stesso ostacolo che aveva fatto naufragare le precedenti fragili tregue negoziate da Mosca e Washington.

La richiesta di Mosca agli USA e ai loro alleati di favorire la separazione tra i “ribelli” moderati e quelli fondamentalisti è legittimamente un requisito fondamentale di qualsiasi ipotesi di tregua. Tuttavia, essendo le forze “ribelli” legate in varia misura ad al-Qaeda una componente cruciale dell’opposizione anti-Assad, e di fatto tollerate se non sostenute dagli Stati Uniti, è altamente improbabile che Washington accetti integralmente il piano russo.

Secondo il blog Moon of Alabama, dunque, la bozza di proposta di Putin sarebbe “un altro tentativo per provare a costringere gli USA e la Turchia ad ammettere l’esistenza di un problema al-Qaeda”, ovvero che un’organizzazione terroristica svolge un ruolo decisivo in queste aree della Siria e che “nessuna pace è possibile se non verranno eliminate” le componenti dell’opposizione associate a questa organizzazione fondamentalista.

Se anche a Mosca domina probabilmente lo scetticismo circa la riuscita del piano, lo scopo della proposta potrebbe essere quanto meno quello di ricavare un vantaggio strategico e di immagine nel “portare allo scoperto quanto più possibile” il problema dei legami tra l’opposizione appoggiata dai governi occidentali e dai loro alleati mediorientali con le forze qaediste.

La proposta russa è stata comunque sottoscritta da Turchia e Iran nella giornata di giovedì ad Astana, anche se i media presenti in Kazakistan hanno raccontato di alcuni delegati dell’opposizione anti-Assad che hanno abbandonato i lavori, vista la loro contrarietà ad accettare la Repubblica Islamica come uno dei garanti del piano destinato a creare le quattro “zone di sicurezza” in Siria.

In precedenza, dopo versioni contrastanti sulla posizione ufficiale del governo di Damasco, l’agenzia di stampa ufficiale siriana SANA aveva citato un comunicato ufficiale del ministro degli Esteri, nel quale veniva confermata l’accettazione da parte del regime della creazione delle “zone di de-escalation”, sia pure ribadendo l’impegno a combattere i “gruppi terroristi” attivi nel paese.

Da parte russa, infine, sembra esserci una certa disponibilità a fare concessioni importanti pur di fermare l’escalation del conflitto e gettare le basi per una soluzione politica. A questo scopo, necessario anche e soprattutto alla luce del gravoso impegno di Mosca a sostegno di Assad, Putin potrebbe essere pronto a cedere il controllo su alcune parti della Siria all’opposizione armata o ai paesi che sostengono i gruppi che ne fanno parte.

La palla, ora, passa perciò agli Stati Uniti e ai loro alleati, le cui intenzioni saranno messe ancora una volta alla prova dall’iniziativa del Cremlino. Le prossime tappe del complicatissimo negoziato sulla Siria prevedono invece un nuovo round di discussioni a Ginevra alla fine di maggio, mentre le parti dovrebbero ritrovarsi nuovamente in Kazakistan alla metà di luglio.

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